Tratto dalla rubrica "Controbalzo" del  quotidiano "La Repubblica" dell'8 ottobre 2002

 

Pallone, politicae Macelleria

Impossibilitato a rispondere a tutti i lettori che mi hanno scritto a proposito della rubrica "Controbalzo" di lunedì su Filippo Inzaghi (548 messaggi e-mail, in grandissima maggioranza critici), mi sembra giusto farlo qui, adesso e collettivamente.

Non penso di essere un istigatore a delinquere, e nemmeno un apologeta dell'illecito sportivo. Resto dell'idea che l'esultanza di Inzaghi dopo il sesto gol contro un Toro ampiamente macellato fosse fuori luogo, eccessiva e grottesca. Questo non significa che Inzaghi dovesse giocare male apposta, oppure sbagliare il tiro: no, il gol ci stava tutto, è la scena a seguire che andava a mio avviso evitata. Quando scrivo che ci può sempre essere bisogno di qualcuno che nella vita ti restituisca un favore o un bel gesto, mi riferisco a una regola tacita del calcio in vigore da sempre: non è un invito al trucco, ma la banale osservazione della ruota che gira. I giocatori hanno la memoria lunga, e non amano chi infierisce. Se possono, anzi, gliela fanno pagare: non è un suggerimento, ma una realistica considerazione. Può non essere politicamente corretto, ma in campo vale un codice cavalleresco per cui non si umilia, non si sputa in faccia, non si prende in giro l'avversario troppo debole, non si simula un fallo facendo ammonire qualcun altro. Cose così. Poi, ammetto che una mia frase della rubrica, quella sulla caviglia di Inzaghi, poteva essere equivocata e interpretata come un invito a colpire proprio lì, e ovviamente non lo era. Di questo mi scuso con l'interessato, ma non è possibile essere dietrologici su tutto: mi viene da ridere quando leggo che la mia critica a Inzaghi sarebbe l'attacco di un giornalista comunista a Berlusconi.

Filippo Inzaghi è un grande centravanti, ma è anche un giocatore non troppo amato dagli avversari e dagli arbitri. Perché si tuffa in area, ad esempio, anche quando non lo toccano, e perché è un piagnina. Il suo istinto è egoista, e questa sotto porta è una dote, ma non si può dimenticare quella partita della Juve a Venezia in cui Del Piero, convalescente dal ginocchio fracassato e in crisi nera, aveva bisogno come il pane di una palla-gol e Inzaghi, che pure l'aveva visto liberissimo in area, preferì non curarsene. Forse sono dettagli, però i dettagli rivelano le persone. Tutto qui.

(8 ottobre 2002)



MAURIZIO CROSETTI