LE INTERSEZIONI DELLA STRUTTURA DI ORDINE NUOVO CON GLI APPARATI MILITARI INTERESSATI ALLA GUERRA NON ORTODOSSA
IL RUOLO DEL GENERALE ADRIANO GIULIO CESARE MAGI BRASCHI
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Al fine di mettere a fuoco in via conclusiva le intersezioni tra la strategia degli attentati e delle stragi e le strutture finalizzate a mutamenti illegali del quadro istituzionale nell’Italia degli anni ‘60/’70, appare necessario, terminata la fase espositiva delle più dirette emergenze processuali relative ai vari episodi criminosi, esaminare le intersezioni fra la struttura occulta di Ordine Nuovo e gli apparati militari attivi in quel periodo nel campo della guerra non ortodossa e della guerra psicologica contro il pericolo sovversivo.

Infatti, a dispetto dei proclami di guerra nazional/rivoluzionaria presenti nei testi di Ordine Nuovo e nelle prese di posizione dei suoi principali esponenti, che avrebbero comportato, come ha sempre sottolineato Vincenzo VINCIGUERRA, un coerente rifiuto dei due blocchi militari (quello comunista, ovviamente, e quello nato anche dall’ "occupazione" del nostro Paese da parte delle forze anglo/americane) e un rifiuto del mondo conservatore e borghese secondo gli ideali più puri dei combattenti della R.S.I., sembra ormai certo che l’organizzazione di RAUTI, MACERATINI, MAGGI e SIGNORELLI, solo per citare gli ideologi più noti, non abbia affatto disdegnato il contatto e l’alleanza con gli apparati istituzionali e con il mondo militare ufficiale, attestato su posizioni di difesa ad oltranza della scelta di campo atlantica e contrario a qualsiasi forma di "scivolamento", anche timido, del Paese a sinistra.

Figura centrale di tale intersezione, oltre all’intera vicenda dell’arruolamento degli ordinovisti nei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO già trattata nella prima sentenza/ordinanza, è quella di un generale, sconosciuto all’opinione pubblica e ai mass-media, e cioè il generale Adriano Giulio Cesare MAGI BRASCHI, uno dei massimi esperti e propagandisti, per oltre 40 anni, delle tecniche della guerra non ortodossa.

La figura del generale MAGI BRASCHI è emersa per la prima volta da alcuni interrogatori di Ettore MALCANGI, l’esponente della destra milanese latitante per lungo tempo a Villa d’Adda con Carlo DIGILIO, decisosi, con la sua testimonianza e nei limiti delle sue conoscenze, a far chiarezza su alcuni aspetti equivoci dell’ambiente politico in cui aveva a lungo militato.

Ettore MALCANGI ha riferito che Carlo DIGILIO, durante il periodo della comune latitanza, gli aveva confidato di aver avuto rapporti con ambienti della C.I.A. e che aveva conosciuto un importante generale, in qualche modo legato alla N.A.T.O. di Verona, il cui cognome, secondo il ricordo di MALCANGI, era FRASCA o BRASCA o BRASCHI (int. MALCANGI, 2.10.1995, f.3, e annotazione del R.O.S. sulle strutture di intelligence, 8.5.1996, vol.23, fasc.9, f.115).

Con questo generale, Carlo DIGILIO aveva partecipato ad una riunione che si era svolta intorno al 1973, probabilmente al Centro CARLOMAGNO di Verona, cui erano presenti esponenti di tutte le componenti dell’area di destra e di estrema destra: il dr. MAGGI per Ordine Nuovo, Giuliano BOVOLATO per le S.A.M. di Milano, Carlo FUMAGALLI per il M.A.R. e il colonnello SPIAZZI per i NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO.

Tale riunione serviva per mettere a punto una strategia comune di mutamento istituzionale (int. citato, f.4, e int. 17.10.1995, ff.2-3).

La figura di tale generale è comparsa poco dopo nelle deposizioni di Roberto CAVALLARO, uomo di fiducia del colonnello SPIAZZI negli anni ‘70 e principale testimone nell’inchiesta sulla ROSA DEI VENTI, rese a personale del R.O.S. in data 23.1.1996 e 26.2.1996.

Roberto CAVALLARO aveva sentito parlare del generale BRASCHI dal colonnello SPIAZZI e da altri militari aderenti alla ROSA DEI VENTI.

Si trattava di un alto ufficiale dell’Esercito Italiano legato, fra l’altro, ad esponenti dell’O.A.S. come Jacques SOUSTELLE e soprannominato "FORTEBRACCIO", con un richiamo significativo al famoso capitano di ventura, o "FORTE BRASCHI", con un richiamo alla località, appunto Forte Braschi a Roma, ove hanno sempre avuto sede i servizi di sicurezza militari (dep. CAVALLARO, 23.1.1996, ff.1-2).

Del generale BRASCHI parlavano anche l’ing. PIAGGIO e l’avv. DE MARCHI, e cioè i finanziatori liguri del movimento golpista coinvolti nell’indagine sulla ROSA DEI VENTI (dep. citata, f.2).

Ma soprattutto Roberto CAVALLARO aveva avuto anche un contatto personale con MAGI BRASCHI ed è stato quindi in grado di riconoscere il generale in fotografia (dep. 16.2.1996, f.2).

Roberto CAVALLARO ha infatti rivelato una circostanza che non aveva mai rivelato prima e cioè che alla ristrettissima riunione tenuta in una villa del vicentino nella disponibilità del finanziere Michele SINDONA (riunione di cui CAVALLARO aveva parlato in un memoriale consegnato nel 1976 al G.I. di Padova, dr. Tamburrino) era presente, oltre a SINDONA, all’on. Giulio ANDREOTTI, a tre alti ufficiali della Marina e dell’Aeronautica (persone già citate nel memoriale) e allo stesso CAVALLARO, anche il generale BRASCHI all’epoca colonnello.

Anche tale riunione serviva per mettere a punto un piano di mutamento istituzionale e CAVALLARO ricordava che il colonnello BRASCHI non condivideva affatto l’apporto finanziario dato al piano da Michele SINDONA in quanto, ad avviso dell’ufficiale, il finanziere intendeva utilizzare tale causa politica per i suoi interessi personali, commerciali e finanziari (dep. 16.2.1996, f.2).

Il colonnello BRASCHI intendeva invece salvaguardare la centralità politica di quanto si stava preparando (dep. citata, f.2).

Martino SICILIANO è stato dal canto suo in grado di ricollegare direttamente il generale MAGI BRASCHI al gruppo veneto di Ordine Nuovo.

Egli, infatti, aveva sentito parlare da MAGGI, MOLIN e ZORZI di un alto ufficiale soprannominato appunto FORTE BRASCHI, che costoro contattavano a Roma e da cui andavano regolarmente in un periodo collocabile fra il 1966 e il 1968 (int. 11.5.1996, ff.1-2).

Molto probabilmente il primo elemento di contatto con il generale MAGI BRASCHI era stato Paolo MOLIN il quale poco prima, e cioè nel maggio 1965, aveva partecipato , a Roma, al Convegno dell’ISTITUTO POLLIO sulla guerra controrivoluzionaria (int. SICILIANO, citato, f.2), convegno cui il generale MAGI BRASCHI era stato presente con una relazione, ed infatti MOLIN aveva successivamente diffuso a Venezia diverse copie del volume "La Guerra Rivoluzionaria" che raccoglieva gli atti e gli interventi di tale convegno (int. citato, f.2).

Il generale MAGI BRASCHI è stato identificato nell’omonimo ufficiale dell’Esercito (deceduto recentemente, il 22.5.1995) a lungo distaccato presso il SIFAR, impiegato nel SIOS ESERCITO, oggetto di molte benemerenze fra cui la Croce di Ferro tedesca, che aveva legato la sua brillante carriera alla specializzazione nello studio della guerra psicologica e non ortodossa, tanto da diventare, all’inizio degli anni ‘60, responsabile del "NUCLEO GUERRA NON ORTODOSSA" del SIFAR (cfr. annotazione del R.O.S. in data 8.5.1996, vol.23, fasc.9, ff.116-117).

Il generale Adriano MAGI BRASCHI aveva tenuto una relazione al Convegno dell’Istituto Pollio, peraltro sotto le mentite spoglie di un avvocato e professore universitario al fine di non far emergere in modo troppo diretto l’intervento e l’interesse dei più alti gradi militari per la strategia delineata nel Convegno stesso.

Sempre in relazione al ricco curriculum militare del generale MAGI BRASCHI, da un altro documento, fornito dal S.I.S.Mi. e contenuto nel fascicolo personale dell’ufficiale, risulta che il 23.7.1963 la Direzione del SIFAR aveva rappresentato allo Stato Maggiore dell’Esercito l’impossibilità di privarsi in breve tempo dell’ufficiale, al fine di fargli completare il periodo di comando nell’Esercito, in ragione del contributo che stava dando al Servizio con la sua "provata specializzazione e capacità nel campo della guerra non ortodossa" e soprattutto in relazione alla ".....Cooperazione Interalleata in questo particolare ramo...." che stava acquisendo sempre maggiore importanza ed ingresso (cfr. annotazione del R.O.S. 26.6.1997, vol.23, fasc.9-bis, f.21).

Tale accenno richiama il probabile inserimento ad alto livello in ambito N.A.T.O. del generale MAGI BRASCHI, ricordato da Ettore MALCANGI.

Carlo DIGILIO ha avuto molte titubanze prima di parlare della figura del generale MAGI BRASCHI e dei suoi contatti con il dr. MAGGI, esitazioni che testimoniano indirettamente la caratura dell’ufficiale.

Solo a partire dalla primavera del 1996 DIGILIO si è risolto a fornire via via i decisivi elementi di comprensione di cui, tuttavia, non si può non sottolineare la probabile incompletezza e la necessità che nelle fasi ulteriori del procedimento tali aspetti siano ancora approfonditi.

In sintesi Carlo DIGILIO ha riferito che:

- Il generale MAGI BRASCHI era considerato nell’ambiente di Ordine Nuovo un ufficiale di grande prestigio, era in contatto con il dr. MAGGI e con gli ordinovisti veronesi che lo ritenevano l’elemento essenziale di collegamento con l’ambiente militare nella prospettiva del colpo di Stato (int. 24.2.1996, ff.3-4).

Secondo il dr. MAGGI, il generale MAGI BRASCHI era l’ufficiale che, al momento necessario, doveva coordinare l’appoggio dei civili ai militari, un vero e proprio deus ex machina che avrebbe avuto l’ultima parola al momento dell’intervento dei militari (int.12.6.1996, ff.1-2).

- Era soprannominato FORTEBRACCIO (int.12.6.1996, f.1) e Carlo DIGILIO lo aveva conosciuto personalmente in occasione di un incontro a Verona, in un locale pubblico, finalizzato a rinsaldare il raccordo fra civili e militari (int.5.5.1996, f.6).

A tale incontro erano presenti il dr. MAGGI, Marcello SOFFIATI e Giulio MALPEZZI, ordinovista di Bolzano.

Dopo l’incontro, il generale MAGI BRASCHI si era avviato a piedi verso il Comando FTASE di Verona, struttura cui probabilmente faceva riferimento (int.5.5.1996, f.6).

Il generale aveva partecipato ad altre riunioni a Verona, presso il Centro CARLOMAGNO, e a Rovigo, presente Marcello SOFFIATI il quale, in tali occasioni, rappresentava anche Sergio MINETTO quando questi non poteva essere presente (int.15.5.1996, f.2).

- Il dr. MAGGI e Paolo MOLIN avevano partecipato al Convegno dell’Istituto Pollio in cui il generale MAGI BRASCHI era stato relatore e da tale convegno era originata la strategia che aveva portato alla formazione dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO in cui erano inseriti molti ordinovisti (int.12.6.1996, f.2; 19.12.1997, f.3).

- Carlo DIGILIO ha infine riconosciuto il generale MAGI BRASCHI in una fotografia acquisita dall’Ufficio durante la perquisizione effettuata nell’abitazione di quest’ultimo (int.12.6.1996, f.2).

In data 23.5.1996, infatti, è stata operata una perquisizione su disposizione di questo Ufficio nella villa di Bracciano ove tuttora vive la vedova del generale, Signora Emilia Caleca (cfr. vol.23, fasc.2, ff.3 e ss.).

Nella biblioteca del generale era ancora presente un’amplissima documentazione in tema di contro-insorgenza e guerra non ortodossa di provenienza sia italiana sia statunitense o di altri Paesi occidentali nonché carteggi e corrispondenza con la W.A.C.L. (la Lega Anticomunista Mondiale) della cui sezione italiana il generale MAGI BRASCHI era divenuto dirigente all’inizio degli anni ‘80 succedendo a Edgardo BELTRAMETTI (cfr. nota del R.O.S. in data 22.5.1996, vol.23, fasc.2, f.34).

Tale documentazione è stata sottoposta al perito dr. Aldo Giannuli per una integrazione della perizia principale specificamente finalizzata ad analizzare il ruolo svolto dall’Ufficiale all’interno delle strutture italiane di guerra non ortodossa.

La relazione integrativa è stata depositata in data 12.9.1997 (cfr. vol.22, fasc.1) e dalla ricca analisi effettuata dal perito risulta confermato che il generale MAGI BRASCHI era il miglior specialista dell’Esercito Italiano in tema di contro-insorgenza e l’Ufficiale, cui era affidata in materia, tramite la partecipazione a corsi e convegni, una sorta di delega alla rappresentanza esterna e quasi alla "propaganda" dell’argomento, ruolo questo che ben entra in sintonia con quanto riferito da Carlo DIGILIO e dagli altri testimoni (cfr. relazione del dr. Giannuli, pagg.52-53).

Dall’analisi della documentazione presente nell’archivio del generale MAGI BRASCHI risulta anche che questi era stato personalmente l’autore, nel 1963/1964, dei due manualetti del SIFAR sulla guerra non ortodossa intitolati "La Parata" e "La Risposta" (cfr. relazione citata, pagg.33-34) e soprattutto che la sua partecipazione al Convegno dell’Istituto POLLIO del maggio 1965 non era stata un’iniziativa "privata" dell’Ufficiale, ma egli vi aveva presenziato per esplicito incarico del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale ALOJA, cosicché può affermarsi che le nostre più alte strutture militari avevano partecipato direttamente all’organizzazione del Convegno cui erano presenti coloro che negli anni successivi sarebbero divenuti i principali protagonisti, sul piano operativo, della strategia della tensione (cfr. relazione citata, pagg.39-40).

In un appunto rinvenuto nella villa del generale MAGI BRASCHI, datato 6.5.1965 e cioè il giorno successivo alla conclusione del Convegno, l’Ufficiale relaziona al Capo di Stato Maggiore, con toni esultanti, sullo svolgimento dei lavori sottolineando che "come disposto da V.E., nei giorni 3/4/5 maggio sono intervenuto al Convegno" i cui lavori hanno posto l’accento "sulla necessità di un’azione che fronteggi efficacemente nel nostro Paese gli sviluppi della guerra rivoluzionaria, sull’opportunità di una stretta collaborazione fra civili e militari" (cfr. relazione citata. pag.39).

Meritano, allora, di essere richiamati i passi salienti della relazione tenuta dal generale MAGI BRASCHI nella giornata conclusiva del Convegno, in cui egli esprime senza mezzi termini quali siano le esigenze imposte dalle nuove forme di lotta contro il pericolo della "guerra rivoluzionaria" comunista che stava serpeggiando silenziosamente nel Paese e penetrando nei nuclei vitali della società:

"....Determinante è l’azione militare, lo si sa, l’han detto tutti.
E’ l’azione militare.
Ma non è soltanto dei militari. E’ stato detto da BELTRAMETTI.
La guerra non è più soltanto militare.
E’ "anche" militare, in ultima analisi; ma è economica, è sociale, è religiosa, è ideologica.
Se la prima guerra mondiale vide gli Stati Maggiori combinati, cioè dalla prima guerra mondiale si ricavò la necessità di avere Comandi composti dalle tre Armi, vale a dire gli Stati Maggiori che ragionassero in funzione tridimensionale; se dalla seconda guerra mondiale sono usciti gli Stati Maggiori integrati, cioè gli Stati Maggiori che comprendono personale di più nazioni: questa guerra vuole gli Stati Maggiori allargati, gli Stati Maggiori che comprendano civili e militari contemporaneamente".

Le parole del generale MAGI BRASCHI sulla necessità di affrontare e sconfiggere il nemico costituendo "Stati Maggiori allargati" sembrano preannunziare direttamente la formazione dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO.

Ma soprattutto, per quanto concerne i profili di responsabilità dei soggetti coinvolti in questa istruttoria e nelle indagini collegate e l’interpretazione dei loro comportamenti, gli stretti rapporti fra il dr. Carlo Maria MAGGI e un personaggio del livello del generale MAGI BRASCHI consentono di affermare che la struttura occulta di Ordine Nuovo non era l’espressione di quattro fanatici eversori, ma che, almeno tendenzialmente, tale struttura avesse dei sicuri punti di riferimento militari e istituzionali in grado, al momento giusto, di sfruttare gli effetti di paura e disorientamento che gli attentati dovevano suscitare





LA STRUTTURA DI SICUREZZA E INFORMATIVA DI VERONA E I SUOI RAPPORTI CON ORDINE NUOVO

LA STRUTTURA INFORMATIVA AMERICANA NEL RACCONTO DI CARLO DIGILIO
LE PRIME DICHIARAZIONI

La maggiore novità di questa istruttoria è certamente il fatto che per la prima volta in un ambito strettamente processuale e con elementi di prova via via più solidi è emerso, all’interno degli avvenimenti noti come strategia della tensione, il quadro quasi intero di una rete informativa statunitense, un’ipotesi che in passato era confinata solo a qualche frammento processuale che non era stato possibile sviluppare per mancanza di testimoni diretti o era stata espressione di ricostruzioni politiche, soprattutto della c.d. controinformazione, che si basavano su deduzioni e analisi politico/internazionali più che su dati di fatto.

Gli elementi raccolti, comprese le dichiarazioni dei testimoni di supporto e i riscontri documentali trovati presso i Comandi dei Carabinieri o della Guardia di Finanza o forniti dal S.I.S.Mi., sono stati esposti in modo analitico e ragionato in due ampie annotazioni approntate dal Reparto Eversione del R.O.S. Carabinieri e dedicate appunto al coinvolgimento di strutture di intelligence straniere nella "strategia della tensione" (cfr. annotazioni in data 8.5.1996 e 26.6.1997, vol.23, fasc.9 e 9-bis).

A tali annotazioni (inviate anche alla Commissione Parlamentare sulle stragi per il loro eventuale utilizzo nella redazione della relazione finale) può quindi farsi riferimento per l’illustrazione di tutti gli elementi di riscontro che, per la loro ampiezza, appesantirebbero eccessivamente il presente provvedimento.

In questa sede saranno illustrati solo i personaggi e gli elementi essenziali, tenendo presente che il venire alla luce di tale struttura informativa non costituisce una semplice ricerca storica, ma, per le circostanze narrate da Carlo DIGILIO, un risultato processuale importante e di diretto utilizzo in quanto i componenti di tale rete hanno svolto un’attività non solo di osservazione, ma anche di consulenza tecnica, e quindi propulsiva, in quasi tutti gli attentati dal 1969 in poi, dagli attentati ai treni all’attentato all’Ufficio Istruzione di Milano, sino agli eventi più gravi e cioè la strage di Piazza Fontana, la strage dinanzi alla Questura di Milano e verosimilmente la strage di Piazza della Loggia a Brescia.

La struttura di cui faceva parte Carlo DIGILIO, certamente operante sin dal primo dopoguerra, faceva capo alla Base FTASE di Verona (sita in Via Roma, nel centro della città) con diramazioni in tutto il Triveneto.

Tale struttura era probabilmente un servizio di sicurezza prettamente militare (con sede, appunto, nelle Basi e non nelle Ambasciate), probabile prosecuzione e sviluppo del C.I.C. (Counter Intelligence Corp) dell’Esercito Americano, operante in Italia già durante la risalita lungo la Penisola delle forze anglo-americane e incaricato in tale frangente soprattutto di individuare e neutralizzare gli agenti nemici attivi nelle zone già liberate dagli Alleati.

L’organizzazione delineata da Carlo DIGILIO, tralasciando i personaggi di minore interesse, si compone come segue

- lo stesso Carlo DIGILIO, con il ruolo di agente informatore che aveva ereditato dal padre, Michelangelo DIGILIO, ufficiale della Guardia di Finanza;

- Marcello SOFFIATI, agente operativo che aveva ereditato i contatti con gli americani dal padre, Bruno SOFFIATI, "recuperato" nel dopoguerra dopo aver fatto parte, a Verona, di una rete informativa vicina alla GESTAPO tedesca;

- Sergio MINETTO, superiore di Carlo DIGILIO nel settore informativo;

- Giovanni BANDOLI, superiore di Marcello SOFFIATI nel settore operativo;

- il prof. Lino FRANCO, fiduciario a Vittorio Veneto dove disponeva anche di una sua rete, il gruppo SIGFRIED, formato da ex-repubblichini;

- il prof. Pietro GUNNELLA di Verona, elemento di collegamento con il colonnello Amos SPIAZZI e quindi con l’area dei Nuclei di Difesa dello Stato;

- il capitano Teddy RICHARDS e il capitano David CARRET, ufficiali americani superiori, in tempi diversi, di MINETTO e di BANDOLI;

- Robert Edward JONES e John Louis HALL, operanti a Trieste e in passato in contatto con Giovanni BANDOLI;

- Benito ROSSI, fiduciario informativo di Sergio MINETTO per il Trentino-Alto Adige;

- Joseph LUONGO e Leo Joseph PAGNOTTA, già in forza al C.I.C., operanti sin dal primo dopoguerra come reclutatori dell’intera rete informativa e, fra l’altro, di ex ufficiali nazisti come il maggiore Karl HASS, condannato per la strage delle Fosse Ardeatine.

Altri soggetti risultano essere comparsi solo occasionalmente sulla scena di Verona, come il colonnello Frederik TEPASKY, di stanza nella ex Germania Federale e presente, di tanto in tanto, nella zona veronese con funzione di supervisore della struttura (int. DIGILIO, 31.1.1996, f.3, e anche dep. CAVALLARO al R.O.S., 16.2.1996, f.1).

Anche in merito ai componenti e al funzionamento della struttura americana, le dichiarazioni di Carlo DIGILIO presentano quel carattere di frammentarietà e progressività tipica della scelta del collaboratore che non ha ritenuto, sino ad un certo punto dell’istruttoria, che sussistessero le condizioni per rivelare circostanze così gravi e uniche nel panorama dell’eversione.

L’unica possibilità di illustrare le sue dichiarazioni consiste quindi nel riportarne i passi salienti in successione cronologica, lasciando ai capitoli successivi i riscontri relativi ai singoli personaggi e alla singole circostanze.

Inizialmente, Carlo DIGILIO ha rivelato il ruolo di agente della struttura limitatamente a Marcello SOFFIATI, spiegando che questi dipendeva dal Comando FTASE ed era incaricato di tenere i rapporti con gli ustascia croati, anche recandosi presso la loro base di Valencia, in Spagna, e di acquisire notizie sugli esuli cileni in Italia e in genere sulle formazioni di estrema sinistra (int.30.10.1993 e 29.1.1994, f.1).

Solo successivamente Carlo DIGILIO ha ammesso di avere lavorato anche lui per la struttura atlantica (il Comando FTASE di Verona è il Comando delle Forze della N.A.T.O. per tutto il Sud-Europa) e di essere stato inviato, tramite il prof. Lino FRANCO di Vittorio Veneto, un ex-repubblichino e fiduciario della struttura, a controllare per la prima volta l’arsenale di armi ed esplosivi che VENTURA e ZORZI detenevano presso il casolare di Paese, riferendo poi al suo superiore gli esiti della missione (int. 19.2.1994, ff.2-4, e 5.3.1994, ff.1-2).

Carlo DIGILIO ha così spiegato le ragioni per cui, ereditato il compito dal padre Michelangelo, deceduto nel 1966, aveva iniziato a divenire a sua volta un informatore, ruolo ricoperto quantomeno sino al 1978:

"Mio padre del resto, nella sua qualità di tenente della Guardia di Finanza, nel periodo della Liberazione, rientrando dalla Grecia, aveva collaborato con formazioni di partigiani "bianchi" ed era un componente del direttivo composto da sei persone del Comitato di Liberazione Nazionale di Venezia.
Essendo militare il suo nominativo era rimasto sempre riservato e anche dopo la guerra si è cercato di fare in modo che rimanesse tale.
Mio padre aveva partecipato alla liberazione di Venezia e al disarmo e alla cattura della guarnigione tedesca a Venezia.
Inoltre, oltre a tale attività di partigiano, durante e dopo la guerra era stato informatore dell’O.S.S., che erano i servizi di sicurezza militari americani, con il nome in codice di "ERODOTO".
Mio padre aveva i suoi referenti a Verona presso la base della F.T.A.S.E.
Alla sua morte, per le ragioni che ho già accennato, mi fu chiesto se anch’io intendevo collaborare come aveva fatto lui.
Ovviamente non era un’attività a tempo pieno, ma ciò comportava singole attività di informazione.
Le persone a cui ho fatto riferimento per tale lavoro sono state diverse e presentate in tempi successivi.
La cosa ovviamente rivestiva carattere di assoluta riservatezza.
Si trattava comunque di americani i quali usavano anche, per facilitare i collegamenti, dei loro connazionali di origine italiana.
Non avevo un nome in codice particolare.
Facevo riferimento, se necessario, al nome in codice di mio padre.
Fu quindi in tale veste che io fui chiamato a Verona per assumere l’incarico di recarmi a Vittorio Veneto dal prof. FRANCO che cercava una persona non conosciuta nell’ambiente della destra e che fosse esperto in armi.
Sono questi, quindi, i motivi per cui io sono entrato in contatto e ho frequentato persone come VENTURA o persone di Ordine Nuovo di Venezia..... Al prof. FRANCO relazionai tutto, compreso il progetto di attentato di cui VENTURA mi aveva parlato.
In merito, il prof. FRANCO annotò tutto e ricevette da me il percussore.
In tutto ci vedemmo tre o quattro volte sempre in relazione alla vicenda del casolare e all’attività di VENTURA".
(DIGILIO, int. 5.3.1994, f.3).

In un successivo interrogatorio DIGILIO ha spiegato meglio i suoi compiti e parlato del tentativo di recupero della notevole quantità di esplosivo rubato a Boscochiesanuova che si era temuto potesse essere utilizzato per attentati contro basi americane:

"Come ho già detto io svolsi attività di informazione facendo riferimento al comando F.T.A.S.E. di Verona a partire dal 1967 e sino al 1978.
La struttura informativa che operava all'interno di questo Comando era una struttura informativa della C.I.A. interessata ovviamente ad avere il maggior numero di dati sulla situazione italiana e ad effettuare una sorta di controllo sull'area del triveneto che era una di quelle di maggiore interesse.
Prima di iniziare questa attività avevo conosciuto occasionalmente MARCELLO SOFFIATI al Lido di Venezia in un contesto del tutto normale e lo rividi casualmente a Verona proprio nei medesimi uffici cui io stesso facevo riferimento.
Si trattava di una palazzina all'interno del Comando di Verona, però a se stante ed indipendente.
In sostanza Soffiati faceva il mio medesimo lavoro, pur riferendosi a BANDOLI e cioè a persona diversa a quella cui facevo riferimento io.
Soffiati aveva avuto uno o più nomi in codice, ma in questo momento proprio non li ricordo e li comunicherò all'Ufficio se riuscirò a farmeli venire in mente.
La struttura comportava l'impegno sia di militari americani in servizio presso la Base sia di altri americani che si trattenevano in Italia per qualche tempo, incaricati di specifici servizio di informazione, sia di cittadini italiani che costituivano in sostanza una rete di informazione sul territorio.
Non erano tutte persone di destra, c'erano anche persone che potevano essere di orientamento democristiano o liberale purché tutte sicuramente anticomuniste.
Ho difficoltà ad indicare altri italiani perché, pur non essendone certo, posso ritenere che qualcuno di essi sia ancora in servizio presso tale struttura e quando io mi dimisi formalmente, nel 1978, ebbi la consegna di mantenere il silenzio sulla rete di informazione di cui ero a conoscenza.
Posso comunque dire che la rete era formata da diverse sezioni, ognuna delle quali riferentesi ad un determinato ambiente in cui raccogliere informazioni come ad esempio il mondo industriale, l'estrema destra, l'estrema sinistra e così via.
Fra le persone incaricate di specifiche missioni di informazione ricordo un latino-americano che era venuto in Italia per qualche tempo per acquisire notizie sugli esuli cileni rifugiatisi dopo il golpe contro il governo Allende e che erano in contatto con l'estrema sinistra locale.
Io non ho avuto rapporti diretti con questa persona che era invece uno dei referenti di Soffiati nell'ambito della raccolta di informazioni sugli esuli sud-americani di cui avevo già accennato.
Io, nel corso degli anni, ho avuto quattro referenti americani che si sono succeduti e due di questi erano di origine italiana.
Nel corso della mia attività ho eseguito una dozzina di incarichi di informazione in diversi settori, non necessariamente sul mondo di estrema destra.
D'altronde non erano necessariamente raccolte di informazioni a sfondo direttamente politico perché nel corso della mia attività sono stato incaricato anche di eseguire la ricerca di materiale radioattivo trafugato.
Ho già fatto cenno all'attività di informazione e di ricerca sui 10 quintali di esplosivo trafugati dal capannone di una ditta che effettuava lavori di sbancamento a Boscochiesanuova.
In merito posso precisare che l'interesse a questo trafugamento era soprattutto legato al fatto che il furto fosse avvenuto non distante dalla Base di Verona in quanto Boscochiesanuova si trova a una dozzina di chilometri da Verona e quindi l'acquisizione di informazioni su tale furto, che risultò poi essere avvenuto a scopo sostanzialmente di lucro, era di interesse in relazione alla sicurezza della Base.
Avevo una ricompensa in contanti a scadenze non fisse che mi consentiva di vivere unitamente all'attività di contabile che svolgevo in varie ditte"
(DIGILIO, int. 6.4.1994, f.2)

Carlo DIGILIO si era poi recato una seconda volta al casolare di Paese insieme al prof. Lino FRANCO e in tale occasione erano stati provati per la prima volta gli inneschi formati da un orologio, una resistenza e un fiammifero (int.10.10.1994, ff.2-4).

Erano certamente in preparazione i primi attentati della campagna iniziata nella primavera del 1969 e il prof. Lino FRANCO aveva spiegato a ZORZI e VENTURA che, per agire in condizioni di massima sicurezza, era necessario usare fiammiferi antivento e non fiammiferi comuni (int. citato, f.3).

Nell’interrogatorio in data 12.11.1994, Carlo DIGILIO ha finalmente rivelato chi fosse il suo superiore, e cioè Sergio MINETTO, che lo aveva inviato dal prof. Lino FRANCO e con il quale era rimasto in contatto sino al 1985, momento della sua fuga a Santo Domingo.

"A questo punto, al fine di completare il quadro di quella che fu la mia attività presso Ventura e di controlli che mi furono affidati, posso meglio specificare come e da chi ebbi l'incarico di recarmi dal prof. Franco a Vittorio Veneto.
Io fui chiamato a Verona da un ufficiale della CIA, che ovviamente anche Soffiati conosceva bene, il quale affidò a me l'incarico di andare dal prof. Franco e non da Soffiati in quanto quest'ultimo era troppo conosciuto come estremista di destra e ciò avrebbe creato problemi con VENTURA, infatti Franco intendeva mandare da Ventura non un personaggio noto, ma una persona che potesse sembrare un collezionista o un esperto di armi.
Io potevo giocare questa parte mentre Soffiati no o perlomeno c'erano dei rischi.
L'agente della CIA di Verona che mi mandò da Franco dovrebbe avere attualmente circa 70 anni, è un italiano di origine veronese ed era stato un alto ufficiale della X MAS del Principe Borghese e suo uomo di fiducia.
In quegli anni si muoveva nel Veneto presentandosi come commerciante e riparatore di frigoriferi e teneva i contatti grazie a questa attività di copertura con esponenti del Fronte Nazionale nelle varie città.
Uno dei punti di incontro, a Venezia, era il ristorante La Rivetta, vicinissimo a Piazza San Marco.
Il suo Ufficio si occupava quindi di attività operative che erano sia controlli su addestramenti fatti da italiani sia controlli come quello che io feci sul gruppo di Ventura sia i contatti con gli esponenti del Fronte Nazionale nel quadro della preparazione del golpe.
Una delle esercitazione a cui questo agente sovraintese avvenne a Fortezza ed anche Soffiati, del resto, si era occupato degli addestramenti in Alto Adige in funzione difensiva nel periodo in cui era in corso l'offensiva del terrorismo altoatesino.
Quindi questi corsi erano in pratica di addestramento alla controguerriglia per elementi italiani.
Non mi risulta che questo agente fosse  mai stato inquisito per i fatti del golpe Borghese o in altri processi simili.
Quando mi trovai in difficoltà, temendo nel 1982 un secondo arresto dopo il mio primo arresto e la successiva scarcerazione, io che mi trovavo a Verona a casa di Soffiati in Via Stella, lo chiamai e lo feci venire in quell'appartamento.
Del resto tale appartamento era in sostanza di copertura perché serviva per i contatti con i vari informatori evitando che costoro dovessero recarsi presso il Comando se non per cose importantissime.
Io chiesi aiuto all'agente e questi mi diede alcuni consigli, anche se io poi mi allontanai autonomamente accompagnato dal colonnello SPIAZZI e poi da MALCANGI come ho già ampiamente narrato in relazione alle varie fasi della mia fuga.
Alla fine del 1984, prima di andare a Santo Domingo, nella medesima occasione in cui mi recai a Verona per sapere dal colonnello Spiazzi come andava la vendita della mia pistola, utilizzai questo viaggio anche per incontrare l'agente in un bar tenendo a distanza Malcangi che mi aveva accompagnato e che avevo fatto sostare in un altro bar.
Chiesi aiuto all'agente spiegandogli che ero in forte difficoltà e che ero ormai deciso a lasciare l'Italia.
Egli mi consentì di utilizzare a Santo Domingo il suo nome come presentazione in caso di necessità.
Lo vidi così per l'ultima volta in quell'occasione.
Effettivamente io utilizzai questa possibilità proprio pochi mesi prima del mio arresto a Santo Domingo. Mi presentai al Consolato americano, entrai in contatto con un ufficiale facendo il nome dell'agente e questi fece un controllo per verificare che il nome corrispondesse ad un loro uomo in Italia. Tornai qualche giorno dopo, mi disse che andava tutto bene, che l'agente era ancora in Italia, e mi chiese di cosa avessi bisogno. Io gli dissi che ero in forte difficoltà e che avevo bisogno di un lavoro nel medesimo settore informativo che era stato in passato il mio.
Mi disse che sarebbe stato possibile utilizzarmi nel campo dell'organizzazione e riordino dei fuorusciti cubani a Santo Domingo da inviare dove essi avevano la loro sede principale a Miami, in un campo di raccolta. Precisamente questo campo si trova vicino a Miami, nella località HEALIAH. Io dovevo in sostanza occuparmi di un primo vaglio dei soggetti e del loro avviamento negli Stati Uniti.
Non ebbi tempo di iniziare questo lavoro poiché nel giro di poche settimane fui arrestato a Santo Domingo a seguito delle indagini della Polizia italiana".
(DIGILIO, int. 12.11.1994, f.3).

Si noti che il nome di Sergio MINETTO non è ancora esplicitato nel verbale, ma è stato fatto per la prima volta da Carlo DIGILIO al personale della Digos di Venezia che lo stava riaccompagnando nel luogo di detenzione dopo l’interrogatorio (cfr. relazione della Digos di Venezia in data 15.11.1994, vol.4, fasc.2, f.84).

Qui si fermano le prime dichiarazioni di Carlo DIGILIO, rese sino al 12.11.1994, in merito alla struttura informativa americana, che tratteggiano un quadro di grande novità, ma certamente ancora incompleto.

La possibilità di acquisire nuovi particolari si interromperà sino all’autunno del 1995, anche in ragione del grave incidente che colpirà la salute di Carlo DIGILIO.

Solo a partire da tale momento riprenderanno, pur fra molte comprensibili difficoltà (è dell’ottobre 1995 l’avvio dell’operazione CECCHETTI), gli interrogatori e il quadro storico e processuale andrà completandosi.



IL RUOLO DELL’ON. MARIANO RUMOR E IL COLLEGAMENTO FRA GLI ATTENTATI DEL 12.12.1969 E LA STRAGE DI VIA FATEBENEFRATELLI

Il racconto di Carlo DIGILIO ha fatto emergere un filo di collegamento, che sinora non era stato individuato, fra gli attentati del 12.12.1969 e la strage del 17.5.1973, filo che passa attraverso la figura e il ruolo dell’on. Mariano RUMOR, Presidente del Consiglio nel dicembre 1969 e vero e diretto obiettivo della bomba "ananas" lanciata da Gianfranco BERTOLI dinanzi alla Questura di Milano.

In merito alla figura dell’on. RUMOR così si è espresso sinteticamente Carlo DIGILIO descrivendo i motivi di astio che l’ambiente di Ordine Nuovo coltivava contro la sua persona:

"L'Ufficio chiede a DIGILIO se possa meglio specificare quali fossero le ragioni di astio da parte dell'ambiente di Ordine Nuovo nei confronti dell'on. Mariano RUMOR accennate nell'interrogatorio in data 12.10.1996, f.4, in relazione al progetto di spingere BERTOLI ad attentare contro la vita dello stesso RUMOR.
Questo è un argomento molto importante e posso meglio spiegare i motivi di quella che secondo Ordine Nuovo, tramite uno strumento come Gianfranco BERTOLI, doveva essere una vera e propria vendetta e punizione nei confronti dell'on. RUMOR.
Questi era odiato poiché i dirigenti di Ordine Nuovo ritenevano che l'on. RUMOR (NB: Rumor era di Vicenza), Presidente del Consiglio nel dicembre 1969, avesse fatto il "vile" in quanto, venendo meno alle promesse fatte, non aveva attivato un certo meccanismo dopo gli attentati decretando lo "stato di emergenza" e mettendo in moto i militari che avrebbero saputo che sbocco dare alla crisi.
Questa delusione mi fu espressa da SOFFIATI e da MAGGI negli incontri di cui ho già riferito, che avvennero dopo gli attentati del 12 dicembre, e cioè quello con MAGGI pochi giorni dopo la strage e la cena con MAGGI e SOFFIATI che avvenne allo Scalinetto nei giorni di Natale del 1969.
In particolare MAGGI era deluso e disse che di fronte alla reazione dell'opinione pubblica vi era stata una "ritirata" di RUMOR che aveva impedito un'immediata presa di posizione dei militari.
Disse proprio "presa di posizione" e non "presa di potere" nel senso che sarebbe stato un primo intervento che avrebbe dato inizio ad un maggior controllo dei militari sulla vita del Paese senza un vero e proprio colpo di Stato.
Ciò avrebbe permesso comunque l'uscita allo scoperto dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO con funzione di appoggio e di propaganda in favore dei militari.
In seguito il capitano CARRET mi confermò che quello era stato il progetto, ben visto anche dagli americani, e che era fallito per i tentennamenti di alcuni democristiani come RUMOR.
Mi spiegò anche che nei giorni successivi alla strage le navi militari sia italiane sia americane avevano avuto l'ordine di uscire dai porti perché, in caso di manifestazioni o scontri diffusi, ancorate nei porti potevano essere più facilmente colpite.
Anche con Sergio MINETTO, a casa di Bruno SOFFIATI, vi furono da parte di quest'ultimo commenti simili prima ancora dei colloqui che ebbi con CARRET"
.
(DIGILIO, int.21.2.1997, f.1)

Ciò non significa certamente che l’on. Mariano RUMOR fosse organizzatore o mandante di stragi come qualche giornalista, dopo l’audizione di questo giudice dinanzi alla Commissione Parlamentare sulle stragi e il terrorismo, ha titolato, suscitando il comprensibile sdegno di alcuni ex-esponenti della Democrazia Cristiana.

Significa piuttosto che il Presidente del Consiglio dell’epoca e una parte della D.C., ed anche e soprattutto il P.S.D.I., erano visti come il terminale che doveva concretizzare con le sue decisioni i frutti di una strategia politico/eversiva che, partendo da soggetti operativi come MAGGI, ZORZI e FREDA, attraverso mediazioni, probabilmente anche militari, che forse non saranno mai note, era in grado di indirizzare le scelte ai massimi vertici istituzionali.

Il racconto di Carlo DIGILIO non è isolato nel quadro della ricostruzione della strategia politica di Ordine Nuovo, discussa molto probabilmente a livello dei vertici romani dell’organizzazione.

Vincenzo VINCIGUERRA aveva parlato, sin dagli interrogatori resi subito dopo l’assunzione di responsabilità dell’attentato di Peteano e quindi in un’ottica di denunzia delle collusioni della destra apparentemente "rivoluzionaria" con apparati e strategie statali, della sospetta insistenza con cui il dr. MAGGI e Delfo ZORZI, più volte fra il 1971 e il 1972, gli avevano proposto di eliminare l’on. RUMOR, piano per la cui esecuzione era stata scelta la residenza dell’on. RUMOR nei pressi di Vicenza e in ordine alla quale "non vi sarebbero stati problemi con la scorta", prospettandosi così complicità inaccettabili per il "puro" VINCIGUERRA (int. al G.I. di Venezia, 14.8.1984, vol.12, fasc.7, ff.136-138).

Anche Martino SICILIANO aveva appreso da Delfo ZORZI la stessa spiegazione in merito alle ragioni dell’astio contro l’on. RUMOR:

"In relazione agli avvenimenti che ci interessavano Delfo ZORZI, all'inizio del 1970, mi parlò della figura dell'on. Mariano RUMOR spiegandomi che da lui l'ambiente di destra si era aspettato che, nella sua qualità di Presidente del Consiglio, subito dopo i fatti del 12.12.1969 portasse avanti la scelta di far proclamare lo Stato di Emergenza.
Sempre secondo ZORZI, già prima dei fatti del dicembre vi erano stati contatti fra alti esponenti di Ordine Nuovo a Roma e ambienti istituzionali, soprattutto democristiani, per giungere ad una soluzione di quel tipo in caso di attentati gravi.
Tale soluzione sembrava sicura, ma dopo gli attentati del 12 dicembre l'on. RUMOR aveva disatteso queste nostre aspettative e non si era sentito di portare avanti questa scelta.
Per questo l'on. RUMOR, agli occhi degli alti dirigenti di Ordine Nuovo fra i quali ZORZI mi indicò MAGGI e SIGNORELLI, era visto come un traditore e quindi andava prima o poi punito"
. (SICILIANO, int. 24.6.1997, f.4).

Tale complessiva ricostruzione trova corrispondenza in un documento molto particolare e precisamente un volumetto, riguardante gli attentati del 12.12.1969 e soprattutto quanto sarebbe avvenuto, sul piano politico/istituzionale, dopo gli attentati stessi, quasi sconosciuto anche agli studiosi del settore e mai preso in considerazione ed analizzato durante le precedenti istruttorie.

Si tratta del breve saggio politico-giudiziario "Il Segreto della Repubblica", edito nel 1978 dalle sconosciute Edizioni FLAN e firmato da tale Walter RUBINI.

In realtà Walter RUBINI, come non è stato difficile accertare, è lo pseudonimo di Fulvio BELLINI e il libro è stato praticamente stampato in proprio avendo in precedenza le Edizioni FLAN stampato solo un altro volume scritto dallo stesso autore.

Fulvio BELLINI è un ormai anziano studioso e polemista residente a Milano, militante sino all’immediato dopoguerra del P.C.I. e in seguito, per un periodo, legatosi a Giorgio PISANO’ insieme al quale aveva collaborato a varie pubblicazioni di polemica politico/giudiziaria.

Le informazioni cui ha sovente potuto accedere Fulvio BELLINI non devono essere certamente di seconda mano se egli per primo, nel 1963, ha potuto prospettare (prima con una serie di articoli sul periodico "Il Secolo XX" e poi con un libro, il primo, appunto, pubblicato dalle Edizioni FLAN), con significative argomentazioni sia sul fatto sia sul movente, la morte di Enrico MATTEI, a bordo dell’aereo su cui viaggiava, come atto di sabotaggio attuato, forse, da elementi dell’O.A.S. al servizio di interessi politico-economici stranieri (cfr. atti trasmessi dal P.M. di Pavia, dr. Vincenzo Calia, vol.20, fasc.10, ff.21 e ss. e 43 e ss.).

Chiave di volta della ricostruzione operata nel volume pubblicato nel 1978 (che comunque non contiene, in merito all’esecuzione degli attentati, nulla che non fosse già noto alle indagini) è il compromesso, appunto "Il Segreto della Repubblica", che sarebbe stato raggiunto il 15.12.1969, subito dopo il solenne funerale delle vittime della strage di Piazza Fontana, fra due ampie aree politiche, una autoritaria e quasi filo-golpista e una più cauta e non disponibile a ridurre gli spazi di democrazia, compromesso che comportava che il Presidente del Consiglio, on. Mariano RUMOR, non si adoperasse per la dichiarazione dello stato di emergenza e non decidesse di sciogliere le Camere e che tuttavia in cambio, quale condizione posta dalla componente autoritaria, si desse via libera alla prosecuzione della pista anarchica voluta dal Ministero dell’Interno e si rinunziasse ad approfondire la "pista nera" che il nucleo di p.g. dei Carabinieri di Roma aveva cominciato a battere con successo.

Gli antecedenti sul piano politico e i passaggi di tale situazione di compromesso, esposti nel volume, sono stati sintetizzati dall’Ufficio nella parte introduttiva alla testimonianza cui è stato chiamato Fulvio BELLINI in data 2.4.1997 dinanzi a questo Giudice Istruttore e al Pubblico Ministero:

"....l'Ufficio richiama l'attenzione del dr. Bellini sui seguenti passaggi della sua ricostruzione:

- scissione del P.S.I. e formazione del P.S.U. nel luglio 1969, presuntivamente appoggiata e finanziata da ambienti americani, e ruolo di tale Partito nei successivi eventi di spinta verso soluzioni autoritarie, noti come "strategia della tensione" conseguenti agli attentati;
- prevista disponibilità, all'interno della medesima strategia (di cui braccio operativo sarebbero stati Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale), del Presidente del Consiglio, on. Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza e a sciogliere le Camere nella prospettiva della formazione di un governo di centro-destra con l'esclusione del P.S.I.;
- fallimento di tale strategia a seguito dei dubbi e dei tentennamenti a mettere in opera tali scelte da parte dell'on. Rumor, in particolare dopo i funerali delle vittime della strage del 12.12.1969, e conseguente venir meno dell'obiettivo politico degli attentati;
- formazione comunque di un accordo a livello dei più alti vertici politici, compreso l'on. Moro allora Ministro degli Esteri, affinché non fosse sviluppata la pista riguardante l'Aginter Press e Avanguardia Nazionale, delineata nell'appunto del S.I.D. del 16.12.1969 e inizialmente sviluppata da alcune indagini del Nucleo di p.g. dei Carabinieri di Roma (in particolare nei confronti di Delle Chiaie) e di conseguenza avesse sviluppo a livello di indagine di p.g. solo la c.d. pista rossa o anarchica avviata in particolare dal Ministero dell'Interno".

La testimonianza di Fulvio BELLINI si è sviluppata, nei suoi passaggi più importanti, nel modo che segue:

"....posso innanzitutto confermare che la parte centrale e significativa del volume stesso è la ricostruzione di quanto avvenne a livello politico nel periodo immediatamente precedente e successivo agli attentati del 12 dicembre 1969 e di come le indagini presero in sostanza l'indirizzo che era più consono alle scelte politiche prevalenti in quei momenti.
Faccio ancora presente che pur avendo scritto il libro tra l'inverno 1977 e la primavera 1978, tanto che era praticamente già scritto quando fu rapito l'on. Moro, avevo già raccolto le informazioni utili sulla parte centrale dello stesso sin dall'inizio del 1970.
Quando avvennero gli attentati, a livello di intuizione politico-storica e pur senza avere inizialmente alcun dato diretto, mi ero subito formato la convinzione che VALPREDA fosse un capro espiatorio e che gli anarchici fossero vittime di un meccanismo ben più grande e articolato.
Dico questo non per scelta politica, ma perché proprio sul piano storico e di ricerca avevo compreso che alle spalle di questi attentati doveva esserci un piano finalizzato a cambiare gli equilibri politici del momento.
La mia fonte su quello che avvenne negli ambienti politici dopo gli attentati che ho riportato nei capitolo VI e VII del libro fu, a partire dal gennaio 1970, un conoscente inglese che frequentava gli ambienti giornalistici e diceva di essere il corrispondente in Italia dell'Agenzia Reuter e che conobbi al Circolo della Stampa, abituale punto di ritrovo di giornalisti, esponenti politici e personaggi vari.
Sono tuttavia certo che, così come altri soggetti che si qualificavano come giornalisti, egli in realtà fosse un agente dell'Intelligence Service inglese.
Questo signore aveva all'epoca circa 50 anni ed aveva un aspetto tipicamente inglese e non si è mai presentato con nome e cognome, cosa che del resto io non gli ho mai chiesto e che non è mia abitudine fare.
Ho continuato a vederlo normalmente fino al 1975/1976 mentre in seguito gli incontri si sono un po' rarefatti quantomeno fino al 1987.
Ripeto che la mia esperienza sin dai tempi della guerra, sia con agenti dell'O.S.S. paracadutati in Italia sia con agenti inglesi mi faceva ben comprendere con quale tipo di persona stessi parlando.
Anche per la mia simpatia nei confronti di questi ultimi, cioè gli inglesi, dopo la guerra rifiutai la Bronze Star americana.
Io e l'inglese parlammo per la prima volta credo all'inizio del gennaio 1970, comunque poche settimane dopo i fatti.
Egli mi fornì in sostanza tutte le informazioni che io ho riportato nei due capitoli centrali del libro e cioè che vi era stato un grosso scontro istituzionale in sostanza fra l'area che aveva fatto capo a Saragat, definibile come Partito americano, e l'area che aveva fatto capo a Moro, scontro che aveva avuto il suo epilogo qualche giorno prima di Natale.
In sostanza aveva vinto questa seconda linea che aveva dalla sua parte la possibilità di mettere sul tavolo i primi risultati delle indagini delegate dal Ministro della Difesa GUI, molto vicino a Moro, al controspionaggio militare e ai Carabinieri e che stavano portando alla evidenziazione della responsabilità di gruppi di estrema destra.
Per questa ragione non era stato decretato lo stato di emergenza e non erano state sciolte le Camere, come soprattutto i settori del rinato P.S.U. volevano, anche se l'accordo si era comunque concluso lasciando da parte i risultati delle prime indagini sulla destra e lasciando così che si sviluppasse la c.d. pista rossa.
Sempre il giornalista inglese mi disse che l'on. Rumor, che inizialmente faceva parte dell'area del Partito americano, fortemente colpito dalla grande mobilitazione popolare che vi era stata per i funerali delle vittime del 12 dicembre 1969, era stato colto da dubbi e si era alleato con l'on. Moro non consentendo così che avvenisse una svolta autoritaria e soprattutto non consentendo che fossero sciolte le Camere.
L'inglese mi mostrò anche una copia dell'articolo dell'Observer del 14.12.1969 che ho citato all'inizio del capitolo VI e che indicava già a grandi linee questo tipo di strategia.
Io non conoscevo questo articolo poiché non leggevo l'Observer, ma comunque mi resi conto che già dal 14 dicembre quel giornale aveva compreso e sintetizzato la dinamica degli avvenimenti che l'inglese mi aveva ricostruito.
Con riferimento a questo articolo, l'inglese mi disse che in realtà non era un semplice commento giornalistico, ma una sorta di presa di posizione ufficiale ben comprensibile negli ambienti politico-diplomatici, che intendeva disapprovare la possibile destabilizzazione del nostro Paese a seguito di un eventuale scioglimento delle Camere.
Ciò era stato ben compreso ed era per queste ragioni che Saragat, stizzito, aveva indotto il Governo ad una protesta diplomatica.
Comunque da tale messaggio del giornale inglese, l'ala facente capo a Moro e a una forte parte della D.C. aveva capito che non era isolata.
Io, ovviamente, sino a quel momento non sapevo nulla del fatto che fosse stata iniziata, anche se subito interrotta, un'indagine da parte del controspionaggio militare che aveva intrapreso una strada ben diversa da quella che portava agli anarchici del gruppo Valpreda.
Nel corso di questo o di un secondo incontro, l'inglese mi fece vedere dei suoi appunti, di cui presi nota, che riguardavano proprio gli avvenimenti e soprattutto le indagini successivi al 12 dicembre così come li ho riportati nel libro.
Ricordo che l'inglese mi citò il fatto dell'immediato ritorno di Moro da Bruxelles e il fatto che subito GUI lo informò dei primi esiti delle indagini del servizio informazioni militare sviluppatesi poi con gli interrogatori di DELLE CHIAIE da parte dei Carabinieri.
Io misi da parte gli appunti che avevo potuto ricavare dai colloqui con l'inglese e iniziai a svilupparli, sino a scrivere il libro, solo nel momento in cui, intorno al 1973, le indagini sulla pista nera condotte prima a Treviso e poi a Milano e l'evidenziazione del ruolo di personaggi come GIANNETTINI mi diedero la certezza che si era trattato di informazioni esatte e di prima mano.
Le notizie politiche che l'inglese mi ha fornito si sono sempre rivelate esatte anticipando sovente lo sviluppo di grossi avvenimenti politici nel nostro Paese e risultando certo qualcosa di ben diverso dalla normale attività giornalistica.
Io non gli ho mai chiesto, dopo l'inizio della nostra conoscenza in cui mi disse che era della Reuter, per chi effettivamente lavorasse"
. (dep. Fulvio BELLINI, 2.4.1997).

In sostanza Fulvio BELLINI, anche nella sua testimonianza, ha confermato che sarebbero stati i dubbi e poi il cambiamento di campo dell’on. Mariano RUMOR nel dicembre 1969 a determinare il fallimento della strategia politico-istituzionale, gradita agli americani e alle aree politiche italiane ad essi vicine, che sarebbe stato l’obiettivo della campagna di attentati.

Fulvio BELLINI avrebbe ricevuto tali informazioni, sin dall’inizio del 1970, da un giornalista inglese, in realtà corrispondente dei servizi informativi di tale Paese, di cui si è ben guardato di consentire l’identificazione, anche se il rapporto con lo stesso sarebbe durato, e proficuamente, per molti anni.

Tale linea di acquisizione di notizie sembra verosimile tenendo presente, ad esempio, che nei giorni immediatamente successivi al 12 dicembre 1969 la stampa britannica più autorevole (dal TIMES all’OBSERVER) e portatrice del punto di vista del Governo non aveva avuto dubbi nell’indicare come "nera" la matrice della strage e nel ritenerla connessa ad un progetto di svolta autoritaria, mostrando di disporre di informazioni non di seconda mano (cfr. perizia del dr. Aldo Giannuli, f.142).

Sembra però difficile che le informazioni raccolte da Fulvio BELLINI si limitino a quelle raccolte nel 1970 dall’agente inglese e non siano state arricchite, in seguito, da altri dati di conferma anche in considerazione del fatto che il volume è stato scritto solo molti anni dopo, secondo l’autore fra l’inverno 1977 e la primavera 1978, e comunque pubblicato alla fine del 1978.

Non sembra un caso che nella nota aggiunta alla prefazione (pag.9), scritta certamente quando il testo era già stato scritto, Fulvio BELLINI sottolinei che la pubblicazione del c.d. memoriale Moro (quello rinvenuto in Via Montenevoso, a Milano, il 1°.10.1978) evidenzi "una impressionante analogia fra gli argomenti toccati dallo scomparso statista e quelli trattati nel "Segreto della Repubblica".

A questo punto, tenendo presente che secondo il volume, scritto nel periodo corrispondente al rapimento dello statista, l’on. Aldo MORO (all’epoca Ministro degli Esteri) sarebbe stato uno dei principali artefici del "compromesso" del dicembre 1969 che aveva comunque arginato la linea oltranzista appoggiata dai filo-americani del P.S.D.I., compromesso che era stato possibile grazie al mutamento di campo dell’on. RUMOR (pagg.85-87), è possibile azzardare un’ipotesi.

Non è infatti escluso che Fulvio BELLINI, grazie ai poliedrici contatti di cui godeva sia a destra sia a sinistra (egli, nella testimonianza, si è in sostanza qualificato come un comunista amico dei fascisti e viceversa, mostrando stima nei confronti di entrambi i "rivoluzionari" Mussolini e Lenin), abbia potuto ricevere confidenze o anticipazioni in merito ai temi e alle linee di interpretazione toccate dall’on. MORO durante la sua prigionia, e in particolare quelle relative alla strage di Piazza Fontana e alla strategia della tensione, ricevendo da ciò conferma dei primi elementi raccolti nel 1970.

L’esame del "memoriale MORO" e in particolare del secondo testo rinvenuto nel 1990 in Via Montenevoso in una intercapedine (ammesso che anche tale testo sia completo) sembra avvalorare tale prospettazione e anche la ricostruzione di collaboratori di giustizia secondo cui la strage di Via Fatebenefratelli non sarebbe stato un episodio secondario e l’obiettivo sarebbe stato direttamente l’on. Mariano RUMOR, e non genericamente le personalità presenti, da punire per il "tradimento" del dicembre 1969.

Infatti nella parte del "memoriale MORO" dedicata alle riflessioni del "prigioniero" sulla strage di Piazza Fontana (si veda un estratto, vol.20, fasc.10, ff.14 e ss.), oltre ad accennare a "responsabilità che si collocano fuori dall’Italia" e al fatto che nella strategia della tensione doveva presumersi che "Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati ad un certo indirizzo si fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi di informazione" (evidente richiamo, questo, agli Stati Uniti d’America e ai Paesi del Patto Atlantico), vi è una serie di riferimenti, ben 4 in poche pagine, all’on. RUMOR.

Leggendo con attenzione il testo si può notare che tutti i riferimenti all’on. RUMOR contengono, dopo la citazione del nome dell’esponente democristiano, un insistente riferimento al fatto che "egli stesso" sarebbe stato "destinatario dell’attentato BERTOLI" (o oggetto di attacco del BERTOLI o di un attentato, e così via), riferimenti pleonastici dopo la prima citazione, tenendo presente il fatto che l’avvenimento di Via Fatebenefratelli era ampiamente noto.

Perchè, allora, citare 4 volte l’attentato di Gianfranco BERTOLI (strage, per così dire, "minore" rispetto ad altre) nei passi relativi alla strage di Piazza Fontana e al ruolo dell’on. RUMOR?

Si ha la sensazione che l’on. MORO, in parte in ragione del suo stile e in parte della situazione di prigionia in cui si trovava, abbia voluto inviare un messaggio criptico che comunque imponeva lo stesso collegamento fra i due episodi, quello del 1969 e quello del 1973, emerso nella presente istruttoria.

In uno dei passaggi, l’on. RUMOR è anche definito "uomo intelligente ma incostante e di scarsa attitudine realizzativa", definizione che sembra richiamare il comportamento incerto di RUMOR sino all’ultimo momento di quel dicembre 1969 messo in luce tanto dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia quanto dal saggio polemico di Fulvio BELLINI.

Se a ciò si aggiunge il riferimento inequivoco contenuto nel memoriale (in un altro passo, oltre a quelli citati, si legge: "...la presenza straniera, a mio avviso, c’era"), l’insieme delle risultanze della presente istruttoria ne risulta notevolmente rafforzata e, in prospettiva, la strada dell’approfondimento di tali collegamenti (e in primo luogo delle "fonti" di Fulvio BELLINI) potrebbe ancora essere utilmente percorsa.



Indice e sommario articoli: http://www.strano.net/stragi/tstragi/salvini/


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