AUTODIFESA- SELF DEFENSE
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2010:Servizi sociali inesistenti



INTRODUZIONE
Chiunque può trovarsi in uno stato di necessità ed aver bisogno degli altri.Una società senza solidarietà umana e carità è destinata a regredire, essere sopraffatta e  scomparire. Ci si può trovare in stato di emergenza ed aver bisogno degli altri per aver perso il lavoro e non avere più capacità di sostentamento, per un incidente automobilistico, per un divorzio, per un errore giudiziario, perché qualcuno ti ha bruciato la casa o il negozio, per lo scoppio di uno scandalo, per un cambio del potere al vertice, per un sequestro che ti impedisce di utilizzare le tue cose, per una ripicca di qualcuno ha preso di mira te o i tuoi figli o le tue cose, oppure per aver visto qualcosa di troppo… Ma anche per una multa salata, per un terremoto, per lo scoppio di una bombola del gas, per una bolletta o per un investimento sbagliato... I casi sono così tanti che virtualmente ognuno può trovarvisi dentro uno di questi.

Casi come quelli elencati inducono molte volte uno stato di necessità e spesso inducono alla povertà se non vengono affrontati correttamente dalla comunità, dal comune, dalla provincia, dalla regione o dallo Stato.

La povertà dunque non deve essere considerata una cosa “da poveri”, ma come un’evenienza possibile che può colpire persone di qualsiasi tipo. In quest’ottica deve essere considerata uno stato di emergenza e non uno status perduranti: deve cioè essere affrontata e risolta. Chi invece si adagia ad accettare che persone si adattino a vivere in condizioni inumane, deve essere trattato dalla società alla stregua di una persona asociale, pericolosa per la comunità tanto quanto un terrorista, e vediamo perché: la povertà non genera solo povertà ma anche ingiustizia sociale, criminalità, attriti tra classi sociali, problemi di ordine pubblico.
La povertà peggiora la condizione di una nazione e alimenta la mafia ed altre forme di terrorismo. Non a caso la mafia è nata ed ha pullulato in una terra come la Sicilia, martoriata dalla più profonda Miseria e caratterizzata dalla mancanza dello Stato, miseria determinata tra l’altro da  mancanza di servizi sociali, mancanza di lavoro…

In un momento di crisi generale come quello che sta attraversando il nostro paese occorrerebbe una maggiore sensibilità, una maggiore trasparenza e un maggior impegno dei cittadini, perché il problema  deve essere affrontato attraverso degli strumenti adeguati, che attualmente non esistono, come appunto dimostra il nostro caso.

“EMERGENZE”
Se scoppia un incendio il cittadino ha la possibilità di chiedere immediatamente l’intervento dei vigili del fuoco; per  un problema di ordine pubblico si telefona al 112, in caso di incidente con feriti si chiama il 118. Tutti questi fatti rientrano tra le emergenze, cioè appartengono a quei casi imprevisti e improvvisi che richiedono un’azione di intervento. Questi servizi sono diventati una parte essenziale del vivere civile, e vi sono forze e uomini impegnati continuamente a mantenere attivo tale servizio. Il fatto stesso che esistono tali servizi in caso di necessità infonde un senso di sicurezza nel cittadino, ed è in sé un segno tangibile di civiltà.
Avere tali servizi è una conquista del genere umano.


Ma cosa succederebbe se al 115 i vigili del fuoco rispondessero con una frase del tipo “prima di qualsiasi nostro intervento occorre fissare un appuntamento con un responsabile del servizio, il primo spazio libero è per lunedì, le fisso un appuntamento per  lunedì?” Beh io credo che dopo il 115, un sano cittadino farebbe il 112 chiedendo che riportino all’ordine i vigili del fuoco. E cosa fareste se il 112 vi rispondesse che non è loro compito, ed eventualmente di inoltrare protesta al prefetto? Tra burocrazie e telefonate varie intanto la vostra casa sarebbe bruciata!

EMERGENZA ABITATIVA
“Emergenza abitativa” viene definita dal comune la situazione di chi si trova, per varie ragioni, senza un posto dove dormire, e non sia in grado di risolvere il problema da solo, per vari motivi, come lo sfratto per sopravenuta indigenza.
A noi è capitato proprio quello che andiamo narrando: presentatici agli uffici del comune di giovedì per un’emergenza abitativa, ci è stato fissato un appuntamento per lunedì, e il lunedì l’assistente sociale non ha preso l’incarico di risolvere il problema. Ci ha rimandato a provare a bussare alla chiesa. Per avere un posto al dormitorio gestito dalla chiesa occorreva però parlare prima con il responsabile e si va dunque al successivo mercoledì, per sapere infine mercoledì che non c’era posto perché le strutture erano piene, ed essere rincuorati di provare venerdì che forse se qualcuno va via prima un posto lo troveranno… Intanto passano i giorni, e il comune o la chiesa sembrano sperare che uno si abitui a dormire fuori, tanto lo fanno già in tanti, e magari capita pure che ti dicono “tanto è solo una questione di abitudine, non si muore mica…”.

Esistono dunque dei servizi per i civili cittadini che sono catalogati a torto con il termine “emergenze”, perché non trattati con tali modalità, destinate ad ispirare false aspettative: cioè tempestività nel risolvere il problema sollevato e compimento del servizio con un sano senso del dovere. Dai giornali ogni tanto si apprendono queste situazioni, di gente che è rimasta in strada, ma i giornali riportano solo pochi casi rispetto a quelli che accadono, ad esempio non il nostro.

Dunque il servizio “emergenza abitativa” si comporta come, pur avendo il nome, una non emergenza!  Poco importa sia erogato da servizi sociali o da organismi della chiesa. E questo è successo a noi, ma anche ad altri. Non vogliamo dire con questo che il sistema non funzioni mai, funziona solo in parte e non nei termini che sarebbe normale aspettarsi. Ecco dunque come il cittadino in caso di necessità non è tutelato, perché quei servizi esistenti sono incapaci di gestire le emergenze abitative. I vari uffici sono gestiti come gli sportelli di banca, con degli orari prefissati, e come questi subiscono una burocratizzazione che annulla l’essenza del servizio stesso. Anzi peggio delle banche, perché queste hanno degli sportelli bancomat aperti a tutte le ore che risolvono il problema dei contanti.

LE CONSEGUENZE FURONO OVVIE: NOI DORMIMMO FUORI E IL PROBLEMA NON FU RISOLTO NÉ DAL COMUNE NÉ DALLE STRUTTURE CARITATIVE. Quello che manca è dunque un servizio attivo di continuo che risolva tali problemi al momento che si presentano, e che si affianchi ai sistemi preesistenti. Un sistema che tenga in considerazione anche il lato umano.

Ora vi raccontiamo meglio cosa ci è accaduto, per poi esporre come questa sia una lacuna enorme nel sistema sociale.

TUTTO COMINCIÒ CON UNO SFRATTO…
Io e mia moglie ci trovammo improvvisamente buttati fuori di casa a causa di una specie di sfratto. Non si è trattato di un vero e proprio sfratto, perché in un caso di sfratto sarebbe intervenuto l’ufficiale giudiziario, e vi sarebbero stati dei tempi tecnici stabiliti dalla legge, fra le varie notifiche e lo sfratto vero e proprio. Tralasciamo in questo documento la narrazione di quello che successe esattamente quei giorni, per concentrarci ora invece su tutto quello che accadde dopo, cioè come la Repubblica Italiana intervenne a risolvere l’emergenza abitativa scaturita dalla contingenza dello sfratto e della nostra condizione di indigenza, che fu in qualche maniera una delle cause dello sfratto stesso.

Noi non ci rivolgemmo subito agli enti comunali, perché in passato avendo già avuto problemi economici e avendo già chiesto interventi a nostro favore ad altri comuni, avevamo una certa coscienza storica di questi evitassero in tutte le maniere di dare un aiuto, difatti dal lato pratico non ricevemmo mai un euro, seppur dimostrando a suon di carte la necessità. Non ricevemmo nessun aiuto anche per trovare un lavoro.  Avevamo una certa diffidenza negli assistenti sociali, avevamo la sensazione che certe persone venivano scelte apposta in modo da respingere la maggior parte delle richieste a favore del bilancio comunale, già appesantito di tagli nazionali. Per un certo periodo ci arrangiammo, rimanendo lontano sia dai preti sia dal comune, facendo un tipo di vita alquanto particolare che abbiamo descritto in un diario “iconografico”. In pratica all’inizio vivemmo all’aria aperta, dormendo in spiaggia e in ripari di fortuna mimetizzandoci, tra i villeggianti senza dare adito a scandali: dunque poche borse, barba fatta,….
Poi iniziò ad arrivare il freddo, ci spostammo nell’entroterra fino a che un giorno trovammo una soluzione più interessante e continua, trovando appunto una specie di rifugio all’interno di un gazebo di un negozio in ristrutturazione. In ottobre vennero meno alcuni aiuti che avevamo trovato da semplici cittadini, il gazebo venne dimesso e perdemmo un’altra volta la “nostra casa”. Senza casa e senza aver trovato altre soluzioni, decidemmo di affrontare il comune e varcammo la soglia un giovedì di ottobre.

COME IL COMUNE NON È STATO IN GRADO DI RISOLVERE L’EMERGENZA E L’HA TRASFORMATA IN UNA CONDIZIONE NORMALE.
La nostra situazione fu catalogata immediatamente il giovedì come “emergenza abitativa”, fu dunque fissato un appuntamento con l’assistente sociale per il lunedì successivo. Il lunedì l’assistente sociale ci disse che i pochi locali atti a risolvere le emergenze abitative erano tutti occupati, e non vi erano nemmeno possibilità che si liberassero nei prossimi mesi. Appresa questa triste notizia speravamo di avere un bonus eccezionale di due giorni in hotel, almeno per riprenderci dalla vita a ciel sereno, ma anche qui dovemmo ricrederci! Fummo invitati a provare a presentarci agli sportelli delle organizzazioni caritative del capoluogo, ma là noi sapevamo come funzionavano le cose: nella stessa maniera, e cioè il capoluogo aveva una casa di accoglienza per le emergenze, ma tale soluzione era inarrivabile, perché sempre piena. Forse se ci fossimo presentati separatamente un posto uno dei due l’avrebbe trovato prima o poi, ma noi di separarci non ne avevamo voglia visto, che la nostra unione era l’unica cosa che ci era rimasta dopo aver perso lavoro, auto e casa. Era improponibile che fosse entrato nel dormitorio solo uno dei due, mentre l’altro sarebbe rimasto fuori esposto al pericolo, almeno in due ci facevamo coraggio e ci davamo assistenza reciproca, che poi, se qualcuno ricorda bene, è anche una delle cose che si promettono durante il matrimonio.
Per capire queste cose non è necessaria la laurea dell’assistente sociale, occorreva invece un po’ di esperienza e un po’ di cuore.
I dormitori costituiscono delle soluzioni per le persone disadattate, per gli ubriaconi, per i barboni…; dopo che sono stati chiusi i manicomi, si rifugiarono le persone con problemi psichici non gravissimi, poi vi sono spacciatori, prostitute, delinquenti, badanti che transitano nel territorio… ed in ultima analisi anche qualcuno che ha perso il lavoro ed ha divorziato, lasciando l’appartamento alla moglie. Diciamo che sono posti per single, non per una famiglia, ma sembra non volerlo capire nessuno.
Lo Stato italiano non intervenne in nostro aiuto in qualità di cittadini, preferì sbolognarci alle strutture della chiesa. Strutture che però risultano insufficienti a soddisfare le esigenze di cittadini, sempre più poveri e in miseria a causa della crisi economica. Strutture, come i dormitori, nate per un certo tipo di emergenza, sempre pieni di immigrati stranieri e per nulla abitazione. Nei dormitori ci si deve far entrare le famiglie che si vogliono sfasciare, non quelle che vogliono rimanere unite!

Benedetta Italia, che scrive la legge e poi non la mantiene! Si legge infatti all’Art. 3 della Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Si legge che è compito della Repubblica e non della chiesa! Ma i comuni preferiscono sbolognare i propri cittadini alla chiesa. Certo, i comuni hanno subito molti tagli….!

A QUESTO PUNTO L’ASSISTENTE SOCIALE, NON RIUSCENDO A TROVARE SOLUZIONI TRASFORMÒ IL NOSTRO CASO DA “EMERGENZA ABITATIVA” A CONDIZIONE NORMALE, SEMPLICEMENTE FACENDO DIVENTARE CASA LA STRADA.

Non risolse l’emergenza abitativa, ci lasciò in strada, ma non rifiuto di aiutarci del tutto: disse che il comune comunque poteva assisterci in un progetto più lungo termine, ad esempio poteva fornirci dei soldi per la caparra e primo mese di affitto, nel caso avessimo trovato un lavoro ed un appartamento dove stare, e ci avesse conosciuto meglio… SEMBRA, DUNQUE, DALLE PAROLE DELL’ASSISTENTE SOCIALE, CHE SOLO I LAVORATORI IN ITALIA ABBIANO DIRITTO ALLA CASA, DAL MOMENTO CHE NON HAI PIÙ UN LAVORO NON HAI NEMMENO PIÙ DIRITTO AD UN TETTO. ED IL LAVORO TE LO DEVI PURE TROVARE, E MANTENERE, CON I MEZZI CHE LA “STRADA” TI DÀ. “BATTENDO” COME PROSTITUTE? FINGENDOSI IMPROBABILI “ARTISTI DI STRADA”?
Dovevamo arrangiarci.
Preoccupati di non farcela per il freddo, le intemperie, andarsene in giro con la valigia e le coperte, i segni evidenti di una certa fatica sul volto…..cercammo di argomentare la nostra difesa.
E poi soprattutto, come si fa a trovare lavoro e tenerselo quando non sai neanche dove e come passerai la notte? Non hai neanche un domicilio da dare al datore di lavoro: con che faccia ti presenti? 
Inutile argomentare la nostra causa: l’assistente sociale ci rispose che non si muore mica vivendo fuori, “è solo questione di abitudine” ci replicò. Ribattemmo che non fanno il necrologio sul giornale per chi crepa perché il fisico non regge più, e non fanno statistiche serie per vedere che fine fa le gente in queste condizioni ed in che tempi.

Così l’emergenza abitativa fu trasformata dalle operatrici del comune in “condizione normale”, la normalità di chi “è abituato a vivere fuori”. È prassi di molti comuni comportarsi così.
Il sistema adottato dall’assistente sociale è stato dunque lo stesso che si usa nel buttare una persona in acqua, per farla imparare a nuotare: se crepa si fa un funerale, se sta male si arrangerà l’ospedale, se sopravvive si arrangerà a galleggiare; in ogni caso il problema è risolto o non è più di competenza.

COSA E’ SUCCESSO POI
Una persona del Comune, con un ruolo diverso da quello dell’assistente sociale, non riuscendo a trovare soluzioni nemmeno ella, ci consigliò di provare a parlare con persone facoltose o commercianti, per vedere se potevano interessarsi al nostro caso. Ma in pratica noi dormimmo fuori, fino a che la mattina di lunedì primo novembre ci trovarono dei muratori e degli impresari, che dopo una grossa imprecazione, si mostrarono più pratici, e decisero di farci dormire dentro il capannone.
La sera seguente di martedì pioveva a dirotto e gli impresari ci aspettarono: ci diedero delle coperte da mettere sul pavimento perché fosse meno freddo, il loro capo ci offrì una bottiglia di vino, una di acqua e un pezzo di pane, con la promessa di interessarsi in comune; lasciarono aperto il bagno affinché potessimo usarlo.
Tra queste persone vi erano gente con soldi e fabbriche nella provincia: sembrava in un primo momento che potevamo restare lì almeno fino alla fine dei lavori verso il 13 novembre. Potevamo utilizzare quel tempo per mettere giù le borse, che ci portavamo sempre appresso, per lavarci in un bagno con l’acqua calda, un tempo necessario per riorganizzarci, cercare qualche lavoro in zona in condizioni decenti (nelle condizioni di prima, al limite potevamo recarci al pronto soccorso .…)
Ma il capo degli impresari,  ebbe la malaugurata idea di chiedere aiuto al parroco del paese. Il parroco raccontò storie insane su di noi, quelle provenienti dal paese ove ci avevano cacciato  (narrate in M2010_as_public.htm). Si riaprì anche in questo paese la caccia all'uomo. In base alle nuove informazioni il capo si pose il problema di farci sparire il prima possibile. Non solo nel giro di qualche  giorno quei facoltosi signori avevano cambiato atteggiamento nei nostri confronti,  ma  chiamarono pure i carabinieri per farci cacciare raccontando anche a loro  le cose che avevano sentito sul nostro conto e pure chiamarono il vice-sindaco che era pure capo dei vigili, il quale si disse pronto a mandare i suoi uomini a portare via le nostre valigie nel caso non lo avessimo fatto di nostra spontanea volontà.  Noi fino al 15 nov ore 16:00 non incontrammo né i carabinieri né i vigili per fatalità, ma ora il tempo era finito e si prospettava il 15 novembre una "nuova soluzione finale". Poco importava che eravamo malandati, e senza un posto dove andare, senza un aiuto dai servizi sociali. Nessuna di queste persone conosceva veramente la nostra storia. Interessava solo sbarazzarsi di noi e mandarci nel capoluogo. Là nel capoluogo ci aspettavano per farci la festa di compleanno...

Il 16 di novembre 2010 alle ore 6.40 circa, irruppero nel tendone ove dormivamo tre vigili del comune e due carabinieri con l'obiettivo di asportare noi e le borse.  Ci portarono in caserma, ci tennero là fino alle 11:00 e ci rimisero in strada senza darci la possibilità di spiegare la nostra situazione. Loro sostenevano di conoscere già la nostra situazione. Ma da chi? Da chi aveva raccontato tante balle per farci sloggiare?  Eppure i patti erano altri, noi potevamo rimanere fino a quando il tendone non sarebbe stato chiuso a chiave a fine lavori: ebbene il tendone il 16 novembre era ancora aperto, il capo dell'associazione che ci aveva accolto il due di novembre  fu un vero Giuda, prima ci portò il vino, ci aprì il bagno che fino ad alloro era chiuso, ci promise una stufetta, ci diede delle coperte da mettere sul pavimento. Poi, si informò  e ci disse che lo avevamo preso in giro trattandoci come persone giramondo. Chiamò i carabinieri e i vigili raccontando delle balle, e questi  lo ascoltarono senza verificare i fatti. Vi erano dei testimoni del voltafaccia di  Giuda, vi erano situazioni evidenti che mostravano le balle da lui raccontate.
Ma come sempre noi e la nostra vita non contano nulla,  gli altri sono sempre immacolati e santi.

Questa non è Repubblica, questa non è Democrazia. Siamo tornati ad un regime e le cose non ci sembrano tanto differenti da quando la Polizia sparava sui manifestanti scioperanti. Qui ci sparano violenza su violenza, senza che possiamo difenderci. Noi siamo stanchi, sfiniti, abbiamo bisogno di riposarci e dormire, e l'autorità non fa altro che tenerci in strada o ributtarci in strada. Nemmeno ci ascoltano!  Se reagiamo finiamo dentro! Non è questa tortura? Non è questa lesione del diritto della difesa? Non è questa lesione dei diritti umani e civili?
Qui in questo paese, come nel paese precedente, posti turistici conosciuti in tutta Europa, non sono neanchè in grado di leggere un esposto di una pagina perchè troppo lungo, figuriamoci se li si può spiegare la nostra storia. Sanno solo seguire le chiacchiere di paese, e i quattro capoccia del paese. Difatti il capo del tendone per farci sloggiare chiamò il vice-sindaco che è sia un socio dell'associazione che gestisce il tendone sia l'assessore a capo dei vigili del comune. Da lì muoverci le autorità contro fu un attimo. Non poteva muovere tali forze per darci un aiuto?


LA TELEVISIONE
Nel 2007 ci trovammo in una situazione del genere. Un prete spingeva perché nessuno ci aiutasse, e il comune non si muoveva in nessuna direzione. La cosa fu risolta solo dopo che intervenne la RAI, che ci permise di raccontare la nostra storia in diretta dagli studi di via Teulada in Roma. Solo l’intervento della TV,  mise a tacere allora il prete e smosse il Comune, mentre tutte le altre azioni risultarono fino ad allora infruttuose.

COSA AVREMMO VOLUTO E COSA INVECE È STATO
Avremmo voluto quel giovedì in cui ci siamo presentati in comune essere introdotti in un albergo, in una stanza, o in un garage o in un camper o qualsiasi cosa al coperto, fino al tempo che si sarebbe trovato o liberato un posto in una struttura per famiglie. Poi avremmo voluto un aiuto per trovare un lavoro e/o un’abitazione fino al momento di diventare indipendenti economicamente. Avremmo potuto ritornare a essere produttivi forse in breve tempo e con meno spese sociali. Noi non crediamo che organizzare un servizio del genere sia una cosa impossibile, occorre innanzitutto una mentalità in proposito, una mentalità che porti a capire che se si bastonano i cittadini si bastona anche lo Stato e se stessi!
Invece il trattamento reale fu alquanto diverso, fu di essere stati lasciati a dormire in strada, di doverci arrangiare a cercare altre soluzioni, di doverci arrangiare a trovare i soldi anche per spostarsi, telefonare e compiere tali atti. Di doverci arrangiare a cercare un lavoro.

ALTRI ASPETTI

UNA CIVILTÀ CHE  NASCONDE I PROBLEMI
Quando si vive fuori si deve nascondere la propria condizione, perché la nuova situazione di debolezza è in grado di per sé di attirare le situazioni più subdole. Vi può essere chi si avvicina per offrirti dei soldi, in cambio di prestazioni sessuali, in ogni caso si è esposti alla crudeltà umana, all’ingiustizia, all’ignoranza e alla delinquenza.
La cosa che fa più rabbia è la condizione di chi trovandosi a dormire dove capita riceve il disprezzo gratuito degli altri. Parte di quel disprezzo proviene dalla convinzione che uno abbia deciso di fare tale tipo di vita, e nel caso cambiasse idea, si pensa che la civiltà gli offra tutte le possibilità di inserimento in un tessuto sociale normale. Magari a volte questo accade, ma noi abbiamo sperimentato il contrario, cioè come due persone siano spinte a disinserirsi dalla società, dal sistema produttivo con il ricatto che “se non ti trovi un lavoro, io non ti aiuto, perciò te ne puoi stare ai margini”. Non è un momento in cui si trova lavoro facilmente, questo ricatto non serve per spronare “i fannulloni”: si è trattati come figli viziati, ai quali è negata la paghetta, ma qua di viziata c’è solo la burocrazia o l’incapacità, che ti lascia privo del necessario.
L’opinione pubblica è all’oscuro di come funzionano realmente i servizi per i poveri, o per quelle persone diventate povere a causa di fatti improvvisi, o perdita di lavoro. Non hanno coscienza di come funzionano le strutture che si occupano dei poveri e non hanno la minima idea di che cosa significa entrare in tali contesti.
In tutto questo, dunque questa lettera, rappresenta un atto dovuto, un dovere che si siamo sentiti di esprimere per sopprimere quel senso di omertà che sta attanagliando l’Italia e che sta dividendo i cittadini, compresi quelli che ci guardano male, vedendoci girare con la valigia, convinti che siamo gente oziosa, alla quale piace vivere in suddetta maniera. Anche quest’ultimi sono liberi di guardarci come vogliono, ma almeno sapessero realmente come sono andate le cose.

QUANTO COSTA ALLO STATO NON RISOLVERE UN’EMERGENZA
Sembrerebbe che far a meno di risolvere un’emergenza come la nostra corrisponda a un risparmio per le casse del Comune e dello Stato, ma è proprio così? Nutriamo seri dubbi in proposito, e vediamo perché.
Una famiglia che è lasciata in strada difficilmente uscirà da quella condizione, più facile che subisca problemi gravi alla salute, che necessiteranno un ricovero in ospedale, o che si rivolga alla malavita per risolvere i propri problemi: dunque spaccio o manovalanza criminale.
Nel primo caso, un ricoverò all’ospedale, che oggi è garantito a tutti, costa da un minimo di 600 euro a un massimo di 2000 euro a giornata. Solo pochi giorni in ospedale superano l’affitto di una stanza per alcuni mesi.
Nel caso della malavita è difficile quantificare il danno allo Stato ma credo che sia ancora maggiore.
Un cittadino potrebbe anche non farcela a sopportare tutti i pesi sulle proprie spalle, potrebbe anche decidere di farla finita.
Oppure potrebbe decidere di vendicarsi su chi l’ha costretto a fare tale tipo di vita, facendosi giustizia da sé: magari alla fine andrà a finire in galera, e graverà sul bilancio dello Stato e sulla comunità per un importo infinitamente superiore ad un eventuale aiuto. Detto questo si capisce subito che non è ragionevole non aiutare una persona, e non è neppure conveniente per la comunità!

Ovviamente le cose non capitano sempre secondo la logica della ragionevolezza, dipende dagli interessi economici in gioco.
Cito un esempio emblematico: quello del  trafficante di droga che oltre ad avere come clienti i consumatori, gestiva anche un’attività di recupero tossicodipendenti. Un tossicodipendente diventava fonte di guadagno due volte: prima come consumatore e poi come paziente. Certamente non conviene allo Stato avere tossicodipendenti, per tutta la comunità sono un costo sociale elevato, però possono essere convenienti per una persona o gruppo, ed è per questa ragione che esistono tante anomalie nello Stato.
La gestione della povertà e dei poveri rientra tra queste, come la gestione dei rifiuti: paradossalmente viene a dire che ci troviamo in entrambi i casi davanti a rifiuti: umani i primi, inanimati i secondi.
Sono anomalie, forse marcatamente italiane, visto che negli altri paesi europei sembra che questi problemi siano ben gestiti.





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