Italo Moretti "I figli di
Plaza de Mayo" Sperling & Kupfer Editori
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
“Un crimine tanto osceno da sembrare
inverosimile”: così definisce Italo Moretti, nel suo libro “I figli
di Plaza de Mayo” edito da Sperling & Kupfer, il furto di neonati durante
la dittatura argentina, tra il 1976 e il 1983. Centinaia di neonati furono
sequestrati dopo l’arresto dei loro genitori o dopo la loro nascita avvenuta
in carcere, per essere affidati a famiglie di militari, di loro amici o
di personaggi, spesso dell’alta borghesia, legati ai vertici della dittatura.
I genitori dei bambini erano, dopo l’arresto, interrogati, torturati e
uccisi. Sono i “desaparecidos” e i loro figli che le coraggiose nonne argentine
continuano a cercare, da quel 30 aprile 1977, quando per la prima volta
si misero a camminare attorno all’obelisco di Plaza de Mayo, portando le
fotografie dei loro figli e nipoti spariti e di cui nessuno dava notizie.
“Il piano di sterminio delle forze
armate – scrive Moretti – è unico: un genocidio. Non razziale, né
etnico né religioso, un genocidio ideologico. La sua esecuzione
è affidata a esercito, marina, aeronautica, polizia federale”. Sequestrati
e uccisi i genitori, nell’indifferenza generale di tutti i paesi stranieri,
compresa l’Italia di fronte a migliaia di discendenti di emigrati italiani,
“i bambini sequestrati e nati in prigioni segrete rappresentano un autentico
bottino di guerra; come tali vissero nella condizione di schiavi. Essi
furono vittime di una violenza fisica e psicologica”.
Oggi moltissimi dei neonati rapiti
vivono ancora nelle famiglie dei loro sequestratori: le nonne di Plaza
de Mayo si sono inventate detective, hanno avuto l’aiuto di medici, psicologi
e avvocati e con loro valutano tutte le segnalazioni che ricevono per cercare
di raggiungere i loro nipoti ormai adulti. La prova del DNA permette di
scoprire la parentela e il giudice può far effettuare obbligatoriamente
l’esame del sangue: le leggi emesse dai governi argentini negli anni successivi
alla dittatura e che hanno permesso l’amnistia per quasi tutti i reati
commessi in quegli anni, non comprendono il furto di neonati.
Oggi i figli dei “desaparecidos”
che hanno scoperto ed accettato la verità sulle loro origini, si
sono uniti alle nonne per cercare gli altri “niños” e per ottenere
giustizia, perché gli assassini dei loro genitori e i ladri di bambini
vengano giudicati e condannati per gli orrendi reati commessi.
“Il libro – scrive l’autore nell’introduzione
– non è la riproposta di una storia del passato, ma il racconto
di una vicenda umana senza precedenti che continua nel presente ed è
proiettata nel futuro”: la storia di quei cento ragazzi che hanno abbandonato
le famiglie in cui sono cresciuti (si calcola che altri 400 non siano ancora
stati individuati), delle loro nonne, dei loro genitori sequestrati e scomparsi
e, insieme, la storia di un paese che sta tentando di risolvere i problemi
del passato per porre le basi di una vera democrazia.
gabriella bona
|