Il racconto di LIVIO,
TITO - lib. VIII 24
Il
racconto di Tito Livio in latino
Il
racconto di Tito Livio in Inglese
TRADUZIONE IN ITALIANO
"
Egli (Il Molosso) aveva attorno di sé duecento
esiliati Lucani, ai quali accordava la sua confidenza; senza pensare
che una simil sorta di gente ha sempre la fede mutabile secondo la fortuna.
Intanto per le piogge continue, le quali giunsero ad inondare le vallate,
e a separare le altezze (colline) ne avvenne che l'esercito restò
assolutamente diviso in tre bande; in guisa che l'una non poteva porgere
aiuto all'altra.
Due di queste bande poste sopra i due colli, nei quali non stava la
persona del Re, furono all'improvviso oppresse e rotte dalla subitanea
venuta ed assalto dei nemici i quali tutti poi si volsero ad assediare
il Re medesimo, sul terzo colle. Ciò vedendo quei duecento esuli
Lucani si affrettarono a mandare messaggi ai compatrioti per trattare
della loro restituzione in patria; e, avendone ottenuto il consenso,
promisero di dare nelle loro mani il re, o vivo o morto. Ma Alessandro,
allora, con una sola compagnia di uomini scelti eseguì un'ardita
impresa. Attaccò, corpo a corpo, il capitano dè Lucani
e l'uccise; dopo di che, avendo raccolto i suoi che fuggivano dispersi,
giunse ad un fiume, in cui le recenti
ruine di un ponte indicavano il passaggio. Nel mentre che
l'armata traversava questo guado difficile, un soldato stanco ed affamato
dalla fatica, maledicendo al fiume e rimproverandogli quasi il suo nome
abominando, esclamò:" Giustamente sei chiamato Acheronte!".
A questa esclamazione il Re si arrestò turbato; si ricordò
del destino che gli era stato predetto; e, rimasto alquanto sospeso,
ondeggiava incerto se doveva, o no, passare alla opposta riva del fiume.
Allora Solimo, uno dei suoi ministri, vedendolo esitare in un pericolo
così presente, gli dimadò che intendeva fare, e così
dicendo, gli indicò i Lucani, che cercavano di sorprenderlo.
Infatti, Alessandro vedendoseli veramente arrivare in folla, non tardò
ad imbrandire la spada, e a spingere il suo cavallo per passare il fiume
e già, uscito dalla profondità delle acque, era giunto
nel guado sicuro, quando uno di quegli sbanditi Lucani con un dardo
lo passò da un canto all'altro. Cadde da cavallo il misero col
dardo infisso nella ferita, ed il fiume lo trasportò sino alle
poste dè nemici. Colà il cadavere fu preso, e lacerato
in una orribile maniera. Lo divisero in due parti; l'una mandarono a
Cosenza, e l'altra serbarono con loro a straziarla. Frattanto che si
divertivano a maltrattarlo, facendolo bersaglio a colpi di pietre e
di giavellotti tirati da lontano, una donna , mescolandosi alla turba,
che fuori ogni modo dalla umana rabbia incrudeliva, pregò che
si facesse sosta alquanto; e, ciò fattosi, disse loro lacrimando
che d'essa aveva il marito ed i figlioli prigionieri in Epiro, e com'essa
sperava poterli riscattare col corpo del Re, quantunque straziato e
mutilo si fosse. Così finì quel giuoco crudele. Quello
che avanzò delle membra fu sepolto a Cosenza per cura di una
sola donna: le ossa furono mandate ai nemici a Metaponto: indi trasportate
in Epiro alla moglie Cleopatra, ed alla sorella Olimpiade, delle quali
una fu madre di Alessandro Magno e l'altra sorella.
A
cura di Alberto Anelli
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