Inchiostro,
stampa e problemi connessi
UN
PO' DI STORIA
BREVE NOTA SUL FERROGALLICO
La storia dell'inchiostro (dal greco egkauston = impresso a fuoco, encausto, termine passato poi a definire la tintura rossiccia usata dagli imperatori bizantini per sottoscrivere lettere e decreti) in generale, e dell'inchiostro da stampa in particolare, non è molto ricca di dati. Nell'antichità i progressi ed i miglioramenti sono stati pochi, lenti e tra uno e l'altro sono passati dei secoli. Non aiuta nemmeno il fatto che buona parte delle formule ideate dagli "stampatori" venivano tenute segrete.
In linea di massima si ritiene che i primi "inchiostri" propriamente detti siano stati sviluppati dalle culture egiziana e cinese verso il 2.500 prima di Cristo. Il pigmento era costituito da residui carboniosi ottenuti bruciando olii diversi. Questo pigmento veniva quindi miscelato con resina ed acqua formando una soluzione colloidale. E' durato, in parecchi casi, circa 30/40 secoli, quindi lo si deve considerare con grande rispetto valutando con considerazione le sue qualità di durata e resistenza.
Nel 300 dopo Cristo i Cinesi produssero una sorta di tintura rossiccia, formata da linfa/resina di alberi mischiata con vari insetti appositamente allevati, che veniva utilizzata in una sorta di primitiva stampa xilografica.
Nel IV o V secolo dopo Cristo un tale Wei-Tang (sempre cinese) elaborò una formula composta dal residuo carbonioso di cui sopra , varie resine ed acqua. La novità era costituita dal sistema per ottenere il pigmento: mentre in precedenza venivano usati direttamente i residui degli oli bruciati, Wei-Tang bruciava gli oli sotto ad un imbuto che convogliava il fumo verso una copertura. Dalla copertura veniva quindi spazzolato via il residuo del fumo che veniva poi miscelato, etc. etc. Anche qui la sostanza ottenuta veniva utilizzata per una sorta di stampa xilografica oppure impastata a formare bastoncini per scrivere (una sorta di matite). Questo tipo di inchiostro, usato largamente in Oriente per oltre mille anni, veniva esportato in Occidente con il nome di Inchiostro Indiano o "inchiostro di China" (ancora oggi, nelle sue variazioni moderne, molti di noi lo preferiscono per un certo numero di utilizzazioni grafiche).
E' bene precisare che sin dall'epoca romana era in uso in Occidente anche un altro genere di inchiostro (inchiostro ferrogallico) ottenuto dalle "galle" di alcune piante (la gallozza della quercia, ricca di tannino ed acido tannico), vetriolo (solfato di ferro), resine ed acqua, le cui caratteristiche qualitative e di resistenza resero di uso comunissimo. Ne esistono varie formule ed i suoi componenti, in varia misura, sono stati utilizzati per un'enorme quantità di documenti manoscritti e stampati (xilografati). E' uno dei principali responsabili della corrosione "nei tratti" scritti o stampati, in quanto sostanzialmente "acido" e, benchè in origine abbastanza stabile, alcuni mutamenti intrinsechi od estrinsechi alla sostanza possono provocarne la degenerazione sino a produrre la "bruciatura" del supporto , quale che sia. Molti disegni o scritti attualmente marroni erano originariamente neri, ed il mutamento di colore prelude al processo degenerativo ed ai possibili danni allo specimen. Data la sua facilità di produzione (spesso veniva "fatto in casa", per così dire) ed il suo costo ridotto è stato utilizzato sino all'inizio del XX secolo, insieme agli altri inchiostri di cui vado cianciando.
Nel XIV secolo , visto che cominciava a venir utilizzata la calcografia (ricordate, le lastre di rame o ferro incise con acquaforte) e l'inchiostro indiano o di China funzionava male con i metalli, gli stampatori europei modificarono la formula sostituendo sostanzialmente l'acqua con olio di semi di lino. Tutta la faccenda veniva bollita insieme e poi veniva aggiunto il pigmento colorato, producendo un inchiostro insolubile in acqua e con particolari caratteristiche di adesione al supporto (carta, etc.). Sembra che lo stesso Gutemberg abbia prodotto una particolare formula di questo inchiostro che costituisce la base , il prototipo dei nostri moderni "inchiostri". La stessa procedura venne utilizzata anche con l'inchiostro ferrogallico, che intervenne, opportunamente modificato, in molti procedimenti di stampa calcografica e litografica.
Dal XVIII secolo vennero modificate le formule, i sistemi di produzione, di stmpa e di essicazione, venne migliorato il controllo dell'elasticità della "vernice" sino ad arrivare alla produzione dei pigmenti e delle resine sintetiche.
Gli ultimi cento anni sono stati fonte di drammatici mutamenti nei sistemi di inchiostratura e negli inchiostri, attualmente diversi per ogni genere di supporto, per caratteristiche di utilizzo,di destinazione, etc. etc.
Sostanzialmente è stato l'inchiostro di riferimento dal medioevo sino al 1950 e, se di buona qualità, ha considerevoli doti di durata, resistenza e colorazione. La reazione chimica tra tannino e sali di ferro era nota sino dall'antichità. Caio Plinio il Vecchio (23/79 d.C.) descrive un esperimento nel quale bagna con una soluzione di sali di ferro un papiro precedentemente impregnato di una soluzione di tannini, con il risultato di ottenere l'immediato annerimento deel papiro, originariamente color crema. Soltanto alcuni secoli dopo Marziano Capella (V secolo) fornisce una formula per la preparazione di un inchiostro, che egli chiama "gallarum gummeosque commixtio". L'epoca della transizione tra il cosiddetto inchiostro di China e l'inchiostro ferrogallico è imprecisabile, ma l'aumentata richiesta di inchiostri e la possibilità di produrlo facilmente resero quest'ultimo di uso comune già nel medioevo. Molti manuali di vita domestica indicano tra i compiti delle donne anche quello realtivo alla produzione dell'inchiostro. Le formule veniva passate da una generazione a quella successiva ed anche questo aspetto della questione rende sovente problematico intervenire sui documenti ai fini del restauro e della conservazione. Anche piccole variazioni nella formula possono risultare in reazioni impreviste e dannose sul documento quando si interviene con preparati pulenti o deacidificanti non appropriati. La necessità di creare un ambiente basico (alcalino) ai fini della conservazione (per ridurre i danni da acidificazione (bruciatura) dell'inchiostro o della carta) deve a volte essere ponderatacon attenzione proprio in seguito alla difficoltà di identificare le sostanze usate e di prevederne la reazione chimico/fisica. L'inchiostro ferrogallico era ancora ufficialmente utilizzato dal Governo Tedesco sino al 1973.
La sua formula base era composta da quattro sostanze: galle di varie piante (galle di quercia,galle di Aleppo, Cinesi, Giapponesi, ghiande, etc. etc.) vetriolo (o solfato di ferro, o sal Martis, cachantum per i Greci e attramentum per i Romani, spesso intercambiabile con il sorfato di rame o vytriolum ciprinum), resina o gomma arabica ( ottenuta dalla pianta dell'acacia e che costituisce il "legante" tra carta ed inchiostro) e acqua. Varie sostanze possono essere usate (e sono state usate) per modificare le caratteristiche finali dell'inchiostro, aumentando o diminuendo la quantità di acido gallico che si ottiene con la prima bollitura delle galle. Usando birra o vino per modificare tempi e caratteristiche della fermentazione che trasformerà l'acido gallotannico in acido gallico. Utilizzando aceto o altri acidi per rallentare una troppo anticipata precipitazione del preparato. Utilizzando zucchero , miele o resine per aumentare la brillantezza dell'inchiostro e rallentarne l'asciugatura. Insomma pasticciavano tutti come matti.
In seguito alla sua solubilità quest'inchiostro penetrava profondamente nella carta, rendendolo quasi indelebile. Una curiosa caratteristica delle preparazioni originali, appena fatte, è la loro particolare e chiarissima colorazione al momento dell'uso. Appena applicato l'inchiostro è quasi illeggibile e comincia ad scurire dopo un paio di secondi, con l'esposizione all'ossigeno atmosferico. Questo costringeva a preparare l'inchiostro con certo anticipo al fine di produrre in esso un parziale annerimento e permettere di leggere agevolmente quanto appena scritto. D'altra parte non era possibile aspettare troppo ad usarlo, perché l'ossidazione causava dei precipitati che riducevano la qualità dell'inchiostro. Insomma era sempre tutto un po' complicato e bisognava saperlo fare e saperlo usare. A volte, per ridurre i "precipitati" , venivano aggiunti pigmenti colorati (rossi, blu, anilina, etc.) ed acidi diversi (aceto, acido solforico,etc.). Mah!? E' curioso ma sono quasi sicuro di aver letto da qualche parte che, al fine di proteggere l'inchiostro ferrogallico dal gelo e dal freddo, era usuale aggiungere il brandy (quindi preparazioni alcooliche) come additivo.
inchiostro , etc. etc.
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