| Tratto dalla rubrica "Controbalzo"
del quotidiano "La Repubblica" del 7 ottobre 2002
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Inzaghi, un uomo piccolo piccolo La peggiore immagine della domenica calcistica è stata, molto in teoria, una bella immagine, perché riguarda un gol: il terzo di Filippo Inzaghi, una specie di Re Mida dell'area di rigore, almeno in questo suo formidabile inizio di stagione. Brutta immagine, perché Inzaghi si è agitato, è esploso di gioia come se quella rete (il 6-0 sul Torino) avesse appena deciso la finale di una Coppa del Mondo. Dice un'antica regola non scritta del gioco del pallone, e forse del vivere insieme, che nessuno ha il diritto di infierire sui più deboli, specialmente quando sono debolissimi. Sul campo, esiste un momento segreto in cui il dominatore rallenta e non umilia il dominato. E' sempre stato così, e non per spirito nobile: si sa che tutti, a turno, si rischia di essere dominati, non si sa quando, non importa saperlo. C'è sempre un giorno difficile in agguato da qualche parte, remotissimo: il giorno, per esempio, in cui il Milan potrebbe avere bisogno di un punto a Torino, magari un piccolo misero insulso insignificante punto che potrebbe servire per un grande, luminoso, fantasmagorico, berlusconianissimo scudetto. Può darsi che quel giorno il signor Inzaghi Pippo abbia bisogno, che so, di un golletto per vincere la classifica dei marcatori, oppure per convincere un allenatore della nazionale che sarebbe meglio convocare lui invece di qualcun altro. Oppure, soltanto, potrebbe darsi che Inzaghi abbia bisogno di un gol per se stesso, per uscire da una crisi sempre possibile (a lui, tra l'altro, è già successo in passato), magari per ritrovare se stesso dopo un infortunio, o per spezzare il sortilegio che talvolta colpisce gli attaccanti: quando la palla non vuole proprio entrare, tutto il contrario di adesso. Quel giorno, forse, un difensore del Torino, un ruvido stopper senza niente di luminoso nella propria storia, senza il ricordo di una tripletta, senza sogni, si avvicinerà a Inzaghi e gli prenderà il pallone. Semplicemente. O forse, insieme al pallone gli porterà via anche la caviglia. Perché succede. Perché qualcosa di nero è sempre alla porta. Perché quando non si è capito che non era il caso di esagerare, di umiliare, si pensava di essere grandissimi, invece si era piccoli piccoli. MAURIZIO CROSETTI |