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Omosessualità? Si può uscirne

 

di Mario Palmaro - mario.palmaro@tiscalinet.it

docente  presso l’ateneo “Regina Apostolorum” di Roma

 

 

L’omosessualità è una condizione patologica. Dalla quale, se si vuole, si può uscire. Ma l’azione di una potente lobby gay mira a nascondere questa verità.

 

 

L’omosessualità come fatto normale. Da almeno trent’anni nella società occidentale opera una potente lobby che vuole far entrare nella testa della gente questa semplice idea: l’omosessuale è come un mancino, certo più raro delle persone che usano la mano destra, ma non per questo giudicato una persona “che sbaglia”. Insomma: “gay è bello” almeno quanto essere un eterosessuale. Chiunque sostenga il contrario, perde il diritto di parlare nel grande salotto del villaggio globale e viene liquidato come un intollerante che discrimina gli omosessuali, che li odia e che li considera individui pericolosi e senza speranza. Ovviamente, si tratta di un’accusa completamente falsa, che vuole solo neutralizzare la verità: e cioè che l’omosessualità è una condizione patologica, che ostacola la piena realizzazione della persona.

 

Un nuovo concetto di normalità

Siamo di fronte a una classica operazione di ingegneria sociale che vorrebbe trasformare una normalità di tipo sociologico in una normalità di tipo antropologico morale: se gli omosessuali sono presenti in numero rilevante, e la gente li approva, allora significa che essere gay è un comportamento assolutamente innocente del punto di vista etico. Non a caso, il Movimento di Liberazione Gay, fondato a New York nel 1969, rivendica due cose: la tolleranza, intesa come piena eguaglianza sociale, economica, politica e giuridica dell’omosessuale in quanto tale; e l’approvazione, intesa come l’idea diffusa che l’omosessualità sia una cosa normale. Ma se questa lobby gay si presenta all’opinione pubblica orgogliosa e compatta, ben diversa è la realtà esistenziale delle singole persone che vivono questa condizione: una vita segnata spesso dalla sofferenza e dall’inquietudine, aggravate dagli atteggiamenti urlati e provocatori del movimento d’opinione che cavalca la tigre della trasgressione sessuale. C’è un paradosso che molti ignorano: il primo passo per aiutare gli omosessuali è riconoscere serenamente che in quella condizione essi vivono male. Anche quando sia apparentemente accettata con serenità, l’omosessualità non sarà mai compatibile con i livelli più profondi della persona.

 

L’omosessualità come malattia

Dunque, giornali, TV, film, situation comedy sono pesantemente condizionate da questa lobby omosessuale, che ogni giorno muove qualche piccolo passo per “normalizzare” l’immagine dei gay agli occhi del pubblico. Le tecniche utilizzate sono molto simili a quelle messe in campo dalla lobby femminista negli anni Settanta, quando film e telefilm furono invasi da donne-giudice, donne-poliziotto, donne-soldato, allo scopo di suscitare processi di immedesimazione nel pubblico femminile. Oggi, le fiction Tv e i film si riempiono di personaggi che non nascondono, e anzi ostentano la loro omosessualità, come affermazione di una categoria socialmente rilevante: il pubblico assimila così il messaggio subliminale che non c’è proprio nulla di strano ad assumere pubblicamente il “ruolo” di omosessuale, felice e contento della propria condizione. Anche nel campo della psichiatria e della psicanalisi la lobby gay ha esercitato fortissime pressioni per indurre gli studiosi a un riconoscimento della normalità della omosessualità. La gente non sa un fatto clamoroso: i tre grandi pionieri della psichiatria – Freud, Jung e Adler – consideravano l’omosessualità come una patologia. Oggi, invece, il termine omosessualità è scomparso dai manuali psichiatrici delle malattie mentali. Ma, come scrive lo psicologo americano Joseph Nicolosi, nessun tipo di ricerca sociologica o psicologica spiega tale cambiamento di tendenza, e nessuna prova scientifica è stata fornita per confutare 75 anni di ricerche cliniche sull’omosessualità come stato patologico.

 

Omosessuale “per natura”

Spesso, i gay credono di essere nati tali. La stessa opinione pubblica è portata a pensare che certe persone “sono fatte così, e non c’è nulla che possano fare per cambiare”. Il riconoscimento giuridico e sociale dell’omosessualità sarebbe scontato, se fosse scientificamente provato che essa è una condizione innata. Ma è stato provato esattamente il contrario: e cioè che i fattori genetici e ormonali non svolgono un ruolo determinante nello sviluppo della omosessualità. Possono predisporre, ma mai predeterminare l’omosessualità. Dunque, non esiste alcun “gene dell’omosessualità” che costringa una persona a essere tale. Possono esservi invece condizioni innate che rendono più facile lo scivolamento verso l’omosessualità. Ma l’essere gay resta un fenomeno prettamente psicologico.

 

Guarire si può

Il vero scoop, in termini giornalistici, è proprio questo: che dalla omosessualità è possibile liberarsi. Non si tratta di un’affermazione teorica, o di un auspicio di natura morale: autorevoli psicologi che da anni lavorano in questo campo possono documentare numerose “guarigioni” di persone gay che – ovviamente senza alcun tipo di costrizione – hanno iniziato una cura psicanalitica seria, e sono completamente usciti dal tunnel di una personalità incompiuta. Certo, il primo passo di questo non facile cammino è riconoscersi bisognosi di aiuto, e infrangere il luogo comune imposto dai media secondo cui, al contrario, bisognerebbe arrendersi al fatto che omosessuali si nasce. Nulla di più falso: innumerevoli studi hanno ormai dimostrato che l’orientamento omosessuale è legato a una serie complessa di fatti accaduti alla persona durante l’infanzia e l’adolescenza. Questa rivelazione dimostra che la lobby gay non solo fa del male alle persone che afferma di voler tutelare, ma, ancor di più, induce l’opinione pubblica a trascurare una serie di informazioni educative che potrebbero in molti casi prevenire l’insorgere del problema. Sappiamo, ad esempio, che nel vissuto di moltissimi omosessuali maschi adulti c’è un padre evanescente; e spessissimo c’è una famiglia sfasciata, un divorzio. Non a caso, anche qui il miglior modo per prevenire è difendere la famiglia, recuperando in particolare la figura di un padre affettuoso ma autorevole, capace di dettare delle regole e dei divieti. In questo senso, i movimenti di liberazione omosessuale sono degli acerrimi nemici della famiglia.

 

L’insegnamento della Chiesa

La Chiesa cattolica continua a insegnare – in perfetta fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione – che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati, contrari alla legge naturale, e in nessun caso possono essere approvati” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2357). Il Magistero tiene distinti i comportamenti dalle tendenze: poiché la genesi psichica dell’omosessualità rimane in gran parte inspiegabile, la semplice presenza di tale tendenza non costituisce una colpa, e anzi le persone che si trovano in questa condizione devono essere accolte “con rispetto, compassione, delicatezza” (n. 2358). Ma è altrettanto evidente che le persone omosessuali sono chiamate alla castità e alla perfezione cristiana, traendo forza dalla preghiera e dalla grazia (n. 2359). Proprio questa parte del Catechismo sembra confermare la reale possibilità di cambiamento, cui la psicanalisi offre oggi importanti prospettive: “in questo senso – scrive Padre Livio Fanzaga – c’è affinità di vedute tra prospettiva scientifica e pastorale della Chiesa, scienza e morale qui procedono insieme verso un traguardo positivo di fiducia e di speranza”. Dall’omosessualità si può guarire.

 

 

Bibliografia

Joseph Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, SugarCo Edizioni, Milano 2002.

G. Van den Aardweg, Omosessualità e speranza, Ares, Milano 1985.

Catechismo della Chiesa Cattolica, Editrice Vaticana, n. 2357-2359.

 

 

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Per saperne di più

Il CeSAD (Centro Studi Achille Dedè - Via Tonezza, 5 - Milano - tel 4043295) organizza una conferenza-dibattito intitolata “Identità sessuale maschile: un incontro con Joseph Nicolosi, presidente NARTH”. L’appuntamento è per giovedì 5/6/2003, alle ore 9.30, presso il “Teatro Silvestrianum” (Via Andrea Maffei, 29 - Milano). Ingresso gratuito, fino ad esaurimento posti, previa segnalazione della partecipazione (tel e fax 02-5455615). Possibilità di parcheggio interno non custodito durante la conferenza. Tram 29-30, 9, 4 MM3 Porta Romana.

 

 

 

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Un libro da leggere

di Chiara Atzori

 

Nell’odierno panorama culturale, l’omosessualità maschile, sdoganata dall’area dei tabù, ammicca dai cartelloni pubblicitari e dagli spot televisivi, viene gridata nei “gay-pride days”, ma viene sottaciuta nella sua dimensione di frequente sofferenza individuale. Il libro di Joseph Nicolosi “Omosessualità maschile, un nuovo approccio” (SugarCo) è una voce fuori dal coro, che tenta di colmare una lacuna: infatti, tra i testi disponibili in Italia sull’argomento scarseggiano quelli riferibili all’esperienza, scientificamente solida e ben documentata, maturata dalla corrente degli psicoterapeuti che applicano la cosiddetta “terapia ricostituiva”, basata sulla teoria delle relazioni oggettuali e su studi empirici della identità sessuale. L’analisi delle dinamiche familiari, il recupero della relazione con la figura paterna, l’autoaccettazione e la rimozione dei sensi di colpa, l’autoaffermazione e lo sviluppo dell’autostima, lo sviluppo di vincoli di amicizie non erotiche sono elementi fondamentali di questo approccio, che prevede una relazione importante con il terapeuta, la verbalizzazione e psicoterapia personale e di gruppo. E’ nota la crisi dell’identità maschile, la crescente incertezza della definizione di ”genere sessuale”, prevale lo stereotipo politically correct per cui bisogna vivere e accettare serenamente il proprio “essere gay”.

Il malessere legato alla percezione della propria omosessualità è poco riconosciuto e considerato il risultato della chiusura della società. Ma una malintesa accettazione del pluralismo o della libertà di orientamento sessuale e la stessa legittima lotta alla discriminazione di persone omosessuali non possono prescindere dalla conoscenza delle possibili proposte alternative. Il rischio è una ghettizzazione di ritorno, ancorché di avanguardia, della persona omosessuale e l’abbandono di quelli che chiedono aiuto per riappropriarsi della  loro  identità di genere.

Nella mia quotidiana pratica clinica di medico infettivologo mi sono sentita rivolgere richieste di aiuto a riorientarsi da parte di pazienti che, avendo sperimentato pulsioni e comportamenti omosessuali, non avevano tuttavia trovato nel mondo gay (locali, circuiti associativi) risposte adeguate alla sensazione di malessere e di infelicità che sperimentavano. Cercare approcci psicoterapici alternativi alla terapia affermativa gay è stata una vera scoperta. Conoscere il lavoro di Nicolosi è stato illuminante. Una formazione professionale e scientifica solida e lucida, accompagnata da una umanità ricca ed empatica, ha permesso a questo psicoterapeuta di offrire spunti inediti di riflessione a chiunque voglia documentarsi in modo scientifico, onesto e mai ideologizzato sul tema dell’omosessualità maschile. Penso che non solo psicologi, medici e psicoterapeuti ma educatori, genitori, sacerdoti e quanti sono interessati al tema dell’identità sessuale possono apprezzare questo volume. La postfazione di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, commenta rifacendosi al Catechismo della Chiesa cattolica le posizioni etiche e morali, sfatando molte falsità che circolano a livello mass mediatico sulla presunta omofobia dei cattolici. La strada per il cambiamento e per vivere con consapevole libertà di scelta la castità è aperta ad ogni persona.

 

l’articolo è stato pubblicato sul numero di maggio-giugno 2003 della rivista “il Timone”

  

 

1a testimonianza

 

Ricordo distintamente che, un giorno, quando avevo quindici anni, osservando la gente che passava per strada, mi chiesi per l‘ennesima volta: "perché non sono come tutti gli altri?, "perché vedo passare delle belle ragazze e non provo attrazione?". Infatti da ormai alcuni anni mi ero arreso all’evidenza: i sentimenti che guerreggiavano dentro di me giornalmente erano desideri omosessuali. Per tanto tempo avevo cercato di sopprimerli, di scacciarli, di non badarci, ma più energie impiegavo a combatterli e più mi sembrava che ritornassero. Avevo diversi amici a scuola e sapevo bene che cosa pensavano delle ragazze attraenti, che cosa provavano e come ne parlavano. Io, pur di essere accettato, fingevo e usavo il loro gergo. Soffrivo in silenzio, con un segreto che non potevo svelare a nessuno.

Ma quel giorno particolare successe qualcosa di diverso perché, oltre alle mie solite lamentele e alle domande "perché è toccato a me?", "che cosa mi riserverà il futuro?", "potrò mai avere una famiglia?", sentii Dio che parlava al mio cuore e mi diceva: "Io ti guarirò!"

Avevo riscoperto Dio alcuni anni prima in un gruppo giovanile cristiano. Da allora leggevo con entusiasmo la Bibbia e pregavo spesso, rivolgendomi a Dio come ad un padre e a Gesù come a un fratello. Ma non riuscivo a capire perché quando pregavo "ti prego, toglimi questi sentimenti omosessuali" sembrava che non succedesse niente. Dovevo forse accettare la mia condizione e vivere da gay? Era l‘unica strada che mi riservava la vita? E Dio cosa pensava dell’omosessualità? Ero confuso e spaventato. Fu così che, incoraggiato da quelle parole decisi di parlarne con un amico che mi consigliò di rivolgermi a un teologo. Lui mi spiegò chiaramente cosa dice la Bibbia a proposito dell’omosessualità, che Dio non l‘ha mai pensata come normale, che è contro i suoi principi, cose che per me erano chiare e indiscusse. Ma poi aggiunse che da qualche parte aveva la testimonianza scritta di un ex-gay che era uscito dal vecchio stile di vita con l‘aiuto di Dio. Lì mi si accese la speranza: "allora esiste qualcuno che ha superato il problema!".

Purtroppo, però, non ricevetti mai una copia di quella testimonianza e il mio cuore di quindicenne si serrò completamente giungendo alla conclusione che non valeva la pena di aprirsi e parlare dei propri problemi con qualcuno. Questo fu un grosso errore, perché la chiusura in me stesso segnò l'inizio del mio declino.

Solo, amareggiato, affrontavo le tensioni famigliari rifugiandomi nella masturbazione e nella pornografia. Anche i periodi di preoccupazione e stress causati degli studi trovavano lì il loro sfogo. Continuavo ad andare in chiesa nutrendo il desiderio di essere un buon cristiano, ma più il tempo passava più mi rendevo conto che non ce l‘avrei mai fatta. Quando i giornaletti pornografici non bastavano più, andai alla ricerca di film pornografici che potessero dare forma alle mie fantasie sessuali. A diciannove anni neanche quelli mi bastavano più: ero alla disperata ricerca di qualcuno che potesse darmi un po‘ di affetto. Incominciai ad avere incontri anonimi con uomini che sfociavano in contatti sessuali, ritrovandomi così in una situazione nella quale non avrei mai voluto essere e la mia vita diventava ogni giorno più triste. Cercavo un padre, un uomo che potesse comunicarmi il suo amore e trasmettermi forza, coraggio e stima, ma non trovai altro che effimeri, brevi sfoghi sessuali che in realtà mi lasciavano ancora più vuoto di prima. Così, dopo un anno di questa vita gridai a Dio chiedendogli di aiutarmi e Lui mi rammentò quelle parole dette al mio cuore quattro anni prima. La speranza si riaccese e dissi a Dio che avrei seguito le sue vie, ma avrebbe dovuto aiutarmi Lui, perché da solo non ce l‘avrei mai fatta a resistere, neppure una settimana.

Dio mi ha aiutato davvero. Ho incominciato a incontrare persone con le quali potevo di nuovo aprirmi e rompere così la promessa che avevo fatto a me stesso di non confidarmi mai più con nessuno. Ho incominciato a capire che dovevo perdonare le persone che mi avevano ferito, sia con offese vere e proprie sia semplicemente deludendo le mie aspettative. Prima di tutti sono riuscito a perdonare mio padre che, malgrado la sua buona volontà, non era stato in grado di trasmettermi quell’identità di uomo e quella mascolinità di cui ogni ragazzino nella pubertà avrebbe estremamente bisogno. Grazie alla preghiera mi sono staccato dal cordone ombelicale di mia madre, con la quale mi ero troppo identificato, assumendomi tutti i pesi emotivi causati delle difficoltà del suo matrimonio, pesi decisamente troppo pesanti per le spalle di un ragazzino.

Ho deciso di incontrarmi regolarmente con almeno una persona per rendere conto dei miei progressi. Se c‘erano ricadute nella pornografia, se avevo periodi nei quali i pensieri omosessuali mi assillavano, potevamo portare insieme questi pesi e questi peccati a Dio. Così facendo sperimentavo il perdono e una guarigione crescente.

Con il tempo le tentazioni omosessuali perdevano forza e riuscivo a dire di no ai pensieri o alle emozioni che andavano in quella direzione. Ho incominciato a leggere libri e a frequentare conferenze sul tema dell’omosessualità dal punto di vista cristiano e a comprendere sempre di a fondo le cause che si nascondevano dietro il mio problema. Prima, quando pensavo alla "guarigione", mi aspettavo un fulmine dal cielo che mi colpiva e automaticamente mi cambiava i pensieri da omosessuali a eterosessuali. Non ho dubbi che Dio sia in grado di fare qualcosa di simile, ma ora capisco che l'idea di guarigione che Dio ha è molto più completa.

Piano piano sono cresciuto come persona a livelli profondi: ho capito meglio che cosa vuol dire essere maschio, ho imparato a essere contento della mia mascolinità, staccandomi dai cliché dei mass-media e sentendomi comunque all’altezza. Ho imparato ad accettare me stesso, il mio fisico, anche se non sarà mai quello di un body-builder; ho acquistato maggiore stima in me stesso come persona e più fiducia nelle mie capacità. Ho imparato a condurre buone relazioni non erotiche con uomini che stimavo, senza più avere l‘impulso incontrollabile di dovermi paragonare a loro sentendomi inferiore. Ho imparato ad avere buone relazioni con l'altro sesso, senza la paura di venire soffocato dai bisogni emotivi delle donne. Ho imparato ad assumermi delle responsabilità, a non fuggire dai conflitti, e moltissime altre cose ancora. Ho capito finalmente che l‘omosessualità non è un problema sessuale ma un problema di identità. Mentre nella pubertà avevo imparato a erotizzare negli altri uomini ciò che io non possedevo, adesso io stesso incominciavo ad appropriarmi di ciò che in fondo mi apparteneva già.

La perdita di interessa per l‘omosessualità è stata progressiva, e, anche se tuttora ho dei momenti in cui i pensieri omosessuali si riaffacciano alla mente, riesco subito a capire che quella tentazione sta solo cercando di colmare qualche mancanza nella mia vita e allora io colmo questo vuoto con qualcosa d’altro, semplicemente.

Qualche tempo dopo l'inizio di questo nuovo cammino ho visto risvegliarsi un altro interesse: quello per le ragazze. Provavo sentimenti ed emozioni nuove, mai conosciute prima. Volevo essere notato, volevo conquistare. A venticinque anni mi sentivo come un adolescente in quel campo, ma anche questa è stata una tappa importante. Ora sono felicemente sposato e abbiamo tre figli stupendi.

Sono grato a Dio di avermi aiutato e vorrei incoraggiare chiunque si trovi in questa situazione a informarsi con la letteratura disponibile e a chiedere l'appoggio di una persona fidata, anche se non particolarmente preparata, a cui rendere conto dei propri progressi.

P.G.

(Testimonianza fornita alla dott.ssa Chiara Atzori)

 

 

2a testimonianza

 

Nella prima infanzia mi ritenevo un bambino debole, avevo avuto dei problemi di salute, problemi agli occhi e di conseguenze non potevo praticare dello sport che comunque non mi piaceva. Con questi miei problemi mi sentivo messo da parte, diverso dagli altri.

Nel quartiere dove eravamo, con 2 dei miei vicini Christine e Jean-Marc, eravamo i più piccoli d’un gruppo, gli altri avevano almeno 5 anni più di noi, e quando giocavamo con loro, ci rigettavano e si approfittavano del fatto che erano più grandi.

Fino ai 4 anni, Il rapporto con mio padre era buono. Le circostanze della vita poi diventarono difficili per lui, e spesse volte ero trattato male, era una persona autoritario. Ero ripreso davanti a tutti, in particolare davanti ai famigliari e mi ricordo che aspettavo da parte da mia madre o da altri un aiuto. Spesse volte ero picchiato, mi sentivo umiliato, debole, indifeso, ero ansioso, pauroso, insicuro di me, nella mia identità, ero complessato, mi mancava l’amore da me aspettato. Sentivo fortemente l’ingiustizia. Potrei dire che non ho avuto un modello di padre e di uomo. Per riassumere un po’, ho avuto un’infanzia poco felice!, anche se sembrava che miei genitori facevano dal loro meglio.  All’adolescenza, non mi sentivo all’altezza d’essere un maschio, la pressione in me era intensa, tutto prendeva delle proporzioni più grandi, il desiderio erotico-sessuale diventava ossessivo, la masturbazione da anni praticata più volte al giorno come sollievo, era ancora più immaginativa e di consolazione.  Ricercavo la forza e la sicurezza in altri uomini, volevo dagli altri quello che non possedevo! Alla fine degli studi, ho proseguito nella vita gay, dove finalmente ero qualcuno, dove ero notato, piacevo, ero desiderato, le persone come me mi capivano, potevo finalmente ricevere l’amore per sentire di meno le mie sofferenze interne.

Ma tutto era solo che amore ridotto al sesso, vivevo in un circolo vizioso per diversi anni: sesso, sollievo passeggero, insoddisfazione, sofferenze! e di nuovo sesso e cosi via, la mia frustrazione era alleviata dalla dipendenza sempre più intensa. Un giorno ho realizzato che questi uomini avevano gli stessi miei problemi, in fondo ognuno cercava di prendere dall’altro, ma tutti rimanevano senza ricevere! Quando eravamo in società, discoteche, bar, sorrisi, gioie, battute, divertimenti. Quando ci ritrovavamo da soli, allora per alcuni la depressione, la tristezza e sopra tutto il fatto di dire ancora una volta non ho trovato la persona giusta! Da qualche parte, mi ero rassegnato su questo fatto, ma d’un'altra parte ero dipendente. Mi ricordo che quando mi guardavo nello specchio avrei voluto diventare cieco e brutto pensando allora non avere più problemi con la dipendenza, e non sarei più piaciuto. Per miei 30 anni, ho passato dei momenti d’esistenza veramente difficile, sia al lavoro, che con le mie relazioni.

Ho realizzato che tutto quello che desideravo materialmente a quell’epoca c’e l’avevo, però la mia vita non aveva senso, era una trappola, non avevo ancora combinato niente.

Qualcuno potrebbe pensare che ero frustrato con il fatto che non mi accettavo come omosessuale, eppure per anni ho vissuto anche dei bel momenti come gay lontano dalla mia famiglia. E potevo fare quello che volevo. Non ero felice e in pace con il fatto d’avere una vita gay! In questo periodo ho riscoperto Dio e la chiesa, e sopra tutto la motivazione di cambiare vita! Ho deciso a partecipare a dei corsi Living Waters per capire cosa era successo in me, come mai non ho avuto la scelta di essere eterosessuale, perché ero attirato compulsivamente verso lo stesso sesso? Settimane dopo settimane, ho fatto un lavoro su di me nel riconoscere, raccontare le mie sofferenze passate e presenti. Ho potuto parlare davanti a un piccolo gruppo di fiducia senza essere giudicato, sono stato ascoltato, prese in considerazione. Ho sentito degli insegnamenti relativi alla sfera sessuale, all’identità sia quella dell’uomo che della donna, alle nostre emozioni, sentimenti dell’infanzia. Questi tempi erano difficili, ma benefici per me, qualche volte mi vergognavo raccontando le mie storie. Volevo cambiare attitudine, atteggiamenti, modo di pensare, sistemi di credenze. Dovevo imparare a conoscere me stesso, ad avere un’identità che non fosse legata al sesso con un uomo. A vivere senza il narcisismo, cioè, la concentrazione su me stesso e miei bisogni, per sembrare sicuro di me. Vivere senza idolatria relazionale, cioè dare, o pensare che l’altro mi può dare solo felicità o ciò che mi manca. Accettare e perdonare me stesso e gli altri! Riposizionare i pensieri che avevo verso mio padre! Avere la volontà di vivere senza ribellione, senza modi trasgressivi! Dare il giusto valore alle ferite morali che avevo ricevuto, e anche perdonare. Accettare di maturare, perché questo processo era bloccato, uscire da me stesso, cambiare e andare verso altre situazioni sconosciute da me! Dopo questo periodo, è rinato in me il desiderio di mettere in atto i cambiamenti!, la voglia di avere una ragazza, sposarmi, avere una famiglia, scoprire l’amicizia senza il sesso, accettare i consigli, e rimettere in questione i miei pensieri, riconoscere quando agisco d’un modo pauroso! Ho imparato con il tempo a stare attento ai vecchi modelli di vita. Ho preso l’abitudine ad un nuovo modo di vivere e d’essere.  Voglio trasmettere le cose buone della vita, e sopra tutto  non credere a questa bugia che l’omosessualità è genetica! Non infliggere delle ferite morali, verbale o fisiche come le ho ricevute nel passato!  Imparo che non sta a me a cambiare le persone e che devo avere un certo distacco sulle circostanze e quello che mi arriva contro. Sapere vivere con dei filtri, lasciando passare le cose buone scartando  le meno buone. Non voglio dire che sono guarito, perché vorrebbe dire ch’ero malato, e che l’omosessualità è  dunque una malattia; ma piuttosto che prima vivevo separato della mia identità, non ero mai stato confermato come uomo da mio padre! Il processo di maturazione era bloccato. Cercavo solamente di acquistare la mia mascolinità d’un modo sbagliato! Non ritornerei indietro nel passato, e nello falso io, e sono contento d’avere capito cosa in me e fuori da me  ha fatto sì che ho abbia avuto dei problemi d’omosessualità.

 

S. Z., è venuto con la moglie e la figlioletta di pochi mesi, in occasione della conferenza del dott. J. Nicolosi del 5 giugno 2003, per dire a viso scoperto che ritrovare la propria identità dalla quale si era separati è possibile