L'edificio del piombo a La Bianca
Nel bacino metallifero dei Monti della Tolfa, in prossimità della Roccaccia, nella seconda metà
del XVIII secolo, la Reverenda Camera Apostolica, costruì uno stabilimento per la produzione
di piombo dalla galena.
L'ubicazione dello stabilimento in fondo alla valle del torrente Marangone, oggi può sembrare
anomala, ma invece risponde benissimo a tre importanti necessità dell'epoca:
vicinanza ai siti estrattivi di minerale e di legna da ardere nei forni fusori,
reperire energia per azionare le macine, e presenza di vie di comunicazione per
movimentare il prodotto finito verso i mercati.
La galena venne scoperta nel 1739 in filoni, durante l'estrazione dei minerali di ferro a
Pian Ceraso.
In 5 anni vennero aperte varie miniere e cave, tutte situate nella zona che va da
sotto Cibona fino alla Roccaccia: S. Lorenzo, S. Clemente, S. Francesco, S. Guglielmo,
S. Egidio S. Pio e Ribasso Vecchio. Lo stabilimento sarà edificato proprio in mezzo a queste.
A quell'epoca una grande fonte di energia era quella fornita dalla forza delle acque
dei fiumi. Per avere maggiore energia, si concentrava una grande quantità d'acqua
in un bacino, per essere poi liberata al momento utile.
Il bacino qui realizzato permetteva di raccogliere le acque che scendevano lungo i versanti
di Poggio Ombricolo e Poggio Malinverno.
Una parte delle acque che scendevano lungo i versanti, provenivano da strette gallerie di drenaggio
aperte per liberarne pozzi e gallerie da dove veniva estratta la galena.
Per aumentare l'energia fornita dall'acqua, l'edificio era situato ad un livello
inferiore rispetto al bacino; inoltre questi erano uniti tramite un imponente
acquedotto di tredici arcate in muratura della lunghezza di poco più di 100 metri.
L'acqua del bacino permetteva di mettere in moto un ingegnoso
meccanismo, situato all'interno dello stabilimento per la macinazione del minerale.
Il meccanismo, costituito da una classica ruota per mulini ad acqua di 3 metri di
diametro e interamente in legno, azionava 8 martelli metallici racchiusi
in un grosso cassone anch'esso metallico.
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All'epoca, l'edificio del piombo, era raggiunto dall'unica strada che da Civitavecchia
conduceva ad Allumiere e, passando per La Bianca, anche a Tolfa.
Su questa strada, tramite carri trainati con animali, il metallo qui prodotto poteva
raggiungere facilmente la città marittima ed essere da qui smistato.
Inoltre c'è da notare che lo sforzo utile per movimentare sia il prodotto finito che
il minerale, era il più vantaggioso che si potesse ottenere, visto che
i movimenti avvenivano sempre in un unico senso e quasi sempre in discesa.
Il ciclo di lavorazione del minerale era costituito da tre fasi essenziali: frantumazione,
separazione delle impurità, e fusioni in pani.
La galena proveniente dalle miniere circostanti, veniva pestata tramite il meccanismo
sopra citato. Durante il processo di triturazione, immettendo acqua, i pezzi più piccoli,
che riuscivano a passare attraverso una stretta griglia a rete, raggiungevano una vasca di
decantazione.
Entrando nella vasca di decantazione, la galena essendo più pesante delle impurità, si
depositava rapidamente sul fondo, mentre un leggero flusso d'acqua portava via tutto il
resto rimasto in prossimità della superficie. |
L'alta valle del Marangone vista dalla strada
per la Fontanaccia: la freccia indica la posizione
dell'edificio del piombo.
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Terminata la fase di depurazione, la galena qui raccolta passava al forno scoperto che
permette la dispersione in aria dello zolfo, dell'arsenico e dell'antimonio.
Il minerale poi passava nel forno di fusione.
Per aumentare il rendimento del forno, l'aria che ne alimentava il fuoco, veniva spinta da una
specie di mantice costituito da un'elica, azionata sempre dalle acquee del bacino.
Lo sfruttamento della galena ebbe breve vita per due motivi: la scarsa quantità di metallo
prodotto, meno del 25% del minerale, e l'insufficiente quantità d'acqua di cui si poteva
disporre lo stabilimento anche in inverno.
Così, nel 1778 la Reverenda Camera Apostolica chiuse le miniere e lo stabilimento.
Nel 1826 ci furono alcuni tentativi di ricerca di nuovi filoni.
Nella vicina cava dallo stabilimento, S. Pio, vennero scoperti alcuni filoni di galena
argentifera (può contenere anche fino al 2% di argento), mentre nella cava di S. Guglielmo
venne riscontrata la presenza di cristalli di quarzo ialino, conosciuti come i diamanti di
Tolfa.
I resti dell'edificio del piombo oggi
L'edificio del Piombo oggi si presenta in stato di totale abbandono.
La vegetazione regna sovrana: edera arrampicata ed alberi anche di grande fusto
cresciuti ovunque (anche all'interno dell'edificio), che insieme ad una fitta vegetazione,
costituiscono un'incredibile mimetizzazione tale da non permettere una discreta visibilità
dei resti dello stabilimento.
Ecco come si presenta il bacino oggi.
Nella La foto di destra è visibile il sistema di chiusura del bacino,
le tracce di color marrone vivo appartengono alla vena d'acqua mineralizzata a ferro.
Il bacino, che si presenta ormai come una pianura con il fondo molle e paludoso, ospita
una particolare vegetazione tipica di ambienti sempre umidi.
Si possono individuare due distinte vene d'acqua, una che proviene da un fontanile poco
distante, l'altra (di colore marrone per aver attraversato mineralizzazioni di ferro) proviene
da una galleria di drenaggio per la miniera poco distante.
Queste acquee, che costituiscono l'inizio del torrente del Marangone, si uniscono
al momento di attraversare la chiusa del bacino. L'acqua che non percorre più l'acquedotto,
continua il suo viaggio verso lo stabilimento in un letto ricoperto da una fitta vegetazione.
Alcuni tratti dell'acquedotto non coperto dalla vegetazione.
L'acquedotto si presenta ancora intatto nelle sue tredici arcate, seppur le acque piovane
che vi corrono intorno alla sua base, insieme a quelle provenienti dal bacino, ne minacciano
la tenuta delle fondamenta, ormai portate alla luce in più punti.
Gli ambienti all'interno dell'edificio.
La foto di destra mostra il canale di deflusso dell'acqua dallo stabilimento.
La facciata nord dell'edificio,
davanti alla quale passava l'antica strada per Civitavecchia.
L'edificio è praticamente inghiottito dalla vegetazione sui lati sud ed ovest: per questo
motivo non è possibile l'accesso al livello inferiore.
Anche qui l'acqua piovana sta rimovendo il terreno intorno alle fondamenta, minacciando
la staticità delle pareti ad est.
Sarebbe necessario quanto prima un immediato intervento di salvaguardia e di
mantenimento dell'intero
stabilimento, in attesa di un suo restauro per l'inserimento nel futuro parco
archeo-minerario dei Monti della Tolfa.
Per poter raggiungere il sito qui descritto, bisogna transitare tra coltivazioni e allevamenti di
animali allo stato brado. Si consiglia di contattare la segreteria del
Museo di Allumiere
(telefono 0766/967793) per avere ulteriori informazioni o per partecipare a visite guidate.
Per la raccolta di minerali e rocce sul territorio, consulta
l' ordinanza n. 98 del 2000 del Comune di Allumiere.
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Testo e HTML
Stefano Foschi, Agosto 2002
Bibliografia
Riccardo Rinaldi - Itinerari Storici ambientali nel distretto minerario di Allumiere. Allumiere 1998
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