Paolo Bonesso "Jiwe pietra
d'Africa" Edizioni Iride
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
“Ciò che vorrei dire è simile allo scarafaggio nascosto
sotto una pietra, nell’ombra più calda, o al bruco dalle zampe rosse
che beve la goccia che scivola sulla foglia nel momento in cui sta per
precipitare al suolo […] ciò che vorrei dire è prossimo all’equatore,
nell’istante in cui la pioggia s’abbatte come una mitraglia sulle corolle
spalancate”: attraverso un linguaggio pieno di sensibilità e di
poesia Palo Bonesso ci accompagna a conoscere l’Africa che ha visto e vissuto
durante i suoi viaggi. Un continente di suoni e colori, animali ed esseri
umani, alberi, cieli e sentimenti e una donna, Jiwe, che è l’essenza
dell’Africa.
“Vado in Africa per sentirmela addosso e non per catalogarla nel mondo
delle idee. Non mi interessa archiviarla tra i ricordi, relegarla nei territori
della memoria”: Bonesso non torna con trofei, filmati o fotografie ma con
le parole e i sentimenti che ci offre in questo libro pieno di stupore.
Il sogno di un viaggio, nato a scuola, “sulla grande carta a nord ovest
della maestra”, un viaggio durante il quale, molti anni dopo, l’autore
si rende conto che “l’Africa è troppo grande. Non riuscirò
mai a respirarla tutta”.
Tra le pagine del libro troviamo racconti di viaggio e momenti trascorsi
in un paesino del Canavese, l’immensità della savana e le valli
chiuse in cui un bambino un po’ monello è cresciuto covando grandi
sogni.
“Jiwe sostiene che chi fa troppe domande non vuole conoscere l’Africa
e nemmeno se stesso” e Paolo Bonesso – che conosco bene perché per
anni siamo stati vicini d’ufficio e abbiamo potuto chiacchierare dei nostri
sogni – ha nei confronti della vita l’atteggiamento saggio di osservare
le risposte prima di pensare a porre domande. Una saggezza che gli ha permesso
di attraversare l’Africa con gli occhi e l’atteggiamento di chi vuole immergersi
totalmente nella realtà che lo circonda e lasciare che questa realtà
entri in lui e lo cambi, lo renda diverso, senza porre ostacoli, con la
semplicità di un bambino che sogna di fronte alla carta geografica
e con lo stupore di una donna che sente nascere e crescere dentro di sé
una realtà nuova, bellissima e sconcertante.
gabriella bona
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