Eduardo Montes-Bradley "Osvaldo
Soriano" Sperling&Kupfer Editori
Recensione
di Gabriella Bona
Per chi ha imparato ad amarlo attraverso
i suoi romanzi, i racconti e gli articoli che in Italia ha scritto per
il quotidiano “il manifesto”, la morte di Osvaldo Soriano ha lasciato un
vuoto grandissimo.
Sono passati quattro anni ed è
ancora difficile credere che Soriano non c’è più, che non
scriverà cose nuove, per farci conoscere la sua Argentina, per continuare
a farci amare quel suo calcio pieno di fantasia e di personaggi incredibili,
per farci vivere esperienze surreali, assurde, drammatiche o divertenti,
quelle pagine scritte con “quella rapidità che non è mai
leggerezza ma eliminazione di luoghi comuni e inutili didascalie”, come
ha scritto di lui Julio Cortázar.
In “Osvaldo Soriano” pubblicato da Sperling&Kupfer
nella collana “Continente desaparecido” diretta da Gianni Minà,
Montes-Bradley raccoglie scritti e interviste a scrittori, la maggior parte
argentini, che lo hanno conosciuto, che sono stati suoi amici, che hanno
diviso con Soriano i momenti difficili della dittatura e dell’esilio e
i momenti allegri e piacevoli dei viaggi, delle chiacchierate eterne nei
bar di Buenos Aires, della vita degli scrittori sudamericani.
Da tutte le voci che compongono il libro
emerge il ritratto di un uomo timido e ironico, di un immenso raccontatore,
di un amico sincero, di una persona “che si innamorava delle cose e lo
dimostrava” e dotata di “un meravigliso entusiasmo” come dice Mempo Giardinelli.
“Incorruttibile e appassionato […] ci
ha insegnato a essere non soltanto leali con gli amici ma anche spietati
e implacabili con i nemici” (Juan Forn).
“Il suo nome figurava in due liste di
persone da far sparire” durante il periodo del “Proceso”, la dittatura
che durò in Argentina dal 1976 al 1983. In questo periodo Soriano
visse in Europa ed ovunque incantò che lo conobbe e chi lo lesse.
“In Soriano l’ironia e la nostalgia,
il paradosso e il realismo, […] il disincanto e la passione politica si
mischiavano in una miscela sapiente e irresistibile”, scrive Maurizio Matteuzzi,
per oltre vent’anni giornalista de “il manifesto”.
Ma il tratto dominante di Soriano era
una rara capacità: “vedeva cose che noialtri non sapevamo guardare”,
dice di lui Dalmiro Sáenz. E poi queste cose ce le raccontava, in
“Triste, solitario y final”, “Mai più pene né oblio”, “Quartieri
d’inverno”, “Artisti pazzi e criminali, “La resa del leone”, “Ribelli sognatori
e fuggitivi”, “Un’ora senz’ombra”, “Pirati, fantasmi e dinosauri” e “Fútbol”
con uno stile unico e con quella capacità di inventare personaggi
che non vincono mai.
“Gli accademici della letteratura argentina
hanno sempre disconosciuto Osvaldo Soriano. Non hanno mai voluto prenderlo
in seria considerazione” ricorda Osvaldo Bayer. E anche se il suo successo
è stato grandissimo e i suoi lettori lo hanno amato e apprezzato
tantissimo, Soriano ha sempre sofferto per questa indifferenza.
I personaggi che nel libro di Montes-Bradley
scrivono e parlano (“Osvaldo Soriano”, prima di diventare un libro è
stato un film documentale), ci portano a conoscere più profondamente
la figura dello scrittore argentino, la sua vita, il suo lavoro, i suoi
amori più profondi e intimi.
Eduardo Galeano, il grande scrittore
uruguaiano, racconta che nel cimitero della Chacarita, a Buenos Aires,
molte persone vanno ogni giorno a trovare Soriano, gli portano lettere,
si siedono vicino alla sua tomba e ridono. “Che bell’omaggio - scrive Galeano
– lettere e risate! In fondo il mestiere di scrivere è il mestiere
del postino. Si ricevono, si restituiscono parole che vanno e vengono e
il Gordo (in spagnolo significa “grasso” ed era il soprannome di Soriano.
n.d.r.) è stato capace di dare e di fare ridere la gente”.
gabriella bona
|