Antenna Amica

SULLE ORME DEL DOTT. SCHWEITZER


Marco Barberi (IK5 BHN / TL8MB)

SULLE ORME DEL DOTT. SCHWEITZER

Tre settimane nella Repubblica Centro Africana

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Racconto-reportage di un intervento di volontariato a scopo umanitario per la realizzazione di una struttura sanitaria presso la Diocesi di Bangassou (Missionari Comboniani).

Il progetto della struttura è nato, è stato sviluppato e portato avanti tramite la radio e i radioamatori.

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PARTE PRIMA: Perché

 

Come molte cose della vita, o almeno della mia vita, anche stavolta tutto è iniziato per caso: o meglio, il caso ha voluto che un certo impegno e una certa attività abbiano poi portato sviluppi imprevisti e imprevedibili.

Personalmente ho sempre ritenuto che la nostra attività di radioamatori sia e debba essere sì di tipo tecnico, di studio e di istruzione individuale: ma che, una volta che abbiamo imparato a camminare poi si possa anche correre; ossia che la nostra attività, a meno di restare sterile e fine a se stessa, non possa limitarsi alla sola parte tecnica ma debba comportare anche un impegno civile e sociale, sulle cui forme e modi c’è solo l’imbarazzo della scelta.

E’ in questa ottica ad esempio che la radio, unita allo spirito del Volontariato, ha portato tanti OM, me compreso, ad Avellino, nel Belice, in Val Nerina, in Versilia, in Piemonte e in Umbria; ma anche in Africa, in America Latina, in Bosnia, in Bielorussia, in Albania, in Kosovo: e non certo per spedizioni DX ma solo per cercare di alleviare le conseguenze di tante disgrazie e calamità, terremoti, alluvioni, profughi, guerre e guerriglie, malattie, povertà. Con tanta fatica, certo, e a volte anche con un po' di pericolo, ma anche ricevendo in cambio soddisfazioni enormi e altrimenti impossibili, vivendo esperienze umane che non hanno prezzo e soprattutto - pur senza alcuna pretesa di cambiare il mondo - con la coscienza di aver fatto personalmente tutto il possibile.

Nell’autunno scorso assieme ad un gruppo di amici OM pensammo di far cosa utile dando vita a un servizio radio di emergenza rivolto alle stazioni del Terzo Mondo: assistenza e consulenza medico-specialistica soprattutto, ma anche tecnica in quasi tutti i settori, dall’energia alla meccanica, dalle costruzioni all’impiantistica.

Questo gruppo aveva bisogno di un nome, e fu deciso quello di ANTENNA AMICA , ma la struttura rimase volutamente elementare: niente cariche sociali, niente lunghi e inutili statuti, niente sede; un’ora di ascolto quotidiano, alcune frequenze, e tutta la disponibilità a portare avanti nei limiti del possibile qualunque richiesta di aiuto o di informazione. Ci fu anche e soprattutto l’adesione dell’Ospedale S.Martino di Genova (l’Istituto di Malattie Infettive e Tropicali), presso il quale fu installata ed è operativa una stazione radio HF col nominativo IZ1GEN.

Dapprima furono QSO su argomenti sanitari: patologie, terapie, screening in particolare per il problema dell’AIDS; chi di noi non era medico poteva solo ascoltare, magari un po' annoiato, e magari fare solo il salutino finale. Il traffico si animava, aumentava ogni giorno di più: Rep. Centroafricana, Tchad, Madagascar, Cameroun, Guinea Bissau; e veniva fuori un po' di tutto, dai problemi ai pannelli solari sino al rifacimento della bancata valvole di un trattore, sia al mattino che al pomeriggio: e tutti quelli del gruppo, chi più chi meno, iniziavano ad essere coinvolti.

 

PARTE SECONDA: Come

 

Una mattina si fece viva una suora comboniana, disse di chiamarsi Daniela. Usciva come TL8 AM da una missione sperduta nella foresta equatoriale, Tokoyo, a circa 800 Km. ad est della capitale.

Ricordo che era di gennaio: un giorno, dopo i saluti, Suor Daniela cominciò a parlare del progetto di una struttura sanitaria da realizzare ex novo, finalizzata in particolare all’assistenza ai malati di AIDS. Di QSO in QSO cominciarono ad emergere le necessità, i requisiti ed i particolari della struttura dal punto di vista distributivo e funzionale; venne fuori anche la necessità di prevedere futuri ampliamenti in maniera modulare (padiglione operatorio, degenza, e così via).

La bega se la prese un OM del gruppo, ormai in pensione, ma che aveva lavorato a lungo nei P.V.S e anche nel settore della realizzazione e riabilitazione di strutture sanitarie locali: prima fece una bozza, prontamente inviata a Bangui per DHL, e poi in seguito alle osservazioni e modifiche completò la redazione del progetto definitivo e degli esecutivi, completi di computo metrico e relazione, il tutto sempre prontamente inviato a Bangui.

Certo ci doveva aver messo mano anche il buon Dio: nessuno si era mai visto di persona né conosciuto se non in radio, e il progetto stesso era nato e si era sviluppato solo "via radio", una vera primizia e una notevole eccezione alle regole usuali. Certo non era Careggi o il Forlanini, ma nemmeno un ambulatorio: come primo lotto realizzativo erano previsti due padiglioni, più di 500 mq. coperti incluse tettoie e collegamenti, degenza per 24 posti letto, farmacia, ufficio, magazzino, infermeria eccetera; poi, in maniera modulare e se il buon Dio e i benefattori avessero dato una mano e magari due, il blocco chirurgia e così avanti. Per quei posti, un bel po' di roba.

Sta di fatto che quei fogli di carta parvero adeguati non solo alla richiesta di Suor Daniela, ma anche al Vescovo della Diocesi dove era la Missione, dove doveva sorgere la struttura, che dette il suo benestare.

Tuttavia, perché tutto questo non restasse solo un bel castello di carte, mancava la cosa più importante: il preventivo. Che non poteva essere fatto in Italia, non potendo prescindere dai sistemi costruttivi locali e dai relativi materiali e costi: bisognava fare cioè quello che tecnicamente si usa definire analisi dei costi, partendo dalle voci elementari per arrivare infine alla definizione dell’importo di ogni singola voce di lavoro composta.

Ciò non solo per la realizzazione pratica sul posto, ma soprattutto per permettere agli eventuali benefattori e donatori, che hanno diritto di conoscere tali dettagli, una esatta valutazione dell’impegno che si andava ad affrontare.

Se ne parlò molto, prima via radio e poi di persona col Vescovo in visita in Italia, a Firenze: alla fine sembrò opportuno che il progettista dovesse recarsi sul posto per fare tutto ciò, e anche per cercare di organizzare per quanto possibile tutti i dettagli tecnici e logistici al fine di poter iniziare la costruzione verso ottobre-novembre, ossia alla fine della stagione delle piogge che nella R.C.A sono lunghe e violente e non permettono spostamenti e trasporti agevoli.

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E’ il 24 Agosto 2002: si va in scena.

Il nostro eroe, un OM geometra ormai neo-pensionato, over 60’s e un po' panciuto, sale sul CityJet per Parigi. Oltre al bagaglio a mano ha due valige, quasi 50 chili in tutto: molte parti di ricambio, alcuni regalini, ma soprattutto una stazione radio completa di RTX e accordatore, più rotoli di cavo coassiale, baluns, bocchettoni e una valigetta con saldatore a gas, tester, rosmetro e tutte le centomila altre diavolerie che ci vogliono o che si pensa ci vogliano.

Poi c’è il dossier col progetto, le copie degli elaborati, e soprattutto un piccolo magico foglio con tanti timbri e firme, sul quale c’è scritta la cosa per lui più importante: TL8 MB. E’ il nominativo locale, tutto ciò che il nostro eroe, l’OM geometra neo-pensionato over 60’s e un po' panciuto ha chiesto e preteso in cambio del progetto e della trasferta. Che diamine, ogni uomo ha un prezzo, no?

A Parigi, a tarda sera, inizia il lungo volo Air France per N’Djamena e poi Bangui: la solita cena di plastica delle aviolinee, e infine si dormicchia un pò, guardando il buio, e le stelle che occhieggiano sopra l’ala.

L’arrivo a destinazione è un classico: caldo bestiale, una sala di arrivo minuscola dove si stipano le circa 200 persone del volo e almeno altrettante tra poliziotti, doganieri, guardie e così via. Prima centomila fogli da riempire, e poi le prime valige buttate all’aria e sottoposte ad autopsia, calzino per calzino. Tra la calca e le grida arriva una suora, si fa largo, ha al colletto un cartellino rosso per l’accesso, si guarda intorno, e ..... :

- Sei tu, Marco ?

Si chiama Flora, ma io la ribattezzo subito "Sœur Piston": riesce infatti a farmi passare il controllo passaporti, quello della sicurezza e quello della dogana in meno di cinque minuti. Conosce tutti, pare un ciclone, e le valigie non vengono nemmeno aperte, un segno col gesso e via.

Nel frattempo arriva un’altra suorina: giovane, bruna, piccoletta, vivacissima. La guardo e per istinto sento che è lei, è Suor Daniela. Finalmente dopo tanti QSO ci incontriamo, e ci abbracciamo d’impulso. Non ha il cartellino, ma è entrata lo stesso: alle guardie ha detto che arrivava suo padre .... sarebbe un onore per me se lo fossi davvero, come scoprirò poi conoscendola, ma in ogni caso data la mia età la bugia appare anche verosimile agli arcigni armigeri all’uscita.

Fuori dall'aeroporto c’è almeno metà dei ragazzi e ragazzini della città, e tutti si contendono le valige da portare fino alla macchina con mezzi e metodi da guerriglia urbana. Nel borsello ho pochissimi spiccioli in euro e alcune vecchie, ma tanto belle 500 lire: le vedono, le vogliono e per avere l’ultima due addirittura si picchiano ...

I primi giorni, sino a tutto Giovedì, li passo nella capitale. La casa delle suore è all’estrema periferia, verso sud, e ogni mattina c’è un bel po' di macchina da fare per arrivare in centro e lì cercare i vari fornitori e magazzini di materiale da costruzione. Piano piano il registro si riempie con i prezzi che in gergo tecnico si chiamano elementari: cemento, legname, materiale idraulico ed elettrico e centomila altre cose. Poi bisogna pensare ai trasporti: altre visite, altri colloqui, altre discussioni.

Tutte le mattine è così, però c’è tempo fino a mezzogiorno o poco più perché tutti chiudono verso le 12.30 e riaprono alle 15: il guaio è che laggiù non c’è l’ora legale e prima delle 17 è buio, così che di pomeriggio si combina poco.

Però almeno ci si può occupare delle centomila altre cose che nelle missioni vengono per così dire "rovesciate" sul "tecnico" di passaggio: lampade da cambiare, il gruppo elettrogeno da sistemare, l’impianto elettrico da modificare, la batteria che va cambiata, il pannello che non carica, la stampante che non va, il computer che va messo a posto ... bisogna far di tutto, o almeno provarci.

Tra l’altro bisogna intervenire urgentemente sull’antenna della radio che ora serve per la rete interna, la cui frequenza è poco oltre i 7 Mhz: è un dipolo in cavo d’acciaio, arrugginito, posto a circa due metri da terra e con uno dei bracci che si è staccato dal supporto ed è stato tolto di mezzo appoggiandolo al tetto in lamiera ...!

Ho adocchiato due palme in giardino, sono alte almeno dieci metri e hanno l’orientamento giusto: se riuscissi a metterci un aggancio, potrei attaccarci le antenne... Per fortuna le suore conoscono un tipo, che sta lì vicino e che si arrampica di mestiere per fare la potatura: per 500 F.CFA (circa 1.500 lire) mi fa il lavoretto a puntino. Meno male che, data l’attrezzatura che ha e il modo in cui lavora, non l’ha visto l’A.S.L, né l’E.N.P.I, né l’I.N.A.I.L ....

Peccato che domani si parta per la Missione: così lascio i fili di nylon a ciondoloni e le antenne le monterò poi prima di rientrare in Italia.

Il penultimo giorno riesco a trovare anche il tempo per andare ad incontrare il funzionario che mi ha rilasciato la licenza: è al quarto piano di un edificio in periferia, in direzione dell'aeroporto, dove ha sede la Socatel, che si occupa di tutto il settore radio, TV e telecomunicazioni. E’ una visita che ho sempre fatto, in qualunque Paese estero mi sia recato dove vi fosse un ufficio del genere, mi sembra un gesto doveroso di cortesia e di ringraziamento: dopo i saluti e i convenevoli, prima di salutarci lascio un gagliardetto dell’ARI, alcune Radio Riviste e un paio di gadget, tutte cose avute grazie alla cortesia di I5 HQG e della mia Sezione.

 

30 Agosto -

Sono le cinque di mattina, il cielo comincia a diventare blu e si vedono le prime nuvole rosa. Il Toyota Hi-Lux è carico sino all’inverosimile. Arriva l’autista, un giovanotto locale che si chiama Barthelémy, e poi Suor Daniela e un’altra sorella, Sylvanie, che verrà con noi. I primi 250 Km. sono su strada asfaltata, in tutto il Paese ce ne sono meno di 500 così; poi alla prima cittadina si svolta a sinistra e si entra sulla pista.

E’ poco più di un viottolo, tutta la terra è rossa (laterite), buche e avvallamenti da capogiro: la media è ridicola, solo raramente si riesce a infilare la terza e assai più spesso ci vuole la trazione integrale. Oltretutto, data la stagione delle piogge, tutto è molle e spesso il fango ci fa slittare e sbandare.

La pista è come una ferita nella foresta tropicale: ai lati alberi altissimi, arbusti, fiori stupendi, colori vivi; ma anche caldo atroce, serpenti, ragni. Pochissima gente, qualche villaggio di poche capanne in terra e tetto di paglia. In tutto il giorno riusciamo a fare nemmeno 500 degli 800 Km. previsti, così la sera verso le nove ci fermiamo presso una missione lungo la strada, Kembe. Le suore, preavvisate per radio, ci aspettano con una cena ottima, un letto e un calore umano incredibile: sul tavolino, nella camera modesta, ma pulitissima, c’erano perfino dei fiori ...

La mattina ripartiamo all’alba, e dopo tanti altri salti, buche e slittamenti arriviamo finalmente a Bangassou verso mezzogiorno, con una sosta lungo la strada per ammirare una cascata enorme e meravigliosa. Da buon tecnico, non riesco a pensare ad altro che a quanti megawatt ci si potrebbero tirar fuori ... Quando alla Missione sentono lo spetazzare del Toyota e il clacson tutti escono: festa, baci, abbracci; conosco finalmente di persona P.Giovanni, TL8 GZ, e tutti gli altri padri e suore della missione di Tokoyo, un quartiere alla periferia di Bangassou.

Gli undici giorni che seguirono furono un’altra sarabanda: cercare ed esaminare i materiali locali, vedere il terreno, picchettare e piazzare i fabbricati da realizzare, fare i saggi per le fondazioni, contattare l’Ispettorato del Lavoro locale per i problemi relativi alla mano d’opera locale; ottenere il permesso per abbattere alcuni alberi, e così via.

Come se non bastasse il Vescovo, che non era lì in sede, ma in Spagna per motivi di salute, mi aveva lasciato diverse richieste: il progetto per alcune casette bifamiliari per dei volontari laici, un’altro progetto per un Centro Polivalente Diocesano (il tutto con disegni e preventivi) e in più la preghiera di sistemare la sua stazione radio nel Vescovado.

Poi ci si mise P. Giovanni, e non potevo certo dirgli di no: riuscì a portarmi in giro nella giungla, in alcuni villaggi vicini, per vedere le sorgenti cui attinge la gente per studiare, se possibile, una soluzione semplice ed appropriata che consentisse di prelevare dell’acqua almeno un po' più pulita del solito.

Poi c’era la batteria della casa delle suore, e quello e quell’altro: meno male, altrimenti forse mi sarei anche annoiato.

Nel luogo dove dovrà sorgere la nuova struttura ci sono già alcuni fabbricati, peraltro in buono stato, adibiti a lebbrosario, a una specie di ambulatorio, a struttura provvisoria per lo screening e la cura dell’ AIDS e ai servizi, tra cui la cucina e il magazzino. Anche lì c’è da fare: misurazione, progetto e preventivo per il rifacimento di un tetto.

Il posto si chiama Bangondè, a circa 20 minuti di macchina dalla missione in mezzo alla giungla, ed è questo il regno di Suor Daniela: arriva lì la mattina verso le 7.30, e almeno fino a mezzogiorno è tutto un frullare tra prelievi, medicazioni, analisi, piaghe e orrori di ogni genere. C’è sempre una folla che la aspetta, la mattina: si vede chiaramente che la gente vuol bene a Suor Daniela, tutti la salutano e lei saluta tutti; anche lungo la strada si ferma, parla, abbraccia quei poveri esseri di cui molti spesso non sono altro che misere larve umane storpie e sfigurate ... la lebbra non ha avuto pietà.

Lei è sempre sorridente, sempre pronta, sempre disponibile: anche quando torna per pranzo, a volte in ritardo, si vede chiaramente che è distrutta, ma ancora sorride, ha sempre una battuta pronta e una parola buona per tutti.

Poi al pomeriggio, come se tutto quello già fatto la mattina non fosse sufficiente, va alla prigione per assistere i carcerati, tiene ottimi contatti con la comunità musulmana per l’assistenza e la prevenzione dell’AIDS, si occupa della farmacia.

Infine come dessert, quando è quasi sera, bussa alla camera dove mi destreggio tra fogli e calcolatrice e mi fa:

- Dai, andiamo al mercato a fare un po' di spesa ....

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Il problema di installare la radio a casa delle suore (a casa dei padri c’era già, è quella di TL8 GZ) non fu di facile soluzione soprattutto per la difficoltà di trovare il sostegno delle antenne, cosa che in Africa è il problema più grosso.

Per fortuna presso la sede Vescovile c’era una specie di garage-officina dove fu possibile reperire tre tubi, che vennero accoppiati alla meglio fino a raggiungere circa 10 metri: alzare il tutto accanto alla casa fu un’altra impresa, lo facemmo in quattro e ci volle tutto un pomeriggio. Nel frattempo, con del cavo elettrico da 1,5 mmq comprato a Bangui avevo costruito sia il dipolo per la rete interna che i due dipoli a discesa unica per 20 e 15 metri.

L’orientamento lo trovai con la bussola (essere quasi all’equatore confonde un po' i punti cardinali....) e la taratura fortunatamente fu rapida: alla prima chiamata di prova mi rispose un JA, poi un W5 dal Texas ... !

Ma mi interessava l’Italia, volevo vedere se i segnali erano buoni: vado un po' su e giù sui 14, e alla fine sento IK2 IQB, Flavio di Como, che sta chiamando DX. Lo chiamo a mia volta e mi risponde subito e cortesemente anche se un TL8 non è certo un DX. Mentre ci scambiamo i rapporti e le condizioni di lavoro, si sentono diverse altre chiamate per me: Flavio, con grande presenza di spirito e abilità operativa, si improvvisa Net Control mettendo un po' d’ordine sui segnali che piovono da tutte le parti, e me li passa uno ad uno.

Un TL8 non è poi gran cosa, diventa però interessante quando in aria si sente che quel tale ha un home-call e si può quindi, a differenza dal solito, contare sulla QSL di conferma in tempi abbastanza rapidi.

Riusciamo così a fare rapidamente e con ordine qualche decina di QSO, anche bellocci date le mie misere condizioni di lavoro (Mosca, Giappone, etc.), ma dopo un po’ sono costretto mio malgrado a chiudere: mi scuso con chi mi sta chiamando, ma la batteria ansima, non ce la fa più, il VFO deriva e la modulazione peggiora rapidamente.

E’ nuova e anche di buona capacità la batteria, una da camion per 140 Ah, ma non si poteva certo formarla in capitale e poi farle fare due giorni di pista; era stata quindi appena attivata sul posto riempiendola la mattina con la sua soluzione acida e di carica ne aveva avuta pochina, solo qualche ora di pannelli solari.

C’era anche un robusto caricabatterie, ma poteva funzionare bene solo quando veniva attaccato il gruppo della missione, ossia un paio d’ore ogni due giorni per pompare l’acqua del pozzo fin su nel serbatoio di carico: la centrale locale, termoelettrica, funzionava solo dalle 18 alle 21 e la tensione non era mai superiore a 180 -185 volt, relegando di conseguenza il caricabatterie poco più che alla funzione di un colorato soprammobile.

Riesco alla meglio a salutare Flavio: grazie, amico !

Il ricetrans, uno Yaesu 757 prima serie, peraltro non ha mai dato problemi nemmeno con la tensione di batteria così e così, come invece fanno abitualmente molti Icom e qualche Kenwood, che sotto i 12-12,5 danno i numeri: per aver davvero guai bisognava che la tensione scendesse a livelli indecorosi, e dati i picchi di assorbimento in SSB perfino pericolosi per la batteria stessa, ossia sotto i 10,5 volt.

Un po' più complicato fu insegnare alle suore come usare l’accordatore d’antenna manuale: però ne valse la pena.

I dipoli multifrequenza a discesa unica, come si sa, accordano facilmente e rendono decentemente anche su altre frequenze: provammo sui 18 Mhz e rotti e una delle suore, Maripasse, spagnola, agganciò il servizio radiotelefonico di Madrid Radio: fu una grande soddisfazione farsi passare per telefono il Vescovo (a casa sua a Cordova) e poi le famiglie delle suore.

Anche i segnali sul reseau interno erano ormai di tutto rispetto, pure in rapporto ai disturbi atmosferici veramente forti. La sera poi in 14 e 21 c’erano le missioni e i missionari di mezza Africa: Angola, Tanzania, Costa d’Avorio, Guinea Bissau. Ho avuto anche la grande fortuna e direi l’onore di collegare P. Luigi dalla Tanzania, 5H6 KG: ormai ultraottantenne, è sempre sulla breccia. E’ stato il primo OM missionario che ho conosciuto, nella prima trasferta in assoluto che ho fatto in vita mia, oltre trent’anni fa.

E tutte le mattine, puntuali, i colleghi del gruppo di Antenna Amica; grazie, Andrea I1YNW, a parte il resto, per tutte le telefonate che hai fatto alla mia famiglia in ansia, a volte facendomi ascoltare direttamente dal vero eroe della situazione: mia moglie.

 

10 Settembre.

Il ritorno a Bangui è stato organizzato in aereo. E’ un piccolo Cessna 206 e il pilota è un volontario olandese, di Pilots sans Frontières. L’aereo è arrivato direttamente da Bangui alle 12, ma abbiamo potuto decollare solo verso le 13 e cioè dopo il rifornimento di benzina, tutto naturalmente fatto a mano e in stile Lindberg (taniche, imbuto e pelle di camoscio).

Il viaggio è stato lungo, siamo arrivato a Bangui verso il tramonto perché ci siamo fermati presso altre due missioni, Kembe e Bambari: ma volare in quel modo, a bassa velocità (ca. 240 orari) e a bassa quota (ca. 3.000 metri) è bellissimo. Ero seduto davanti, accanto al pilota, e guardando la foresta, e il fiume, e i cumuli torreggianti di nuvole e gli scrosci di pioggia con il sole dietro ho finalmente capito cosa volesse dire Karen Blixen, parlando proprio del volo sull’Africa: "vedere il mondo con gli occhi di Dio... "

Anche gli ultimi giorni in capitale sono stati una sarabanda: ultime indagini sui prezzi, organizzazione della logistica per i materiali, e altre mille cose da fare e riparazioni a non finire.

Poi, arriverà l’Air France? C’è un solo volo la settimana ... In Francia, dice R.F.I sulle Onde Corte, c’è anche lo sciopero dei piloti. Se si perde quel solo volo, arrivederci a chissà quando.

Per fortuna oltre il lavoro principale ci sono ancora tante cose da fare che non c’è tempo di pensare: lampade che non vanno, il gruppo elettrogeno attaccato male, c’è da finire il lavoro delle antenne ed infine evadere una ulteriore richiesta, una telefonata delle Suore Domenicane che stanno dall’altra parte della città, al Km. 12: potete "prestarci" il "tecnico" per tutto il giorno? Abbiamo tante cose rotte .........

Gli attacchi alle palme sono sempre lì: così anche a Maison Bimbò e con fili di vario colore saldati, pezzi di legno come distanziatori e altre sconcezze del genere, riesco a metter su e a far funzionare i dipoli per i 15 e 20 metri direzionati per l’Italia, e un’altro per la rete interna, tutti ad inverted-V.

Solito batticuore quando si attacca il Rosmetro e si dà potenza, ma dopo un paio di tarature tutto funziona e i segnali sono buoni tenuto conto delle condizioni operative, della batteria così e così e del cavo di discesa vecchissimo e screpolato: sono stato costretto a riutilizzare quello vecchio perché in città il coassiale si trova, anche se è un RG58 andante, ma con un prezzo a metro degno del miglior Cellflex professionale.

Andai anche dalle Domenicane, che vollero a tutti costi tenermi a pranzo anche per farmi restare così tutto il pomeriggio: un ottimo pranzo, per la verità, c’era perfino una bottiglia di vino, una rarità laggiù, e tutta per me!

L’ultimo pomeriggio mi sequestrò la Superiora, suor Mariuccia: tra le altre cose non le funzionava il fax.

Non sapevo davvero cosa farci, e così come già per altri interventi (il frigo delle suore domenicane, la pompa di iniezione di un gruppo, le antenne etc) tentai quello che lì chiamano " likundù " ossia fare una stregoneria, la quale laggiù è un reato previsto dal codice penale e per il quale si può anche finire in galera.

La procedura per un corretto likundù non la sapevo e così me la sono inventata: strani gesti con le mani tipo "scurnacchiato e’ Napule" accompagnati dalla recitazione di parole magiche per le quali avevo riesumato una vecchia giaculatoria goliardica che forse qualcuno ricorda e che inizia " terque quaterque ... " con quel che segue.

Meno male che le suore non sapevano il latino, sia pure quello maccheronico della vecchia goliardìa.

Anche stavolta ebbi la definitiva conferma dei miei poteri soprannaturali di stregone, perché il fax si mise ad andare, improvvisamente e inspiegabilmente.

Devo peraltro precisare che a me riesce di fare solo il likundù quello "buono", quello positivo.

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PARTE TERZA: Cala il sipario

 

Sotto l’ala dell’Airbus 330, a 35.000 piedi, solo un mare di nuvole bianche.

Lo sguardo si perde dentro il biancore, va oltre, perché il cuore e la mente sono sempre ancora là, da dove sono ripartito.

Rivedo la terra rossa, le palme contro il cielo rosso del tramonto, il grande fiume Olobanguì, e le stelle di notte, così vicine che sembra di toccarle; sento ancora i tamburi, la sera e la notte, e il canto dell’Africa. Rivedo i fiori, i villaggi nella foresta ma anche tutta la povera gente comune : affamata, malata, malnutrita.

Ripenso alla radio.

Come è diversa laggiù la radio, e l’uso che se ne fa: senza telefoni, con distanze immense, è l’unico mezzo per tenere in contatto tutto e tutti ivi comprese le missioni, sparse per tutto il paese come isole in quel grande oceano verde.

Sul reseau locale passa di tutto: notizie, saluti, richieste di materiali e medicine, consultazioni mediche, terapie; sul long-distance (cioè l’Italia, in 20 e 15 metri) c’è anche traffico amatoriale con tutti i suoi saluti e i suoi salamelecchi e le condizioni di lavoro, ma per fortuna anche consigli, richieste, consulenze mediche e tecniche.

Laggiù la radio è ancora una cosa seria: una cosa preziosa, grande, bellissima, che salva delle vite e allevia tante sofferenze; altro che un "hobby", altro che contest e spedizioni e DX il più delle volte fine a se stessi, altro che tutte le nostre abituali infinite chiacchiere e le nostre diatribe inutili e interminabili.

Mi illudo che, assieme alla stazione che ho portato e installato e a quelle che ho risistemato, anche i miei pochi poveri e modesti fili colorati possano adesso dare una mano: quasi sempre non c’era abbastanza filo di uno stesso tipo, e così ero costretto a fare la lunghezza saldando spezzoni diversi e di diverso colore.

Ma ora non sono più fili raccattati: ora sono ANTENNE, che si stagliano nel cielo dell’Africa e portano lontano le voci.

Ripenso all’accoglienza che tutti mi hanno fatto, che di più non si poteva anche sul piano strettamente materiale. Rivivo la pace, la serenità che si poteva quasi palpare vivendo parlando e lavorando con P. Giovanni, con Roberto, con il padre polacco Swavek, con le altre due suore di Tokoyo, Maripasse spagnola e Sylvanie brasiliana: caldo, pericoli, disagi, la parete della chiesa parrocchiale ancora decorata da una raffica di Kalashnikov dopo l’ultima visita dei banditi, tutto sembrava insignificante di fronte a quella calma interiore.

E noi qui, invece, che abbiamo tutto e anche di più, eppure siamo sempre stanchi, scontenti, stressati, aggressivi.

Ma sopra tutto rivedo il sorriso di Suor Daniela: quello di tutti giorni, più forte della stanchezza e della paura, e l’ultimo che ricordo di lei, in piedi, vicino al Cessna mentre ci salutavamo per l’ultima volta nel sole, ricacciando indietro l’emozione fino nel fondo degli occhi umidi, sapendo che forse non ci saremmo rivisti mai più.

Piccola, bruna, sempre sorridente, serena, radiosa, gli occhi pieni di stelle: si sentiva e si vedeva la sua pace, la sua serenità laggiù, tra i suoi lebbrosi, i suoi sieropositivi, i suoi carcerati, le miserie, gli orrori, il lavoro e la fatica di tutti i giorni, il cibo dignitoso, ma spesso arrangiato, le visite dei banditi alla missione e i "coupeurs des routes".

Come tanti altri Padri, Suore, Fratelli laici e Volontari civili, tutti moderni eroi senza nome che spendono la loro vita in una "charitas sine modo", era ed è LEI, TL8 AM, ad essere veramente sulle orme del dottor Schweitzer.

Non il nostro eroe, il nostro OM geometra neo-pensionato over 60’s, che se ne tornava a casa tronfio e soddisfatto: ma dopo sole tre settimane, e anche assai meno panciuto.


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