DIECI
ANNI FA IL CROLLO DEL COMUNISMO
Un crollo improvviso, ma non
del tutto inatteso,
segnava la fine di un grande
sistema totalitario
e delle sue fideistiche
aspettative
Il grande impero voluto da Stalin
iniziò a dare segni di cedimento fin dalla morte del suo illustre leader. Il
dissenso intellettuale interno, le aspirazioni ad una maggiore indipendenza
nell’Europa orientale, la controversia con la Cina, e la instabilità dei
suoi legami con i paesi del Terzo Mondo (ricordiamo la clamorosa rottura con
l’Egitto nel 1972) si manifestarono ben presto, e segnarono una crisi
alla quale una classe dirigente incapace di rinnovamento non poteva fare
fronte. Il disegno a lungo perseguito di una sfida all’Occidente
costringeva il colosso ad una corsa agli armamenti e ad una guerra di
logoramento, alla quale la sua economia, indebolita da una cattiva gestione,
non poteva resistere.
Il comunismo non cadde inseguito ad
una iniziativa militare del mondo occidentale, ma ebbe termine a causa di quei
ceti emergenti che la stessa dottrina marxista intendeva rappresentare.
Studenti e lavoratori delle grande industria non erano disposti ad accettare
come nel passato una vita gestita autoritariamente dall’alto, e la caduta
del regime mise in luce i privilegi di una categoria che aveva fatto del
conformismo il suo tradizionale sistema di potere.
Al crollo del comunismo regime seguì
una netta regressione del comunismo movimento. In Occidente e in tutto il mondo
libero, i miti di quello che poteva essere considerato il “Sole
dell’avvenire” iniziarono ad apparire in una luce diversa. Il
comunismo risultava ormai estraneo alla situazione sociale dei nostri paesi, dove
la legislazione sociale aveva attenuato le tensioni sociali e i ceti medi si
erano progressivamente ampliati, e profondamente lontano dalle nostre
coscienze. Sappiamo infatti che la società di oggi richiede creatività e
mobilità, non solo masse umane e macchine, sappiamo che l’economia non si
può “ingabbiare” attraverso provvedimenti autoritari, ma richiede
lo sforzo e l’innovazione del singolo. Se i lavoratori della passata
generazione accettavano la “disciplina di partito” a causa delle
difficili condizioni in cui versavano, le nuove generazioni, ormai integrate
nella società, rifuggono decisamente da tali sistemi. Il comunismo infatti ebbe
successo in quei paesi scarsamente industrializzati dove la scarsità di
istruzione e la consuetudine all’obbedienza rendeva la popolazione
disponibile ad accettare l’invadenza dello stato, mentre la libertà e la
dignità personale venivano visti come qualcosa di lontano, qualcosa a cui si
poteva rinunciare.
Il comunismo predicava
l’emancipazione dei lavoratori non attraverso la concessione di benefici
da parte delle classi superiori, ma attraverso un processo di
“autocoscienza” che avrebbe portato la classe operaia ad essere
protagonista della realtà. Nei paesi dove il comunismo si affermava, al contrario
subiva sistematicamente una involuzione economica, una riduzione dei suoi
diritti - privata anche dei suoi legittimi rappresentanti del sindacato - e
costretta a vivere in una società civile soffocante che non offriva possibilità
di miglioramento. Dobbiamo infatti ricordare che Lenin, l’uomo che più di
ogni altro influenzò le teorie del socialismo, nutriva una sfiducia profonda
nella società, nelle sue capacità di rinnovamento autonomo, e quindi nella
democrazia, non diversa da quella di altri sistemi totalitari della sua epoca.
Lenin riteneva che la classe operaia si sarebbe abbandonata ad un inconsulto
sindacalismo che non avrebbe edificato una reale società comunista, il vero
strumento di cambiamento era al di fuori di essa, nel partito, un partito in
cui assemblee e organi rappresentativi avevano poco spazio, un partito
profondamente verticista e chiuso. Ciò portò ad una progressiva degradazione
del movimento rivoluzionario, all’interno del quale vennero eliminati
tutti gli elementi innovatori, considerati elementi di disturbo,
progressivamente sostituiti dagli uomini della burocrazia. Chi legge le
biografie di Malenkov, Krusciov, Breznev o di Cernienko, si troverà di fronte a
uomini chiusi, lontani dal mondo delle idee e della cultura, che nella loro
vita avevano conosciuto pochissimo del mondo esterno, e che avevano fatto
dell’allineamento alle direttive superiori, anche quelle manifestamente
prive di una qualche utilità, il loro metodo di carriera.
Alla base del comunismo leninista troviamo
un’idea profondamente estranea al mondo moderno. Il pensiero moderno ha
fatto dell’uomo e della società i protagonisti della realtà. Non ritiene
che il loro bene debba essere gestito dall’alto, che esista
un’autorità investita del potere di decidere i nostri destini, ma ritiene
che la coscienza sia il fondamento dell’umanità, e la libertà la sua
condizione irrinunciabile. In altri termini il comunismo crollò perché al di là
di singole situazioni contingenti era contrario al senso profondo della storia,
come avrebbe detto il filosofo tedesco Hegel.
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