Architettura Italiana 1

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Il primato dell’architettura sulle scelte della citta’

 

IPOTESI SU CENNI DI METODOLOGIA DELL’ARCHITETTURA URBANA DELLE PERIFERIE IN UNA VISIONE UNITARIA DI URBANISTICA ED ARCHITETTURA NELLA QUALE L’ARCHITETTURA ABBIA IL PRIMATO.

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PROLOGO

Similitudine tra UOMO e CITTA’ – ( codice Asbhurniano )

 

Parlare di periferie senza chiarire le posizioni nostre su che cosa intendiamo per Architettura del territorio o urbana, volgarmente chiamata urbanistica, oggi è un po’ come dovette essere per Galilei sostenere le tesi Copernicane dinanzi alla congregazione del santo Uffizio.

Non erano semplici scaramucce dei Peripatetici, sicuri del Sistema aristotelico, in quanto la Chiesa ha impiegato ben 380 anni per riabilitare Galilei. Per noi che vorremmo discutere di Architettura della Città e del "primato" di questa sull’urbanistica, il compito è molto più arduo, sia perché i nostri non sono argomenti propriamente scientifici, sia perché a molti pare che l’urbanistica sia la trattazione più moderna.

E’ ancora più che arduo per noi affermare che l’urbanistica è di concezione tolemaica, proprio in quanto i supporti teorici alle nostre argomentazioni devono calarsi anche nella storia e, quindi, possono apparire oltre che anti-scientifiche, obsolete , e solo per questo antiquate ed inefficaci ad affrontare invece i problemi di un "mondo moderno", tecnologicamente avanzato e che pare abbia relegato nella pura ricerca storico – filologica l’Urbanistica della "CITTA’ IDEALE" di Francesco di Giorgio Martini e company: questa per i "progressisti a tutti i costi" non è altro che un trofeo da mostrare insieme alla collezione dei vasi cinesi all’amica di turno, o, meglio ancora, reperto da Jurassik Park.

Per me, invece, sono proprio delle leccornie da assaporare lentamente, per riflettere e riconoscermi come quell’uomo, che era lui al centro di tutte le cose.

 


Aquino – concorso per aree di parcheggio sull’autostrada - 1987

RELAZIONE

Non sta a me argomentare a proposito dell’identità tra Urbanistica ed Architettura, in quanto già negli anni sessanta Zevi domandandosi, "man mano che l’impegno della pianificazione diveniva incalzante fino ad assorbire e quasi a schiacciare l’attività architettonica, se era lecito separare l’urbanistica dall’architettura", ipotizzando variazioni di metodo tra il "saper" progettare una città, riaffermava l’identità tra urbanistica ed architettura, cioè spiegava che per "disegnare" una strada o un quartiere, bisogna usare la stessa metodologia necessaria a progettare le parti di un palazzo.

Io non voglio tediarvi, parlando sullo Spazio interno e sullo spazio esterno, sulla loro integrazione o sull’identità delle parti della casa; se sia o non sia Piazza San marco, e per noi napoletani Piazza del Plebiscito, il soggiorno della città, modernamente inteso come – più per Venezia, per la verità! – connessione fra diverse funzioni in uno spazio unitario.

Né voglio annoiarvi con la "zonizzazione" di una città, che è pari pari la suddivisione sociale e pertanto da rigettare integralmente; né sugli "indici di fabbricazione", pur se è da queste considerazioni, che scaturisce la nostra tesi per cui le PERIFERIE non solo devono divenire il centro dell’attenzione degli architetti e degli amministratori, ma non devono più esistere in quanto tali, come "margine della vita pulsante di un comune, come luogo del degrado materiale e morale, come cause del malessere, non certo per i suoi abitanti, per i turisti che fossero costretti per un casuale "tappo" automobilistico sull’autostrada Napoli – Salerno a recarsi agli scavi di Ercolano attraverso san Giovanni, e si accorgono di quell’inferno o per la gente "bene" che – non so proprio per quale motivo – attraversando San Giovanni, se qualche pioggia non ha affossato la via Reggia di Portici, se riesce a capire da che parte stare allo Sperone, quando passa il tram, non vede l’ora di tornare alla sua "caffetteria" di piazza dei Martiri, per raccontare rabbrividita e un po’ partecipe, come la regina Antonietta che avrebbe datole brioche in mancanza del pane al popolo affamato, di quel mondo, che per fortuna è lontano mille miglia per loro lì nel tepore del loro caffè.

Dicevo, io non voglio annoiarvi con argomentazioni più o meno dotte, più o meno lacrimose sulla certezza dell’identità tra Urbanistica ed Architettura, io vorrei affermare "umanisticamente" il "primato" dell’Architettura sulle scelte della città. E pertanto non disquisirò sulla similitudine antropomorfica ed antropometrica tra uomo e città di Francesco di Giorgio Martini, mi limiterò ad affermare l’identità totale tra donna – uomo e città.

Non starò qui ad affermare con Giovanotti e con Francesco di Giorgio ""che la piazza principale nel centro della terra, o più propinqua a quello che si può, debba essere locata, come il bellico dell’uomo"; ma dirò, per esempio, che le Periferie tutte devono essere i ventri della vita che, nascendo, rigenera i tessuti della madre, come nella Prima condizione di Francesco di Giorgio: "per il bellico la natura piglia nutrimento e perfezione".

HOMO AD CIRCULUM ( dal codice Cesariano).

".....fatto centro nell’umbilico si tiri

col compasso un cerchio, questa linea

toccherà le dita d’ambo le mani e piedi:

e siccome si adatta il corpo alla figura

rotonda, s’adatta anche alla quadrata."

 


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  • Le immagini dei progetti di Ermanno Corsaro sono tratte dalle opere pubblicate e dal repertorio dell’autore.

    Nota biografica.

    Ermanno Corsaro è nato a Catania il 6-9-53. Si è laureato con lode a Napoli nel ’78. Ha collaborato fino all’83 all’Istituto di Progettazione della stessa Facoltà. Vincitore di concorso è docente di Discipline Architettoniche al Liceo artistico di Napoli. Ha partecipato a numerosi concorsi e mostre Nazionali ed Internazionali, ricevendo premi e segnalazioni ufficiali. Molte opere sono pubblicate su varie riviste e cataloghi.

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