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PRIVACY: LE REGOLE PER LE STRUTTURE SANITARIE
http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/sanita_privacy/index.html

Al cittadino che entra in contatto con le strutture sanitarie per diagnosi, cure, prestazioni mediche,
operazioni amministrative, deve essere garantita la più assoluta riservatezza e il più ampio rispetto
dei suoi diritti fondamentali e della sua dignità.

Lo ha stabilito il Garante per la protezione dei dati personali con un provvedimento generale, adottato il 9 novembre scorso, nel quale ha prescritto ad organismi sanitari pubblici e privati (aziende sanitarie territoriali, aziende ospedaliere, case di cura, osservatori epidemiologici regionali, servizi di prevenzione e sicurezza sul lavoro) una serie di misure da adottare per adeguare il funzionamento e l'organizzazione delle strutture sanitarie a quanto stabilito nel Codice sulla privacy e per assicurare il massimo livello di tutela delle persone.

Queste alcune delle misure da rispettare. La tutela della dignità della persona deve essere sempre garantita.

 

Quando prescrive medicine o rilascia certificati, il personale sanitario deve evitare che le informazioni sulla salute dell'interessato possano essere conosciute da terzi.

 

Ospedali e aziende sanitarie devono predisporre distanze di cortesia, sensibilizzando anche gli utenti con cartelli, segnali ed inviti. L'organismo sanitario può dare notizia, anche per telefono, sul passaggio o sulla presenza di una persona al pronto soccorsoe sulla presenza dei degenti nei reparti, ma solo ai terzi legittimati, come parenti, familiari, conviventi.


Nei locali di grandi strutture sanitarie i pazienti, in attesa di una prestazione o di documentazione (es.
analisi cliniche), non devono essere chiamati per nome. Si possono dare informazioni sullo stato di salute
a soggetti diversi dall'interessato quando questi abbia manifestato uno specifico consenso.

 

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Autorità Garante della Privacy - Il diritto del dipendente di accedere al proprio fascicolo personale
Il Garante stabilisce il diritto d ogni dipendente a visionare i documenti che lo riguardano senza alcun limite e nel farlo può essere assistito da una persona di fiducia al fine di essere consigliato sugli atti d’interesse; pertanto le aziende devono adottare tutte quelle misure di tipo organizzativo, atte ad agevolare l’accesso alle informazioni conservate nei propri archivi.

Nella stessa decisione vengono inoltre definite, per le quelle aziende che vietino o non facilitino l’accesso del dipendente alla propria documentazione, le sanzioni penali previste dalla legge sulla privacy e l’eventuale risarcimento delle spese sostenute dal lavoratore che non sia riuscito a consultare le informazioni alle quali ha diritto di accedere.

Decisione del 10 luglio 2000 dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.

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Il consenso informato

Le norme sulla dovuta informazione da parte del sanitario al paziente per l' acquisizione del consenso informato prevedono per le prestazioni comuni, esenti da pericoli o rischi, un consenso generico implicito nella richiesta della prestazione stessa; mentre per le prestazioni a maggior rischio (es.: atti chirurgici) occorrono invece informazioni sempre più specifiche.

In tal caso il sanitario ha l’obbligo di informare esaurientemente e specificatamente, non in modo generico quindi, in relazione alla tipologia del trattamento, sulle possibili conseguenze o difficoltà ed eventuali rischi prevedibili (escludendo quelli rari), nonche' sulle scelte alternative e i loro rischi specifici così da concedere al paziente la possibilità di scegliere tra diversi tipi di intervento.

Dal Comitato Italiano di Bioetica

le informazioni " dovranno essere veritiere e complete, ma limitate a quegli elementi che cultura e condizione psicologica del paziente sono in grado di recepire ed accettare, evitando esasperate precisazioni di dati (percentuali esatte … di complicanze, di mortalità, insuccessi funzionali) che interessano gli aspetti scientifici del trattamento".

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Diligenza, imperizia e imprudenza

“La responsabilità  professionale va  valutata alla stregua  del dovere di  diligenza, a prescindere dal criterio “del buon padre di  famiglia”, relativa alla  natura dell'attivita' esercitata”.

Nel caso della prestazione professionale il concetto di  diligenza, come criterio di responsabilità, comporta la perizia intesa come quel complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d'appartenenza.

In tal senso và sottolineato anche il ruolo che l'aggiornamento costante del professionista svolge come valutazione della sua condotta diligente e di responsabilità.

Lo stesso codice deontologico afferma che tale necessità è imprescindibile e ricompresa nel principio di standard medio, che per forza di cose deve essere "aggiornato", poichè la prestazione del professionista nasce da conoscenze aggiornate e quindi tecnicamente apprezzabili.

E’ inconcepibile la pretesa di una prestazione che non sia aggiornata, proprio in quanto spetta al debitore della prestazione mettersi in condizione di adempiere diligentemente per rispondere al meglio alla richiesta del creditore e, soprattutto, di continuare a mantenere uno statos che gli consenta la prosecuzione diligente della propria attività.

Stando alla giurisprudenza (art. 2236 cod. civ.) il concetto di imperizia si riconduce solo ai giudizi ispirati a criteri di severità e non all’imprudenza e incuria.

Per comprendere meglio è necessario configurare la diligente prestazione del professionista come una prestazione di assoluta delicatezza ed importanza tanto da richiedere una professionalità adeguata agli standard medi di riferimento.

In essa è prevista una responsabilità, limitata alla colpa grave o dolo, soltanto in presenza di particolari problemi tecnici, esclusi l’imprudenza l’incuria, di particolare difficoltà che prevaricano le  doverose conoscenze teorico-pratiche del professionista.

Ora, per mantenere una condotta diligente in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà ai quali le nostre conoscenze non possono far fronte è non ritardare la prestazione, usufruire di tutte le possibilità che la scienza consenta ed indirizzare ad altri operatori, maggiormente specializzati, nell'esclusivo interesse del paziente.

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La colpa lieve e la colpa grave

“Del danno procurato il  professionista risponde anche per colpa lieve quando per omissione di  diligenza ed  inadeguata preparazione provochi un danno  nell'esecuzione della sua attività.

Risponde di colpa grave quando il caso affidatogli  sia di  particolare  complessità che sula dalle sue conoscenze o perchè la metodica non è ancora  sperimentata o studiata a sufficienza”.

 

Secondo l'elaborazione giurisprudenziale (art. 2236 c.c.) la  responsabilità per colpa lieve risulta essere un campo variegato che esclude i casi d'imprudenza e incuria e si estende al patrimonio di conoscenze richieste al professionista medio.

 

Stando all'art. 1176, II c. cod. civ.  la responsabilità professionale per colpa lieve si configura quando il professionista non abbia posto in essere una prestazione “diligente”  per fronteggiare un caso ordinario; ossia quando si sia trovato a prestare la propria opera non per risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà, ma dovendo esercitare la sua professione al cospetto di casi ordinari per affrontare i quali si ritiene necessario, nonché doveroso ed adeguato, il bagaglio tecnico del professionista medio appartenente al medesimo settore.

La responsabilità di colpa grave del professionista sarà solo quando egli abbia, nell’affrontare problemi tecnici di speciale difficoltà, per imperizia abbia cagionato il danno.

Qualora il danno derivi da incuria o imprudenza la valutazione sarà più severa e rigorosa.

 

Concludendo la responsabilità di colpa lieve entra in gioco quando anche la più diligente delle prestazioni trova ostacoli di ordine tecnico straordinario tali da travalicare le conoscenze attinenti allo standard professionale di riferimento.

 

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