Circolo Culturale Albatross: Fedor Michajlovic Dostoevskji
Delitto e castigo

Lettera a Michail Nikiforovic Katkov

Mentre viaggiava in Europa con Apollinarija Suslova, Dostoevskij perse tutto il suo denaro al gioco della roulette. Mentre la donna riusciva a raggiungere in qualche modo Parigi, Dostoevskij rimase bloccato senza denaro in un albergo di Weisbaden per oltre un mese, quasi senza mangiare e subendo continue umiliazioni da parte del proprietario dell'albergo che gli negava persino la candela per scrivere e che non perdeva occasione per rimproverargli la sua insolvenza. Solo il consenso di Katkov di pubblicare sulla sua rivista Delitto e castigo, di cui qui Dostoevskij gli anticipa la trama, lo liberò da quella penosa situazione.

Weisbaden, 10-15 settembre 1865

Egregio signore Michail Nikiforovic!
Posso sperare di pubblicare un mio racconto sulla Sua rivista "Il Messaggero Russo"?
Lo sto scrivendo qui a Weisbaden già da due mesi, e lo sto portando a termine adesso. Sarà composto di cinque o sei fogli a stampa. Mi ci vorranno ancora due settimane per finirlo, ma forse anche di più. In ogni caso posso dire con sicurezza che entro un mese, certo non più, potrei farlo pervenire alla redazione del "Messaggero Russo".
L'idea di base del racconto, almeno per quanto io posso giudicare, non dovrebbe trovarsi per nulla in contraddizione con la tendenza della Sua rivista, anzi al contrario. Si tratta del resoconto psicologico di un delitto.
L'azione si svolge al giorno d'oggi, in questo stesso anno. Il protagonista, un giovane studente espulso dall'università, di estrazione borghese, ma che vive in condizioni di estrema povertà, essendo caduto -per leggerezza e per l'instabilità delle sue convinzioni- sotto l'influenza di certe strane idee ancora "informi", decide di tirarsi fuori d'un sol colpo dalla sua disgraziata situazione. Decide di uccidere una vecchia, vedova di un consigliere titolare, che presta denaro ad interesse. La vecchia è stupida, sorda, malata, avida, prende degli interessi degni di un ebreo, è malvagia e divora la vita degli altri, tormentando la sorella più giovane che le fa da serva. "Quella vecchia non serve a niente, perché dunque vive?""E' forse utile a qualcuno a questo mondo?" e così via. Tutte queste domande mettono fuori strada il giovane. E così egli decide di ucciderla per derubarla allo scopo di dare un po' di felicità a sua madre che vive in provincia e di liberare la sorella, che fa la dama di compagnia in casa di certi proprietari di campagna, dalle libidinose persecuzioni che minacciano di rovinarla; e anche allo scopo di finire l'università, recarsi all'estero e in seguito, per tutta la vita, essere irreprensibilmente onesto e inflessibile nell'adempiere al suo "dovere di uomo nei confronti dell'umanità", scopo che naturalmente potrà "cancellare il delitto", se pure si può chiamare delitto un atto di questo genere compiuto contro una vecchia sciocca, sorda, malvagia e malata, che non sa neppure lei perché vive a questo mondo e che forse, tra un mese o due, sarebbe morta di morte naturale.
Sebbene sia estremamente difficile compiere delitti di questo genere, per il fatto che quasi sempre vengono lasciate allo scoperto delle tracce e degl'indizi grossolanamente evidenti e una quantità di particolari vengono abbandonati al caso, tuttavia il giovane riesce a portare a termine, per puro caso, la sua impresa criminosa rapidamente e felicemente.
Dopodichè passa quasi un mese fino alla catastrofe definitiva. Su di lui non ci sono sospetti e nemmeno ci possono essere. Ed è proprio a questo punto che si sviluppa tutto il processo psicologico del delitto. Dei problemi insolubili si pongono all'assassino, dei sentimenti inattesi e imprevedibili straziano il suo cuore. La verità divina e la legge terrena reclamano ciò che è a loro dovuto, ed egli si trova ridotto, anzi costretto ad autodenunciarsi. È costretto a questo passo per poter -anche a costo di morire ai lavori forzati- accostarsi di nuovo agli uomini; il sentimento di chiusura e di separazione nei confronti di tutta l'umanità, che lo ha assalito subito dopo aver compiuto il delitto, lo tormenta troppo. La legge della verità e la natura umana hanno reclamato i loro diritti, determinando in lui, senza che quasi egli possa opporsi, una nuova convinzione interiore... L'assassino decide spontaneamente di accettare il tormento della pena per espiare il suo crimine. Comunque mi riesce difficile chiarire pienamente il mio pensiero: adesso appunto intendo conferirgli una forma artistica in cui esso trovi la sua espressione. Quanto alla forma...
Nel mio racconto c'è inoltre un'allusione all'idea che la punizione che viene imposta per legge al criminale per il suo delitto in realtà lo spaventa molto meno di quanto s'immaginino i legislatori, giacchè è lui stesso ad esigerla moralmente.
Questo fatto io stesso ho potuto constatarlo perfino nelle persone meno evolute e nelle circostanze più volgari, e ho voluto esprimerlo proprio in una persona coltivata, appartenente alla nuova generazione, affinchè quest'idea fosse visibile nel modo più chiaro e tangibile. Alcuni casi che si sono verificati proprio in questi ultimi tempi mi hanno convinto che l'argomento del mio racconto non ha nulla di eccentrico, e in particolare non presenta nulla di strano il fatto che l'assassino sia un giovane coltivato e perfino dotato di buone disposizioni naturali. L'anno scorso a Mosca mi hanno raccontato (ed è un fatto accertato) di uno studente che era stato espulso dall'università in seguito alla faccenda degli studenti a Mosca e che si risolse ad assalire un ufficio postale e ad uccidere un postino. Inoltre nei nostri giornali si possono cogliere molti segni della straordinaria instabilità delle convinzioni attuali che induce a terribili delitti. (Quel seminarista che ha ucciso una ragazza in una rimessa con il consenso di lei e che è stato preso un'ora dopo il fatto mentre faceva colazione, e così via). Insomma io sono convinto che l'argomento del mio racconto è in certa misura confermato dalla realtà attuale.
S'intende che, in questa breve esposizione dell'argomento del mio racconto, io ho trascurato tutto l'intreccio. Posso garantire dell'interesse del mio racconto, anche se non oso esprimere un giudizio sull'artisticità della sua realizzazione. Troppe volte mi è capitato di scrivere delle cose molto, molto brutte, e questo perché mi sono troppo affrettato per consegnarle entro il termine stabilito, e così via. Del resto questo racconto l'ho scritto senza fretta e con grande passione. Mi sforzerò, tuttavia, se non altro per amor proprio, di portarlo a termine nel modo migliore possibile.


| Home Page | Indice | Poesia | Prosa | Aforismi | Forum | Download |