Paola Cecchini "Fumo nero
- Marcinelle 1956 - 2006" Regione Marche
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Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
"Provate, con l'immaginazione, a
figurarvi quei 139 minatori italiani tutti in fila e dietro di loro le
139 famiglie, padri, madri, mogli, figli, fratelli. Quanti saranno? È
come un paese intero, e neanche dei più piccoli. Queste centinaia,
forse migliaia di creature, questa comunità di gente che parla come
noi e ha facce simili alle nostre, è piombato in un'angoscia senza
nome", scriveva Dino Buzzati sul "Nuovo Corriere della Sera" il 9 agosto
1956, all'indomani dell'incidente nella miniera di Marcinelle, in Belgio,
dove trovarono la morte 262 minatori, 139 dei quali italiani, in quello
che sarà ricordato come la catastrophe des italiens.
Sono passati cinquant'anni e, nonostante
il numero degli incidenti e dei morti sia molto alto nella storia industriale
del Belgio, quello di Marcinelle rimane uno dei più noti, anche
perché "a quella sciagura fu data per la prima volta una risposta
europea. La Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio convocò
una conferenza le cui conclusioni modificarono e migliorarono la sicurezza
dei minatori e le condizioni di lavoro in tutte le miniere dell'Europa".
Paola Cecchini, giornalista dell'Ufficio
stampa della Regione Marche, in "Fumo nero - Marcinelle 1956-2006" ricostruisce,
anche attraverso le voci di chi ha vissuto da vicino l'emigrazione in Belgio,
la vita in miniera e la disgrazia di Marcinelle, la storia di un'emigrazione
nata da uno sciagurato trattato tra Italia e Belgio, nel quale il nostro
paese accettava di reclutare e inviare nelle miniere di carbone i propri
giovani in cambio di carbone a prezzo scontato. Una vera e propria "deportazione
di manodopera" facilitata dalle condizioni di miseria di molte regioni
italiane e dalla speranza di una vita migliore in uno dei paesi più
ricchi e progrediti. Ma i sogni si infransero presto di fronte a una realtà
molto difficile e dura: la lontananza da casa e dagli affetti, la vita
in povere baracche senza servizi, le difficoltà linguistiche e la
durezza del lavoro in miniera tra calore, polvere, gas, pericolo di crolli,
di malattie e di incidenti spesso gravi. Mancava completamente, per chi
partiva, un minimo addestramento per il nuovo lavoro e nelle miniere non
venivano rispettate le misure di sicurezza; i minatori si sentivano completamente
abbandonati dal governo italiano che li aveva "venduti" ai belgi e soltanto
grazie alle loro forze riuscivano a trovare qualche amicizia, la solidarietà
indispensabile per sopravvivere e un'abitazione migliore di quella trovata
all'arrivo. Il divieto di organizzarsi politicamente e sindacalmente e
il razzismo che colpisce la popolazione italiana - spesso considerata troppo
disponibile a lavorare a cottimo - rendono la vita dei minatori emigrati
ancora più dura.
La tragedia di Marcinelle, le fotografie
delle bare dei minatori e del dolore dei famigliari e dei colleghi, la
denuncia delle pessime condizioni di lavoro nelle miniere, portano a una
revisione del trattato del 1946 tra Italia e Belgio e il libro di Cecchini
mette in evidenza come i paesi più ricchi spesso approfittino della
povertà e della disperazione dei paesi più poveri. Oggi siamo
noi, l'Italia, per molti immigrati, il paese ricco e allora Gian Mario
Spacca, presidente della Regione Marche, sottolinea nella prefazione come
"dobbiamo costruire un'Europa più democratica ed inclusiva, uscire
dall'empasse che si è determinato negli anni, sapendo agire in un
mondo in cui i fenomeni della globalizzazione investono ogni luogo, in
cui tanti immigrati, strappati dalle loro terre da condizioni inaccettabili
di vita, arrivano da noi con le stesse speranze, le stesse aspirazioni
che avevano i nostri".
Un'ampia documentazione giornalistica,
fotografica e statistica completa un libro importante sui temi del lavoro
e delle migrazioni.
"Fumo nero" non è in vendita
ma è possibile scaricarlo dal sito internet: http://www.lemarchenelmondo.info
gabriella bona
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