Giulio Marcon "Le ambiguità
degli aiuti umanitari" Edizione Feltrinelli
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Terzo settore, Ong, volontariato,
aiuti umanitari, cooperative sociali, no profit: termini comuni, che incontriamo
ogni giorno ma attorno ai quali regna una gran confusione, nella maggior
parte dei casi, sui loro scopi, la loro organizzazione, i concetti su cui
si basano, il lavoro che svolgono.
“Il settore no profit rappresenta
l’ottava economia mondiale”, spiega Giulio Marcon in “Le ambiguità
degli aiuti umanitari”, “con i suoi 19 milioni di lavoratori […] e i 1100
miliardi di dollari di fatturato”, ma “mentre numerose esperienze continuano
a rimanere critiche e a esprimere contenuti politicamente radicali, altre
realtà, invece, si stanno piegando al business o al ‘parastato’,
trasformandosi in uno strumento subordinato alle logiche economiche e di
potere dominanti.”
Ong che dispongono di migliaia di
funzionari pagati 7-8000 dollari al mese per essere “travolti dalle scartoffie,
dagli impedimenti burocratici, dalla competizione carrieristica”; un’organizzazione
come la FAO “dove il 64% del budget totale […] serve non a finanziare iniziative
contro la fame, ma gli stipendi dei funzionari”; una cooperazione allo
sviluppo che non tiene conto della realtà in cui si trova ad operare;
cooperative sociali che vivono su logiche di precariato, rapporti gerarchici
e rapporti di lavoro aleatori; aiuti umanitari gestiti in modo irresponsabile
e dannoso come la “Missione Arcobaleno”: sono soltanto alcune delle deformazioni
di tutta quell’attività che dovrebbe servire, a livello nazionale
e internazionale, a superare i principali problemi che affliggono il mondo:
miseria, guerre, mancanza di uno stato sociale, disagio, handicap di varie
nature.
Giulio Marcon, presidente del Consorzio
Italiano di Solidarietà (Ics), conosce dall’interno il mondo che
descrive nel libro e sottolinea l’importanza di iniziative che, gestite
in modo corretto, possono veramente produrre miglioramenti nelle condizioni
di vita delle persone e dei paesi meno fortunati. Organizzazioni, gruppi,
associazioni che non si sono lasciate trascinare verso la logica del profit,
che non hanno subito processi di statalizzazione, che non si sono lasciati
cooptare da governi, aziende, partiti politici.
Troppo spesso le “campagne umanitarie”
vengono gestite utilizzando “lo spettacolo della sofferenza”, inventando
emergenze che non esistono, evitando di parlare dei veri motivi che determinano
disgrazie e disastri, tappezzando le città di manifesti con richieste
di aiuti il cui obiettivo “non è di farci pensare alla fame o alla
povertà. È sollevarci dal fardello di doverci pensare”.
Paternalismo, neocolonialismo, mancanza
di leggi precise, scarsità di obiettivi definiti, incapacità
di mantenere progetti chiari, il rischio che il Terzo settore “diventi
una corporazione come un’altra”, incapacità di dotarsi di una linea
politica, integrazione subalterna al sistema, perdita di autonomia: questi
i guasti che, secondo Marcon, oggi affliggono una gran parte del Terzo
settore: di fronte a tutto ciò è urgente tentare di ridefinire
obiettivi, modalità, priorità, principi etici, prendendo
esempio da quella parte del movimento che è riuscita ad impostare
positivamente il proprio lavoro e a trovare il coraggio di denunciare o
di intervenire dove, invece, il Terzo settore ha assunto forme che non
hanno più coerenza con i principi per cui era nato.
gabriella bona
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