IVREA - EXCURSUS SUI PREZIOSI
AFFRESCHI, RECENTEMENTE RIPRESENTATI AL PUBBLICO
PITTURA NELLA
CRIPTA DEL DUOMO
La lettura della pittura murale presente
nella cripta del Duomo d’Ivrea ha il suo inizio dall’affresco con la Madonna
col figlio in trono tra un santo Vescovo ed un santo monaco dell’absidiola
nord del tramezzo murario. Il monaco vi è espressivo come nel terzo
maestro di Anagni, pur se ridotto ad un frammento di testa. Il Vescovo,
in abiti pontificali, con mitra, libro e pastorale terminante in un riccio
a motivi belluini, segue la concavità dell’architettura, indossando
una dalmatica bianca ed una casula trattata graficamente come un campo
geometrico di losanghe e di tondi con ruote, con sovrapposto pallio candido
a croci rosse.
Nell’orchestrazione del
suo costume risuona ancora l’eco lontana delle stole dei codici warmondiani.
Quest’Anonimo della cripta del Duomo d’Ivrea, sulla metà del Duecento,
parla la lingua antica con l’accento romanzo non bizantino. Nella conca
orientale della cripta ampliata s’incontra, invece, il ridente Gaudenzio
di tardo Duecento. Come segno del contesto guerriero della società
del tempo andranno assunti i cavalieri con stendardi sul pilastro di sostegno
della torre sud: l’uno di Anonimo sulla fine del Trecento, l’altro di Dux
Aymo.
Ma per accostarci all’aurorale
pittura trecentesca occorre risalire al deambulatorio superiore dove si
vede un esempio tipico della prima fase ancora arcaica del Maestro di Oropa,
caratterizzata dal gusto oltremontano per le stoffe fittamente ornate a
ramages: ci si riferisce al giovane santo martire con la palma del martirio,
sopra l’acquasantiera, di primo trecento. L’itinerario evolutivo del Maestro
di Oropa, dopo l’iniziale lavoro, ancora legato alle formule retoriche
della vecchia iconografia sacra, presso il sacello di Maria del santuario
di Oropa (1295-1305), si conclude in modi già goticamente mossi
ed avventurosi nell’oratorio del Castello di Valdengo (1325-1330).
Su Aimone Duce, formatosi
nel vivace ambiente del castello visconteo di Pavia, ormai conosciamo diverse
cose legate al suo prolungato servizio presso la corte degli Acaia a Pinerolo,
in esiti, come a Macello ed a Villafranca, di sottile psicosi. Il santo
guerriero di Ivrea, acconciato all’ultima moda, chiuso in una splendida
armatura, acquista una sua datazione in un appunto del registro di spese
tenuto dal cantore e canonico del Capitolo eporediese Antonio della Curséria,
relativo all’anno 1422: si tratta del pagamento di due staia di frumento
al “magistro duxamo pictori de papia habitatori yporegie pro pictura quam
fecit in ecclesia yporegie quam feci fieri’’.
Nell’absidiola sud del
tramezzo murario, infine, si trova la Vergine col figlio in trono tra santi,
sormontata dall’Annunciazione, di Giacomo da Ivrea. Con il restauro l’accolta
dei personaggi è aumentata: accanto ad Antonio Abate ed a Cristoforo
che sta guadando il fiume, reggendo sulle spalle il bambino, tra un guizzar
di pesci, è riapparso un Sebastiano trafitto da molte frecce. Lungo
lo stretto archivolto, oltre all’Angelo ed all’Annunciata, preziosi di
ricami nero su bianco, sul fondo verde compaiono anche l’Eterno e la colomba.
Accanto vi è la
scritta dedicatoria dell’opera simile a quella di Pavone (1424). Ad un
periodo successivo appartiene la sua decorazione del Palazzo vescovile
d’Ivrea con il “giardino’’ pensile a grandi piante di meli, frequentato
da figure cortesi unite dall’azione comune in un racconto esplicitato in
origine dalla scrittura ora purtroppo illeggibile, da accreditarsi al clima
dei giochi Borromeo, ora conservati alla Rocca d’Angera. Il committente
di questo ciclo pittorico è stato il Vescovo d’Ivrea Giacomo de
Pomariis (1427-1437), amante delle arti come dimostra, tra l’altro, il
messale da lui fatto iniziare nel 1435 al calligrafo milanese Bertolotum
de Maynis.
Ritornando, per concludere,
nella cripta, andrà ancora detto che, tra sparsi frammenti, la Visitazione
sul pilastro rotondo va attribuita ad un Amico di Giacomino.
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