Mauro Berruto "Andiamo a
Vera Cruz con quattro acca" Edizione Porto Franco
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Ci sono dolcezza e amore per lo
sport, passione e capacità di raccontare, immagini dolcissime e
ragionamenti importanti nel libro di Mauro Berruto “Andiamo a Vera Cruz
con quattro acca” pubblicato da Portofranco e dedicato ai campioni dello
sport, quelli più noti – e troviamo gli All Blacks e il Grande Torino,
Diego Maradona e Michael Jordan, Mike Tyson e Carl Lewis - e quelli dimenticati,
quelli di cui ci si ricordano le gesta ma spesso si dimentica il nome -
chi non si ricorda i due americani neri che nelle Olimpiadi del Messico,
in piedi sul podio, a testa bassa, ascoltarono, tentando di non udirlo,
l’inno degli Stati uniti, uno con un guanto nero nella mano destra e l’altro
nella sinistra? Si chiamavano Tommie Smith e John Carlos – e quelli di
cui l’autore stesso si è dimenticato il nome e uno dei racconti
è, infatti, dedicato ad “una tuffatrice di cui ho dimenticato il
nome ma non la storia”. C’è anche la storia di Padre Pedro, sacerdote
di origine slovena, cresciuto in Argentina, laureato in Francia e con la
passione per il calcio, che ha costruito un villaggio in una delle zone
più povere dell’Africa, dove insegna ai bambini a giocare a calcio
e “i bambini conoscono Gesù e Roberto Baggio; e se chiedi loro la
differenza, ti rispondono che Gesù non avrebbe mai sbagliato un
rigore in una finale del campionato del mondo”. Ci sono le donne, da Nawal
El Moutawakel, prima donna araba ad aggiudicarsi una medaglia d’oro olimpica
alle “decine di donne che hanno cambiato il mondo e fatto la storia, come
solo le donne sono capaci di fare. Anche se poi, nelle strade Praga, in
Piazza Tienanmen, sul muro di Berlino, nelle vie di Timisoara, nel Parlamento
di Belgrado e in tutti gli altri posti dove si fa la storia, scaltri fotoreporter
immortalano soltanto facce di uomo”. E c’è il problema del doping
e di una delle sue prime e più famose vittime, Ben Johnson, un uomo
che era andato “oltre l’umano e lo sapevano tutti. Lo hanno fatto arrivare
all’inarrivabile per poi impallinarlo. Ben, bersaglio grosso. Ben, nato
troppo povero per resistere a tutta quella ricchezza. Ben, come un pedone
mandato avanti sulla scacchiera per essere sacrificato e permettere a tutti
gli altri pezzi di sviluppare la propria strategia”. E ci sono i tifosi:
“Capita talvolta, quando la gente è felice, felice davvero, che
tantissime persone aspettino appena dietro la linea di gesso il fischio
finale dell’arbitro per invadere il terreno di gioco. Aprono una finestra,
e ci entrano, spaccano la vetrina e mangiano l’aragosta con le mani, almeno
per un giorno”.
Giocato come una partita a scacchi,
alla fine della quale ci sono persone che pronunciano cose strane, come
“Shminkus, krakustyfus mit plafkes schrum schrum” o “ Andiamo a Vera Cruz
con quattro acca”, i pezzi neri e i pezzi bianchi si incrociano sulla scacchiera
della narrativa, in un gioco preciso, prezioso ed affascinante.
Mauro Berruto è allenatore
di pallavolo dal 1990.
gabriella bona
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