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WILPF Italia - Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà

Palestina 15 maggio 1948-2001 Nakba
La Catastrofe (per salvare il ramo d'olivo disseccato)
The Catastrophe (saving the parched olive branch)

'La nostra catastrofe è stata la creazione di Israele'

Il poeta palestinese Mahmoud Darwish commemora il 53° anniversario di ciò che il suo popolo chiama "la catastrofe", la creazione di Israele il 15 aprile 1948.
Egli pronuncerà queste parole in Ramallah, dove vive..

Mahmoud Darwish

Guardian Unlimited

Lunedì 14 maggio 2001

Oggi è il nostro giorno della memoria. Noi non abbiamo bisogno di guardare indietro a ciò che accadde ieri per richiamare alla mente la cronologia dei crimini perpetrati. Il presente è un ricordo vivente della catastrofe, la nakba, i tragici eventi che si stanno ancora dispiegando. Non abbiamo bisogno di ricordare una tragedia umana tutt'ora in corso che si ripropone continuamente per noi da 53 anni.

Noi siamo tuttora feriti dai fattori di quella tragedia. Noi stiamo tutt'ora resistendo all'espressione dei suoi effetti, qui e ora, sul suolo della patria dove siamo nati, la nostra sola patria. Come possiamo dimenticare ciò che è avvenuto su questa nostra terra natia, una patria che sta ancora perdendo bambini in questa catastrofe?

Non possiamo dimenticare perché i nostri ricordi collettivi e individuali rimangono fertili e capaci di richiamare alla mente il nostro triste passato, la cronologia del quale è la cronologia di una terra e di un popolo, la cronologia della tragedia e dell'eroismo, la cronologia di un racconto scritto con gocce di sangue, l'aperto conflitto aperto fra ciò che diciamo e ciò cui aspiriamo.

Se gli artefici israeliani di questa nakba, questa catastrofe, dichiarano che questo è il giorno del ricordo che la guerra del 1948 è finita, stanno solamente esponendo il miraggio di una pace che è apparso in lontananza nel decennio passato, nel quale dichiaravano di voler porre termine al conflitto con una giusta distribuzione di territorio. Hanno soltanto esposto l'impossibilità di mettere il progetto sionista e la pace nello stesso cesto, poiché lo scopo e l'ordine del giorno di questo progetto è tutt'ora quello di distruggere l'identità della popolo palestinese.

La comprensione dei Palestinesi di questa guerra si incarna nella loro esposizione ad un massiccio sradicamento. Si incarna nel loro essere trasformati in rifugiati all'interno e al di là della loro patria.

Si incarna nel tentativo di espulsione dall'esistenza, dallo spazio, dal tempo, dopo l'usurpazione delle loro case e delle loro storia, dopo la trasformazione di questo popolo da una entità integra nel tempo e nel luogo in un sovrapiù spettrale di bisogni e di esiliati dall'esistenza.

Ma gli artefici della nakba, della catastrofe, hanno fallito il tentativo di infrangere la volontà del popolo Palestinese e sradicare la loro identità nazionale, attraverso diaspore, con i massacri, attraverso la pretesa che il miraggio fosse una realtà, attraverso la produzione di una storia contraffatta e falsificata.

Nelle passate cinque decadi hanno fallito il loro obiettivo di spingerci nell'assenza o di gettarci in uno stato di demenza e di amnesia.

Non sono riusciti a rimuovere la realtà palestinese dalla coscienza del mondo, attraverso la creazione di un mito o con la creazione di una immunità morale che dà alle vittime di ieri il diritto di produrre le vittime con ciò che fanno oggi.. Un carnefice non può giustificarsi indossando il più santo degli abiti.

Oggi il ricordo della nakba viene nel mezzo delle avversità patite dai palestinesi mentre difendono la loro umanità e dignità essenziali, il loro diritto naturale alla libertà e all'auto-determinazione su parte della loro patria storica, dopo avere fatto concessioni aggiuntive a quelle previste dal diritto internazionale per rendere la pace possibile.

Quando si è avvicinato il momento di rendere conto, la comprensione israeliana della pace ha rivelato i suoi veri colori: la ripresa dell'occupazione sotto un' apparenza differente, sotto presupposti più favorevoli e meno costosi di quelli di una potenza d' occupazione.

L'intifada, ieri, oggi e domani, è la naturale e legittima espressione della resistenza ad una schiavitù inflitta da una occupazione che pratica le più striscianti forme di discriminazione razziale - una occupazione che colpisce - sotto l'apparenza di un fraudolento processo di pace, per spogliare i Palestinesi delle loro terre e delle loro vite, e per isolarli in sovrapopolati Bastustans scollegati e circondati da insediamenti di coloni e by-pass roads, mentre si offre ai Palestinesi una saporita carota - in cambio di accordi per "mettere una fine a rivendicazioni e combattimenti" - la saporita carota di mettere il nome del loro stato a grandi prigioni nelle quali devono stare buoni e allineati come in una gabbia.

L'intifada non rappresenta una rottura con l'idea di pace, ma è un tentativo di salvarla da un ripugnante labirinto di razzismo, per ricongiungerla con i suoi veri genitori, i suoi genitori che sono la giustizia e la libertà, niente di meno. L'intifada tenta di ricongiungere la pace con i suoi legittimi genitori attraverso la resistenza alla continuazione dell'impresa coloniale israeliana nella West Bank e a Gaza sotto l'apparenza di un processo di pace che la leadership israeliana ha privato di ogni significato e sostanza.

Le nostre mani sanguinanti sono ancora capaci di salvare il ramo di olivo essiccato dai frammenti di alberi che l'occupazione ha fatto a pezzi, se gli israeliani sono pronti a riconoscere i nostri legittimi diritti nazionali, così come definiti dal diritto internazionale, davanti ai quali sta in primo luogo il diritto al ritorno, il ritiro completo dai territori Palestinesi occupati nel 1967, e il diritto all'autodeterminazione in uno stato sovrano la gui capitale è Gerusalemme. Non può esserci pace sotto l'occupazione militare. Non vi puà essere pace tra padrone e schiavi.

La Comunità internazionale non può continuare a gettare uno sguardo da cieco su quello che sta accadendo oggi in terra di Palestina, così come ha fatto durante l'anno della nakba. L' occupazione israeliana continua a distruggere ed assediare la società palestinese. Continua ad uccidere ed assassinare, con ogni oncia di energia distruttiva che ritiene appropriata, usando le sue armi contro un popolo isolato che sta difendendo quello che rimane della sua identità ed esistenza minacciate, difendendo ciò che rimane delle macerie disseminate dells sue case, difendendo ciò che resta dei suoi frutteti.

L' interesse dei paesi e dei popoli del mondo sul confronto che avviene oggi in Palestine ed il loro sostegno al popolo Palestinese - un popolo che è stato privato di una vita ordinaria, normale - dimostrerà in che misura i valori della libertà, della giustizia e dell' uguaglianza abbiano ancora un margine di credibilità.


'Our catastrophe was the creation of Israel'

The Palestinian poet Mahmoud Darwish commemorates the 53rd anniversary of what his people call "the catastrophe", the creation of Israel on April 15 1948. He will deliver his speech tomorrow in Ramallah where he lives.

Mahmoud Darwish

Guardian Unlimited

Monday May 14, 2001

Today is our day of remembrance. We needn't look at what happened yesterday to recall the chronology of crimes perpetrated. The present is a living reminder of the catastrophe, the nakba, the tragic events of which are still unfolding.

We do not need to be reminded of an ongoing human tragedy which has haunted us for the past 53 years. We are still cut by the elements of that tragedy here and now. We are still resisting the expression of its effects, here and now, on the soil of our homeland, our only homeland. How can we forget what happened on this motherland of ours, a motherland which is still losing children to this catastrophe?

We cannot forget because our collective and individual memories remain fertile and capable of recalling our sad past, the chronology of which is the chronology of a land and a people, the chronology of tragedy and heroism, the chronology of a tale related in drops of blood, in open conflict between what we are told to be, and what we aspire to be.

If the Israeli makers of this nakba , this catastrophe, are declaring on this day of remembrance that the war of 1948 is not yet over, they are merely exposing the mirage of a peace which has loomed large over the past decade, in which they claimed to put an end to the conflict through just apportionment of land. They have only exposed the impossibility of putting the Zionist enterprise and peace in the selfsame basket, when the aim and agenda of this enterprise is still to annihilate the identity of the Palestinian people.

The Palestinians' understanding of this war is embodied in their exposure to a massive uprooting. It is embodied in their being transformed into refugees within their own homeland and beyond it. It is embodied in the attempt to expel them from being, from space, from time, after the usurpation of their homes and their histories, after their transformation from an honest entity in time and place to a ghostly surplus to requirements, exiles from being.

But the makers of the nakba, of the catastrophe, failed to break the will of the Palestinian people and to eradicate their national identity, through diasporisation, through massacre, through pretending that the mirage was a reality, through the production of a counterfeit history. In the past five decades they have failed to push us into absenting ourselves or to cast us into a state of amnesic dementia.

They failed to dismiss the Palestinian reality from world consciousness, either through myth-creation or through creating a moral immunity which gives the victims of yesterday the right to produce victims of their own making today. A hangman cannot justify himself by donning the holiest of robes.

Today the remembrance of the nakba comes in the midst of the hardships suffered by Palestinians while they defend their essential humanity and dignity, their natural right to freedom and to self-determination on part of their historical homeland, after making concessions over and above those expected by international law to make peace truly possible.

When the moment of reckoning drew closer, the Israeli understanding of peace revealed its true colours: the resumption of the occupation under a different guise, under preconditions more favourable and less costly to the occupying power.

The intifada, yesterday, today and tomorrow, is a natural and legitimate expression of resistance to slavery brought on by an occupation practising the worst forms of racial discrimination - an occupation which strives, under the guise of a fraudulent peace process, to strip Palestinians of their lands and livelihoods, and to isolate them in demographically unconnected Bantustans surrounded by settlements and by-pass roads, whilst they are offered the luscious carrot - in return for agreeing to "put an end to claims and struggles" - the luscious carrot of putting the name of their own state to the spacious prisons in which they have been well and truly caged.

The intifada does not represent a breakaway from the idea of peace, but it does try to salvage this idea from an abhorrent maze of racism, and reunite it with its real parents, its parents being justice and freedom, no less. It tries to reunite the peace with its legitimate parents by means of resisting the continuance of the Israeli colonialist enterprise in the West Bank and Gaza under the guise of a peace process which the Israeli leadership has deprived of all meaning and substance.

Our bleeding hands are still capable of saving the parched olive branch from the debris of trees which the occupation has chopped down, if the Israelis are ready to come of age and acknowledge our legitimate national rights, as defined by international law, at the forefront of which are the right of return, and full withdrawal from Palestinian lands occupied in 1967, and the right to self-determination in an independent sovereign state whose capital is Jerusalem. There can be no peace under military occupation. There can be no peace between master and slave.

The international community cannot continue to cast a blind eye to what is happening today on the land of Palestine, as it did in the year of the nakba. The Israeli occupation continues to destroy Palestinian society and besiege it. It continues to kill and assassinate, with every ounce of destructive energy it deems appropriate, using its weapons against an isolated people that is defending what remains of its threatened identity and existence, defending what remains of its debris-strewn homes, defending what remains of its orchards.

The interest of the world's countries and peoples in the confrontation taking place in Palestine today, and their support of the Palestinian people - a people which has been deprived of an ordinary, normal life - is a test of a moral stance that will reveal to what extent the values of freedom, justice and equality have credibility.

Traduzione - Translation
Rolando Dubini

Grazie a / Thanks to
Giovanna Lelli
c/o Palestinian Center for Rapprochement between People
www.rapprochement.org