Critica di Vitaliano Corbi
I segni della natura nell'arte di Antonio Baglivo
di Vitaliano Corbi, 1994
Il legno è certamente tra i materiali preferiti da Antonio Baglivo, che ne ha derivato un rapporto di coinvolgimento oltre la soglia delle opzioni preliminari. Del resto, diversamente da quel che ha sostenuto qualche filosofo, la realizzazione di un'opera non è mai un lavoro di semplice esecuzione, rivolto a tradurre nel mondo empirico delle cose bella e un'immagine già compiuta nella mente dell'artista.
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Nel caso di Baglivo è davvero difficile non
avvertire la stringente e capacità di mobilissima far
aderire i processi della fantasia all'esperienza dei
materiali, al sondaggio del loro grado di della loro
resistenza e, insieme, inesauribile flessibilità
espressiva. Tra l'artista e la materia in cui l'opera
vien prendendo corpo si è instaurato un dialogo che
intreccia suggerimenti e provocazioni fulminee, silenzi e
stupori illuminati. Scolpire non è, per blocco di Baglivo, imporre al legno una forma preordinata eliminando quel che c'è di troppo e di inutile. Scolpire nel legno, scoprire la per lui, vuol dire soluzione e i rischi di un rapporto ogni volta rinnovato, attraverso momenti di estrema dolcezza e insistenza, e gesti di crudele che accarezzano e levigano le superfici, le assottigliano, le incidono, vi tramano segni leggeri e penetrano anche vibranti. Ma profondamente nello spessore del corpo, fino a sforarlo e a provocare violenti risucchi di vuoto della compagine nel pieno plastica. |
Talvolta si ha l'impressione che Baglivo faccia nascere le sue sculture dall'interno della materia, ora assecondando il profilo dei fasci fibrosi e l'andamento delle venature e dei nodi, ora forzandoli abilmente ad assumere altre e imprevedibili configurazioni, come per effetto di strani processi di erosione. In questo modo, è stato detto, egli farebbe propria la lezione di una antica tradizione artigianale, capace di riscoprire ed esaltare le qualità naturali delle cose. Ma in realtà la ricerca del nostro artista passa lontano dal solco di certe esperienze operative che tendono a tramandarsi immutate nel tempo.
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Innanzitutto in lui c'è un modo inquieto ed avventuroso di sperimentare le possibilità espressive dei materiali che non è certo quello sostanzialmente ripetitivo dell'artigianato. Poi, ed è quel che più conta, è fin troppo evidente che l'idea di natura che circola nelle sue opere come non rimane relegata sullo sfondo delle vicende dell'uomo per allestirgli spettacoli di facile gratificazione, così non si contrae nell'impatto con la fisicità dell'oggetto promuovendo l'anatomia di questo a struttura portante dell'immagine. Sarebbe ingenuo pensare che baglivo voglia affidare ad una procedura di rispetto e di rivalutazione estetica delle presunte qualità naturali delle cose il sentimento in lui acutissimo di partecipazione dell'uomo alla vita della natura. |
La natura nelle sue opere si rivela in primo luogo come intuizione di processi che fanno saltare la griglia di classificazione delle cose. Intuizione, quindi, di un processo metamorfico universale che si dilata nel tempo e nello spazio unendo la infinita complessità delle stratificazioni geologiche a quella delle nebulose galattiche, il fremito dei tessuti cellulari al pulsare di un notturno stellare. Proprio nel corso dell'esperienza estetica il rapporto con il mondo della natura supera l'ovvietà dell'esperienza comune che classifica e distingue rigidamente le cose per diventare coscienza del coinvolgimento dell'uomo in una misura che lo trascende e che tuttavia a lui continuamente si riconduce.
In una delle serie di opere degli ultimi anni si può cogliere in maniera esemplare la crescita di uno stato d'animo che passa da una visione organicistica, espressa essenzialmente attraverso una fluida continuità plastica, non contraddetta ma esaltata anzi dalle interruzioni e dalle ferite che essa è costretta a subire, ad immagini di grandiosa apertura cosmica, dove quel fremito, quella pulsazione ritmica, della materia che sembrava attraversare il legno, scavandovi rughe e solchi, si è tradotto nel serrato agglomerarsi dei tasselli nel gioco degli interstizi e degli scarti di livello e di incidenza luminosa, nel mutevole percorso delle direzioni e nella brusca inversione finale che ribalta una sensazione di forte imminenza visiva, quasi di ricognizione stratigrafica, in quella di immense e silenziose lontananze. Che non segnano tuttavia la rivelazione di una irreparabile estraneità, ma della nostra appartenenza profonda ed originaria al mondo della natura.
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