FASCITE PLANTARE
La fascite plantare è un'infiammazione della fascia plantare che si espande dal calcagno alle dita del piede, sostenendo la volta plantare. L’infiammazione sembrerebbe essere causata da ripetuti microtraumatismi e microlacerazioni in trazione sulle inserzioni della fascia plantare e del flessore breve delle dita e si associa a una periostite reattiva da trazione. La presenza di uno sperone calcaneare sull’inserzione del flessore breve dell’alluce e delle dita è stata messa in relazione con il dolore sottocalcaneare (per la prima volta nel 1915), ma tra le due condizioni non è stato mai stabilito un rapporto certo. Speroni calcaneari sono effettivamente presenti nella metà circa dei pazienti con una sindrome dolorosa sottocalcaneare, ma è altrettanto vero che spesso si riscontrano in pazienti assolutamente asintomatici. Si deve dunque concludere che gli speroni calcaneari non possono essere considerati l’unica causa del dolore, essendo probabilmente il risultato e non il fattore determinante dell’infiammazione cronica della fascia. La diagnosi viene fatta dopo una visita accurata presso lo studio che si serve di un esame radiologico. Ciò per escludere patologie ossee che potrebbero causare una sintomatologia simile, come le fratture da stress locale, le artriti oppure i tumori.
l
ventaglio degli interventi
Il paziente colpito da un dolore calcaneare dovuto a fascite plantare dovrebbe
essere informato che la sintomatologia è spesso lenta nella sua risoluzione e
che talvolta la remissione non è completa. Il trattamento si divide in
interventi relativamente incruenti (basati su farmaci, ortesi, terapie fisiche,
terapie strumentali e tecniche infiltrative) e interventi cruenti basati su
tecniche chirurgiche.
I primi trattamenti consistono nella
sospensione di eventuali attività sportive, nell’utilizzo di ortesi in
polimeri viscoelastici (le cosiddette talloniere) e in una terapia con
antinfiammatori non steroidei per un congruo periodo di tempo (4-6 settimane).
Vengono anche indicati in letteratura esercizi di elongazione della fascia
plantare e della muscolatura del polpaccio e ortesi di elongazione della fascia
plantare da posizionare nelle ore notturne, queste ultime peraltro recentemente
riconosciute poco efficaci se confrontate con la sola terapia farmacologica
(Probe 1999).
E’ possibile eseguire iniezioni di preparati cortisonici nella fascia plantare
anche sotto guida ecografia (Kane 2001). Questa procedura non è scevra da
rischi e da effetti indesiderati, come una progressiva riduzione ed
assottigliamento del cuscinetto calcaneare dovuta all’azione del cortisone.
In caso di fallimento delle terapie farmacologiche locali o sistemiche e di
quelle fisiche, è stata proposta anche una terapia basata sulle onde d’urto
extracorporee (Orgden 2002). Tale terapia, eseguita con l’utilizzo di un
litotritore (apparecchio simile, ma più piccolo, a quello utilizzato per
frammentare i calcoli renali), si prefigge di cruentare, mediante le onde
d’urto, la fascia plantare. Questo intervento provoca un aumento locale della
vascolarizzazione dovuto a microemorragie e neoangiogenesi reattiva, la
successiva riparazione della fascia e un progressivo smorzamento del processo
infiammatorio cronico. Il trattamento provoca dolore durante l’esecuzione,
tanto che si può rendere necessaria un’anestesia locoregionale. L’efficacia
delle onde d’urto, comprovata ormai da numerosi studi, è stata di recente
messa in discussione (Buchbinder 2002). Tuttavia, la lunga esperienza clinica,
il ricorso talora fallimentare alla chirurgia e la presenza di effetti
collaterali controllabili e limitati al momento dell’applicazione fanno
ritenere questo trattamento una scelta terapeutica tuttora valida, a seguito del
fallimento di altri interventi minori e prima di un’indicazione chirurgica.
In caso di fallimento dei precedenti tentativi può essere giocata la carta dell’intervento chirurgico, basato sulla sezione parziale della fascia con escissione dello sperone calcaneare ed eventuale neurolisi in caso di intrappolamento nervoso (Woelffer 2000). In questi casi il paziente deve comunque essere informato della possibilità che la chirurgia non porti ad alcun miglioramento. Il trattamento cruento, quindi, deve essere indicato solo dopo un adeguato periodo di persistenza dei sintomi nonostante gli interventi incruenti eseguiti in un paziente molto motivato.
La tecnica endoscopica permette di realizzare, grazie ad una strumentazione adeguata, un release della porzione mediale della fascia plantare, mediante due piccoli fori nella regione calcaneare mediale e laterale. L'anestesia è locale ed al paziente viene consentito il carico immediato per mantenere in tensione la fascia plantare ed evitare la formazione di aderenze post-chirurgiche.
In 7 giorni il paziente riprende l'utilizzo della scarpa da jogging ed in 3 settimane torna alle attività lavorative e sportive.
http://www.occhioclinico.it/occhio/pra2003/01pra.html