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    Silverio Corvisieri "La villeggiatura di Mussolini" Edizioni Baldini Castoldi Delai
     
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
      
      
    Nell’estate del 2003 il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in un’intervista rilasciata al settimanale britannico “The Spectator”, definì il confino a cui furono sottoposti gli antifascisti come una villeggiatura. 
    Oggi Silverio Corvisieri – giornalista che ha collaborato con diverse testate, è stato direttore del “Quotidiano dei lavoratori” e uno dei fondatori di Avanguardia Operaia – nell’ampio e documentato “La villeggiatura di Mussolini”, dopo essersi chiesto se l’uscita di Berlusconi “costituisse l’infortunio di una persona ignorante, la conseguenza dell’ebbrezza alcolica o, invece, un episodio di una precisa strategia autoritaria”, ripercorre gli anni del fascismo e le storie di centinaia di donne e di uomini costretti a vivere nelle piccole isole italiane – Ponza, Tremiti, Lipari, Lampedusa, Ustica – in condizioni estremamente difficili. 
    La leggenda della bonarietà mussoliniana fu creata dallo stesso Mussolini, sempre attento a utilizzarla come copertura degli aspetti più violenti della sua dittatura” e in questa leggenda fu il suo capo della polizia Arturo Bocchini “a proporre per primo l’equazione confino-villeggiatura, confondendo maliziosamente le bellezze naturali delle isole con le condizioni di coloro che vi furono deportati”. Condizioni disumane che vanno dai controlli alle violenze, dalla fame alle malattie insorte durante il confino e all’impossibilità di curarsi, dagli omicidi presentati come suicidi ai futili motivi in base ai quali molti subirono denunce e confino, dalle pessime condizioni abitative agli ostacoli posti per evitare che nascessero amicizie e amori con le persone residenti nelle isole. 
    Si arriva al ridicolo quando “per usare le forbicine per le unghie occorreva, ad esempio, disporre di una specie di porto d’armi”, alla crudeltà quando anche la poca corrispondenza concessa, quella ai famigliari più stretti, è sottoposta a censura, all’assurdo quando vengono vietati tutti i giochi ad eccezione degli scacchi. 
    Tra le pagine del libro troviamo personaggi che hanno fatto la storia dello scorso secolo come Sandro Pertini, Umberto Terracini, Antonio Gramsci, Cesare Pavese ma anche tanti operai, artigiani, impiegati, aristocratici e persone di umili origini, convinti antifascisti e tiepidi oppositori, tutti vittime della sfrenata volontà del fascismo di far tacere ogni voce anche vagamente contrastante e di incutere il terrore nell’opporsi alla dittatura. 
    La rimozione della repressione fascista con la conseguente banalizzazione del conflitto, affonda le radici nelle ricostruzioni autoassolutorie di quanti, a regime crollato, cercarono di far dimenticare le proprie responsabilità”, in un’ottica di “assoluzione generale, con le sole eccezioni di Mussolini e dei fascisti più fantici”. Il libro di Corvisieri sottilinea come oggi, a sessant’anni di distanza da quel tentativo di giustificazione, portare avanti le stesse teorie assolutorie può essere pericoloso per la democrazia, lasciandola nelle mani di chi la vede come “un impaccio, se non un pericolo, e intende ridurla a un fragile involucro formale”. 
        
    gabriella bona 
   
 
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