Pallone,
politicae Macelleria
Impossibilitato a rispondere a tutti i lettori che mi hanno scritto a
proposito della rubrica
"Controbalzo" di lunedì su Filippo Inzaghi (548 messaggi
e-mail, in grandissima maggioranza critici), mi sembra giusto farlo qui,
adesso e collettivamente.
Non penso di essere un istigatore a delinquere, e nemmeno un apologeta
dell'illecito sportivo. Resto dell'idea che l'esultanza di Inzaghi dopo
il sesto gol contro un Toro ampiamente macellato fosse fuori luogo,
eccessiva e grottesca. Questo non significa che Inzaghi dovesse giocare
male apposta, oppure sbagliare il tiro: no, il gol ci stava tutto, è la
scena a seguire che andava a mio avviso evitata. Quando scrivo che ci può
sempre essere bisogno di qualcuno che nella vita ti restituisca un
favore o un bel gesto, mi riferisco a una regola tacita del calcio in
vigore da sempre: non è un invito al trucco, ma la banale osservazione
della ruota che gira. I giocatori hanno la memoria lunga, e non amano
chi infierisce. Se possono, anzi, gliela fanno pagare: non è un
suggerimento, ma una realistica considerazione. Può non essere
politicamente corretto, ma in campo vale un codice cavalleresco per cui
non si umilia, non si sputa in faccia, non si prende in giro
l'avversario troppo debole, non si simula un fallo facendo ammonire
qualcun altro. Cose così. Poi, ammetto che una mia frase della rubrica,
quella sulla caviglia di Inzaghi, poteva essere equivocata e
interpretata come un invito a colpire proprio lì, e ovviamente non lo
era. Di questo mi scuso con l'interessato, ma non è possibile essere
dietrologici su tutto: mi viene da ridere quando leggo che la mia
critica a Inzaghi sarebbe l'attacco di un giornalista comunista a
Berlusconi.
Filippo Inzaghi è un grande centravanti, ma è anche un giocatore non
troppo amato dagli avversari e dagli arbitri. Perché si tuffa in area,
ad esempio, anche quando non lo toccano, e perché è un piagnina. Il
suo istinto è egoista, e questa sotto porta è una dote, ma non si può
dimenticare quella partita della Juve a Venezia in cui Del Piero,
convalescente dal ginocchio fracassato e in crisi nera, aveva bisogno
come il pane di una palla-gol e Inzaghi, che pure l'aveva visto
liberissimo in area, preferì non curarsene. Forse sono dettagli, però
i dettagli rivelano le persone. Tutto qui.
(8 ottobre 2002)
MAURIZIO CROSETTI |