Dopo il successo mondiale di "Va dove ti porta
il cuore" e il meno fortunato "Anima mundi" la Tamaro
torna sulla scena italiana con un libro atipico per lei spesso accusata,
non senza ragioni, di buonismo.
Il titolo che riprende quello del primo racconto, si potrebbe riferire
al Salmo 26 (27 nella Vulgata) in cui si legge "Ascolta, Signore,
la mia voce. Io grido: Abbi pietà di me! Rispondimi.".
[Di questo Salmo esiste una lettura coinvolgente del Papa nel recente
cd "Abbà Pater" (traccia n°1)]
Già dal titolo è perciò abbastanza esplicita
la natura di ricerca e di riflessione ontologica di un'opera che
ha il suo maggior merito nel non limitarsi a considerazioni banali,
addentrandosi nel profondo, mirando al cuore del problema, senza
rifugiarsi in inutili preconcetti.
Questa ricerca si eleva appunto come un grido, rabbioso e disperato,
in mezzo alla desolazione del mondo, ritratto nei suoi eccessi:
la ricerca dell'amore, attraverso un percorso frastagliato, esperienze
drammatiche e incomprensioni, attraverso la solitudine, attraverso
insomma tutto ciò che amore non è (e a volte anche
attraverso ciò che sta all'opposto dell'amore) dovrebbe essere
una specie di maieutica verso la rivelazione, cioè verso
un'amore spirituale, come ben descritto nella lettera di Michele
alla madre in "L'inferno non esiste" o in quella del teologo
a Saverio in "Il bosco in fiamme", vero e proprio testamento
spirituale del libro.
Lo fa d'altro conto in modo convincente, senza forzature, senza
binari di lettura obbligati: l'ordine dei tre racconti ci porta
poco alla volta, passo dopo passo, a gradini successivi del percorso,
dalla ricerca di un amore prettamente materiale e terreno con la
tenerissima "tempesta di baci" che Rosa ricerca da quando
ha perduto la madre, a quello spirituale, consolatorio in realtà,
ma capace di dare una nuova visione del mondo, in cui si rifugia
Saverio scrivendo dal carcere al teologo.
Colpisce, in un libro che parla esplicitamente dell'amore, come
d'altro canto e' scritto nel frontespizio "Rimanete nel mio
amore (Gv 15, 9)", il cambiamento dello stile della Tamaro,
che si presenta in una nuova veste spietata, da scrittrice "cannibale"
in un certo senso: ci si potrebbe chiedere il perché di questo
radicale cambiamento nel modo di scrivere, essere magari disturbati
da dei racconti che riprendono situazioni tutto sommato marginali
del vivere quotidiano, estremi esempi di solitudine e di vuoto:
famiglie disgregate, persone incentrate solo su di sé. C'è
il rischio di prendere le distanze da un libro che ha una forte
carica emotiva con la quale tenta di accedere alla critica razionale:
c'è il rischio di tirarsi indietro, davanti a realtà
che molto spesso preferiamo non vedere.
Eppure "Potrà sembrare un libro spietato - dice la Tamaro
- ma non ho fatto che guardarmi attorno: purtroppo la realtà
supera di molto la fantasia".
Forse allora era necessario andare a scavare davvero la realtà
piu' cupa della disperazione, senza cercare di darvi senso, ma cercando
di vedere quello che vi manca, senza cercare di dire, ma solamente
limitandosi ad osservare, e, in ultima analisi cercando di riscattare
il male col bene.
"Riscopriremo il senso della vita, chi siamo e dove andiamo,
soltanto se sapremo di nuovo guardare con occhi di bimbi. Se sapremo
stupirci per la bellezza e la gioia del creato e sentirci parte
del popolo delle Beatitudini evangeliche, accogliendo in noi la
forza del perdono e della riconciliazione, facendo scelte coraggiose
e controcorrente, accettando la fatica del sacrificio. Quando vado
nelle città e cammino fra la gente, guardo gli occhi delle
persone che incontro e vi leggo uno straniamento, una follia che
mi fa stare fisicamente male. Vorrei con questo mio libro aprire
delle finestre, dare la possibilità di riflettere sulla vita
e sulla morte, sulle responsabilità che dobbiamo assumerci.
Spero di turbare le coscienze, perché possano migliorare
il loro rapporto con l'esistenza".
Ma allora perché l'amore? Forse perché sempre l'amore
è un appiglio, il redentore del male di vivere, se non l'obiettivo
dell'esistenza.
Il libro risulta infatti più un libro sulla vita che sull'amore,
sul senso di vivere, sulla responsabilità di vivere: un interrogarsi
(anche sofferente) sul male del mondo con la speranza di intravedervi
un senso. In questo "Rispondimi"
pur con i suoi eccessi, e pur conservando nello stile, non del tutto
convincente, i tratti di un'autrice non ancora abituata a scrivere
in questo modo "maledetto", è un libro capace,
per la crudezza descrittiva, di confondere e inquietare, e sicuramente
non lascia indifferenti, ma obbliga a pensare, a mettersi in gioco.
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La copertina di Rispondimi
(edito da Rizzoli)
Susanna Tamaro
Intervista
a Susanna Tamaro
(da Famiglia cristiana)
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Susanna Tamaro
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