Vari autori "Africana"
(Feltrtinelli)
Recensione di Gabriella
Bona
"E’ vita questa? Sempre e solo insulti,
lavorare ogni giorno che Dio manda in terra come un asino che tira la carretta,
botte a non finire come un bue legato all’aratro. Guance piagate, bocca
gonfia, moccio al naso, denti rotti, è vita? No che non è
vita questa. Sarebbe veramente meglio morire. Morire è proprio una
cosa bella . Finisce tutto, tutto. Sì, vale la pena morire... Ma
la vita di una donna è così." leggiamo in "Va a finire che
muori, Ngiglina" di Suleiman Cassamo. E’ uno dei racconti che compongono
il volume "Africana" edito da Feltrinelli che raccoglie "racconti dell’Africa
che scrive in portoghese".
Autori noti come Luandino Vieira, Pepetela,
Mia Couto, personaggi come Agostinho Neto, primo presidente dell’Angola
indipendente, e scrittori ancora sconosciuti all’estero, narrano in pagine
drammatiche la rinascita di quei paesi che sono stati colonie portoghesi,
Angola, Capo Verde, Mozambico, São Tomé e Príncipe,
la faticosa battaglia per l’emancipazione da un passato che, come scrive
Roberto Francavilla nell’introduzione al libro, "ha lasciato tracce significative,
molte delle quali indelebili (antropologiche, economiche, sociali, architettoniche),
alcune forse positive, altre discutibili, altre ancora devastanti".
Sono paesi diversi, legati da una lingua
importata dai conquistatori e che hanno in comune, fra loro e con tutti
i paesi che sono stati a lungo colonizzati da una potenza straniera, un
passato di dominio e di violenza, una lunga lotta per l’indipendenza, il
bisogno profondo di ritrovare la propria identità, di superare la
povertà, l’ignoranza, la perdita di dignità a cui li ha costretti
l’invasione straniera. Un bisogno che emerge continuamente nelle pagine
di "Africana", diciannove storie dalle quali emergono dolori antichi ed
entusiasmi nuovi, il desiderio di far conoscere la propria terra, i propri
sentimenti, il proprio lavoro. Sono storie molto belle, scritte in uno
stile che risente molto della tradizione orale che le rende particolarmente
vivaci, che raccontano di povertà, di imbrogli, di sfruttamento,
di stupri, di teppismo, di prostituzione, di stregoneria, di tristezza
ma anche di desiderio di cultura, di vita, di libertà.
Nonostante gli autori siano tutti uomini,
le donne sono largamente raccontate, vittime delle truffe e della violenza
dei colonizzatori ma, nello stesso tempo, figure forti, che saranno una
base importante per la costruzione del futuro. Gli anziani, i vecchi, costretti
a continuare a lavorare perché le paghe sono talmente basse da non
permettergli una vecchiaia di riposo, sono altre figure importanti del
libro, e sono anche i fortunati, di fronte a coloro che sono morti per
mancanza di medicine o dei soldi per comprarle.
Le tracce che la colonizzazione ha lasciato
sono evidenti, cominciando dall’espressione in una lingua altrui, anche
se, come spiega il traduttore Vincenzo Barca, trasformata con continui
scambi con le lingue locali. Ma la volontà di trovare una propria
identità, di raccontare in prima persona la propria storia è
evidente e molto forte.
gabriella bona