GEORGE WALLIS
Ottimo
autore
ha scritto solo «L'Alito Freddo del Vampiro», un
Racconto di Dracula del 1964. Il romanzo è eccezionale nonostante il
titolo brutto e banale. Ho cercato per
anni questo autore senza mai riuscire a rintracciarlo.
Poi, una sera mi telefonò l’editore Pirani e mi disse fra l’altro
che Paci aveva scritto alcuni gialli adottando lo pseudonimo George
Wallis. Improvvisamente mi resi conto che lo stile dell’Alito Freddo
era quello di Paci. Allora telefonai a Paci per chiedergli se quel
romanzo lo aveva fatto lui; non ricordava così gli inviai fotocopie
del libro e una mattina lui mi telefonò per dirmi che quel libro era
suo. Lo aveva confermato anche sua moglie che a quel tempo rivedeva i
testi e correggeva le bozze.
George Wallis era un altro pseudonimo di Giuseppe Paci, e
L’alito Freddo lo aveva scritto lui.
Forse dopo 40 anni ho risolto questo mistero. Sono molto contento
perché questo romanzo è un vero capolavoro! Un ignoto lettore ha
scritto una nota con la biro sull’ultima pagina: Nessun libro può
essere paragonato a questo
RED SCHNEIDER
BENJAMIN MANNERHEIM
GIUSEPPE PACI
Palermo 27 Maggio 1929. anno del matrimonio 1956.
Vivente a Roma.
Con lo pesudonimo Red Schneider ha pubblicato alcuni capolavori
dell’orrore nella mitica collana I Racconti di Dracula, prima serie,
cioè dal 1959 fino al 1966. I capolavori sono:
Il
fiume di sangue
La leggenda dei Balfe
Il destino dei Taskett
La mummia nuda
Terrore
del plenilunio
La
figlia del diavolo
Vampir
mostro di sangue
con pseudonimo PERICLE VANDER
romanzi.
L’alito
freddo del vampiro con
pseudonimo Gorge Wallis.
Nei
castelli in rovina, fra malinconici laghi, fantasmi fumosi si agitano
per lo sfacelo della mente.
Altri pseudonimi
Pericle Vander, Gorge Vallis, Benjamin Mannerheim, Clive E. Cleeve,
ecc.
Dottore, magistrato. Ha scritto oltre
100 gialli, horror. Sposato ha un figlio. Egli desiderava
rimanere anonimo e che il suo nome non comparisse nemmeno come
traduttore (che in realtà è il vero nome dell’autore). Ma
l’editore lo obbligava a scriverlo, così una volta scrissero
Giuseppe Todisco, altre volte un anagramma di Paci, cioè Pica, Cipa;
altre volte
un nome inventato. Questo perché lui non voleva si sapesse che
scriveva quei libri. Paci ha scritto anche il n° 2 della collana
Gialli 70 di Mario Ferrari, con il titolo: A Londra c’è Lamming di
Clive E. Cleeve.
Paci
scrisse un bellissimo Racconto
di Dracula “Il fiume di Sangue” ambientato in Irlanda descrivendo
meravigliosamente questa terra. Non
ci era mai stato, però si era documentato sui libri di geografia.
Quando andò in Francia scoprì che i suoi libri erano stati
pubblicati anche là.
Paci era venuto a Roma da Palermo nel 1947 per fare i concorsi e dimorò
prima a Vercelli, Venezia e poi Roma dove fece il giudice per 40 anni.
Egli aveva incominciato a scrivere e pubblicare con una
editrice anteriore alla Erp. Il suo primo romanzo lo pubblicò
alla editrice Spero, nel 1958 e si intitolava: “Il coltello nella
schiena”. Paci scriveva un libro in 10 giorni, alla sera, dopo il
lavoro. Scriveva con una macchina Olivetti lettera 22; faceva la
scaletta e si ispirava come
Manzoni: pensava un
po’,e poi vedeva i personaggi che si muovevano sulla sua scrivania.
Sua moglie correggeva, poi lui in macchina andava alla Erp per
consegnare il dattilo. Là ricorda Crudo, più anziano, Simonelli, il
lettore Cecchin che ebbe
un figlio morto nel 1968. Dopo telefonava per sapere se il testo era
stato accettato e andava a prendere l’assegno; 50.000 lire negli
anni 60.
Ecco
come l’Autore ricorda il suo lavoro di quei tempi lontani. Notiamo
che lo scrittore è molto, fin troppo, modesto.
Egregio
signor Bissoli,
innanzi tutto le voglio dire che io mi vergogno di sentirle dire che
lei é un mio ammiratore. Sono convinto che non c'é proprio niente da
ammirare. Io ho scritto tutto quell'iradiddio di romanzetti gialli
soltanto perché avevo bisogno di guadagnare qualcosa in più del
molto magro stipendio del magistrato all'inizio del suo lavoro.
Avevo lasciato un precedente impiego assunto quando mi pareva che si
potesse vivere non del proprio lavoro - qualunque fosse, sempre lavoro
è - ma di quello che si ritiene di essere o di essere capace di
diventare.
Mia moglie ed io vivevamo quasi senza quattrini in un buchetto di
appartamento a Monteverde Nuovo di Roma, cioè una di quelle solite
periferie che avevano centri nei loro mercati e nelle pestifere
architetture delle solite chiese moderne e dove la gente non riusciva
a parlare con un volume di voce normale. Il Quartiere semipopolare
costava meno che altrove. Studiavo per il concorso per diventare
magistrato senza alcuna esaltazione per la "quasi divina funzione
del giudice". Ma avevo bisogno di soldi per la pigione e per i
pasti, sia pure modesti. Mia moglie ed io avevamo vissuto - più lei
che me- in famiglie nelle quali si poteva mangiare spessissimo la
carne e il pesce e la frutta e molto di più.
Ma ci siamo adattati.
In quei tempi venne a farci visita a casa un mio amico, aspirante
regista teatrale, anche lui trapiantato da Palermo a Roma, e mi chiese
perché non scrivevo gialli.
Non avevo mai stimato la forma gialla della letteratura. Mi provai a
scrivere il primo (Un coltello nella schiena) e fu pubblicato.
Era la "tarda primavera" dell'anno 1957, e continuai a
scrivere anche dopo che superato il concorso e nominato giudice mi
scaraventavano qua e là per le nebbie padane dove soltanto perché
ero giudice non mi sfottevano perché ero siciliano. Ma era una specie
di secondo stipendio senza il quale mia moglie ed io, e poi i figli,
non avremmo potuto vivere dignitosamente.
Ho continuato poi con un ritmo di uno, o spesso anche due racconti al
mese, vergognandomene come un ladro e tralasciando nei cassetti le
cose che mi erano sempre sembrate molto più "esaltanti",
fino - mi pare - al 1975 o qualcosa del genere.
Il primo racconto scritto dopo quell'anteprima di coltelli nella
schiena senza l'aiuto del mio amico, che aveva trovato lavoro alla
RAI, fu pubblicato da un editore - Simonelli - che aveva l'Ufficio in
via Lombardia e dal quale mi recai senza conoscerlo per avere letto la
ragione sociale nelle ultime pagine di un libretto acquistato in
edicola. Mi fece l'effetto di un miracolo perché mi comunicò che non
poteva parami l'opera più di 50.000* lire non sapendo che il signor
giudice ne guadagnava 55.000.
Poi fui chiamato proprio dal dottor Cantarella con il quale stipulai
un patto di esclusiva e con il quale ho proseguito fino al termine
della mia attività. Andavo a prendere i soldi e a portagli i
manoscritti e mi intrattenevo qualche volta con il
"lettore", il signor Cecchini, con il quale diventammo quasi
amici e che stimava molto i miei racconti, mentre Cantarella fingeva
che si trattasse sempre di robetta da leggere durante i viaggi in
treno dei pendolari che passavano così il loro tempo.
Avevo il limite minimo e massimo di battute, limite che non doveva
essere superato per non infastidire i lettori pendolari. Non fu mai
difficile rispettarlo; dieci paginette a notte per undici notti. Forse
era addirittura divertente.
Non ricordo né trame né nulla di tutto quel mio lavoro, del quale
dicevo - e ne ero convintissimo - che era la mia macchinetta Olivetti
22 ammaestrata e indipendente a scrivere e non io. Ci creda chi vuole.
Due o tre ore alla sera, dopo le sentenze, guardando la Lettera 22.
Tutto qui. Non ci sono segreti. Non avevo trame complesse e, quando
incominciavo, non sapevo affatto che cosa avrei scritto. I personaggi
e le storielle venivano fuori per i fatti loro e, in un certo senso,
non mi davano confidenza.
Non c'è altro, salvo che adesso se rileggo un mio racconto è proprio
come se leggessi l'opera di un altro, perché non ne ricordo nemmeno
uno.
Non so che altro dirle, nemmeno dell'ambiente dell'Ufficio di
Cantarella, nel quale mi trattenevo pochissimo.
Spero che questo pasticcetto le sia utile e la ringrazio sempre per la
sua cortesia. Se capitasse a Roma, si faccia vedere.
Giuseppe Paci
* Tutto
ciò che è contenuto in questo articolo è © Sergio Bissoli.
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