La gestione ordinaria degli elementi naturali e del paesaggio a livello comunaleDovendo scrivere qualcosa circa l’esperienza
pianificatoria che ho avuto la fortuna di poter portare avanti nel Comune
di Tricesimo grazie alla fiducia e alla collaborazione dimostratemi
dal personale tecnico e dagli amministratori di quel Comune, mi vengono
in mente soprattutto quelle che ritengo essere le potenzialità
dell’approccio originale adottato. “Perché questo piano? Un po’ di domande e di questioni generali. Il territorio di Tricesimo è per metà occupato da coltivazioni agricole mentre il resto è suddiviso più o meno in parti uguali tra zone urbanizzate (edifici e loro pertinenze) ed aree naturali (principalmente boschi e prati stabili). Cos’è quindi Tricesimo, un comune agricolo? Direi di no, troppe ville padronali, villette e negozi. Una lontana periferia udinese, allora, o un piccolo relitto naturale nascosto a cavallo tra pianura e morene? Forse è un po’ tutte e tre le cose: troppo vicino a Udine per non sentirne l’influenza, troppo condizionato da un passato agricolo per non continuarne la tradizione e troppo influenzato dalla presenza del Soima e del Cormor per essere totalmente privo di ambienti naturali di un certo pregio. Tricesimo è in sintesi un comune che per la sua localizzazione e le sue caratteristiche ambientali ha una forte connotazione di “cintura verde” del capoluogo friulano, pur mantenendo una propria identità geografica e culturale distinta. Può godere dei privilegi urbani senza privarsi delle bellezze della natura e del calore umano propri dei piccoli centri. La “qualità” è la sua vocazione, qualità agricola, residenziale, ricreativa e ricettiva poiché vi sono tutte le premesse ambientali per lo sviluppo di questi settori. Ma un concetto deve essere chiaro, anzi chiarissimo e sul quale si deve essere tutti d’accordo: senza un ambiente naturale ed un conseguente paesaggio di standard elevato non può al giorno d’oggi esserci alcuna qualità né residenziale, né agricola né di altro tipo. Si provi a sradicare i boschi per avere campi più lunghi, abbattere le piante più belle dei parchi per costruire villette, arare i prati per avere più mais: una volta fatto tutto questo, quanto potranno chiedere gli impresari edili per una casa costruita in mezzo ad un deserto o ad un caotico prolungamento della periferia udinese e quale azienda agricola potrà più sperare, per sopravvivere in un mercato agricolo senza sostegno dei prezzi, di fare agriturismo o vendere prodotti biologici degni di tale nome (e di tale prezzo)? E questo non è un discorso ecologico-paesaggistico-ambientalista, è un ragionamento economico che, analizzata la realtà specifica del territorio tricesimano, vede nella qualità ambientale presente e potenziale un valore aggiunto da non buttare nel cestino dell’immondizia. La domanda successiva che nasce spontanea è: come assicurare questa qualità ambientale che, di fatto, è una entità vaga, complessa, variabile e sfuggente? E soprattutto che presenta un problema di fondo non di poco conto: e cioè riguarda quasi sempre gli “altri”. Il panorama che godo da casa mia è fatto di boschi, alberi, campi, prati, ecc. che non sono di mia proprietà ma dei miei vicini. Posso forse dir loro cosa fare e cosa non fare di questi elementi che costituiscono il “mio” panorama? Posso impedire loro di dissodare tutto e modificare gli scoli delle acque, arare, costruire o far diventare il mio panorama un deposito permanente di attrezzi in disuso e carabattole varie? Difficile se non c’è uno strumento al di sopra delle parti (e quindi uno strumento normativo pubblico) e soprattutto se non ci si rende conto che è comunque una faccenda reciproca: i miei vicini costruiscono il mio panorama che dà valore ai miei terreni (o alla mia casa) ma nello stesso tempo la mia casa, i miei alberi e i miei prati sono il “loro” panorama che dà valore ai loro terreni e alle loro case. L’ambiente e il paesaggio sono quindi un bene comune, di tutta la cittadinanza. Quindi conviene un po’ a tutti “cedere” di un passo e rinunciare alla frase “sul mio posso fare tutto quello che mi pare” in favore della frase “sul mio posso fare tutto quello che mi pare purché non danneggi gli altri”. Definire un po’ meglio il “purché non danneggi gli altri” (dal punto di vista dell’ambiente e del paesaggio, dato che per il resto ci sono il Codice Civile e mille altre norme) è il difficile ma necessario compito che si è dato il Comune di Tricesimo il quale ha recentemente adottato un piano del “verde” (il Piano degli elementi naturali e paesaggistici del Comune di Tricesimo) che intende mettere un po’ di ordine nelle questioni dell’ambiente naturale, questioni già affrontate anche se per forza di cose in modo generico dai piani regolatori comunali. Questi ultimi si occupano infatti prevalentemente di case, strade e di tutto ciò che riguarda l’edificare, il ristrutturare, l’ampliare, specificando nel dettaglio dove e come si può lavorare con cemento e mattoni per rispettare una certa razionalità urbanistica e realizzare degli interventi che non stonino con l’ambiente costruito circostante. Sono tali e tanti i problemi che i piani regolatori devono affrontare che quando si arriva ai capitoli sull’ambiente naturale, sia esso urbano (la tutela degli alberi più grandi e belli) che rurale (si possono estirpare i boschi, dissodare i prati stabili, ecc.?), si incontrano spesso norme generiche e a volte vaghe perché, in effetti, la gestione della natura è tutt’altra questione, un universo completamente diverso. Questa genericità è ancora più evidente quando si parla di leggi regionali o nazionali (come la ex legge Galasso), che cercano di salvare in extremis quel poco di natura che è rimasto. Questi strumenti normativi non sanno rispondere a due domande fondamentali: è veramente poca la natura rimasta a Tricesimo? E soprattutto: è una natura di “qualità” quella che c’è o si tratta di quattro alberi, magari di origine nordamericana (come l’ ”acacia” che è così presente nelle nostre campagne), piantati cinquant’anni fa da un agricoltore? E così, nell’incertezza, di solito si vincola tutto in blocco, senza graduare la tutela in base all’effettivo valore di quel dato bosco (o albero, o prato, …) o si demanda la decisione ad una commissione edilizia che non sa, in assenza di norme precise e di componenti laureati in materie ambientali, che pesci pigliare. Il piano del “verde” di Tricesimo cerca di riempire questo vuoto che non è solo un buco normativo ma soprattutto di strategia. Cosa fare dell’ambiente naturale? Farlo diventare un Far West, dove tutto è lecito, o una riserva indiana, intoccabile ed immobile? Il piano cerca di andare al di là di queste posizioni ideologiche che hanno contraddistinto in passato gli accesi scontri tra ambientalisti da un lato e i “consumatori” (di risorse) dall’altro e propone una strategia di sviluppo sostenibile non generica ma basata sulla conoscenza dettagliata di ciò che c’è nel territorio e degli interventi che possono migliorarne la qualità o portare ad un suo peggioramento. Ci sono anche altre questioni che il piano ha voluto affrontare, come l’abbandono delle zone agricole marginali (ad esempio la valle del Cormor), i pericoli idrogeologici derivanti dall’esecuzione di nuovi interventi, il motocross ed altre ancora. Ci si rende conto, dopo quanto scritto fin qui, che le questioni affrontate sono molto complesse perché la natura è ricca di sfumature ed in costante evoluzione e l’uomo è un essere molto suscettibile, che protesta quando il vicino taglia un albero che “era lì da quando ero bambino” ma che sulla sua proprietà non vuol sentirsi dire da nessuno di non tagliare gli alberi. Ne è risultato un piano altrettanto complesso nella sua costruzione ma piuttosto semplice nel suo utilizzo.” |