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L'Altro/Io

 

 

Il diverso, inteso come “altro da sé”,  come confronto con ciò che si connota secondo modi d'essere che non riconosciamo come nostri, è un tema complesso che può e deve essere affrontato secondo molteplici punti di vista. Il diverso infatti non è solo l'altro, ma sono anche le parti di noi  cui neghiamo il diritto ad essere, perché non corrispondono all’immagine che abbiamo di noi stessi o ad un’identità che si ritiene socialmente accettabile. Così come il nostro modo d’essere di oggi, è radicalmente diverso da quello di ieri. Che cos'è allora la diversità? E cosa deve intendersi nell’attuale contesto storico con tale termine? Sono interrogativi ai quali non è facile rispondere, ma incontrare il diverso, in altri termini ciò che non si riconosce come affine,  è un'esperienza che appartiene da sempre all'uomo. In qualunque modo esso trovi espressione nell'arte, deve comunque connotarsi come il "segno dello sconosciuto", dell' “altro da sé”, che non necessariamente deve essere collocato fuori di noi per avere significato e divenire un input dal quale non può, e non deve, prescindere in alcun modo il processo evolutivo, sociale e culturale, individuale e collettivo. Misurarsi con il diverso è una sfida con se stessi, con la propria capacità di essere ponendosi nella condizione dell’incontro continuo con “l’altro da sé”, che non deve mai smettere di essere tale e conservare invece integri i propri caratteri distintivi, altrimenti l’incontro verrà meno. Se la globalizzazione diverrà “inglobalizzazione” o “omologazione”, anche la mia identità verrà meno: io esisto in quanto esiste l’altro che è l’altro da me.  L’arte in tal senso è il territorio privilegiato dell’incontro con il diverso, ma soprattutto è il luogo dove l’incontro deve inevitabilmente avvenire se l’arte vuole essere tale. Un incontro difficile ma ogni volta unico, in quanto capace di produrre un gesto generatore di pensiero. Il tema della mostra, l’altro/io, presenta una doppia valenza, quella dell’identità dell’altro come diverso soggetto storico, culturale, politico che rischia di essere annientato  dall’attuale processo di globalizzazione e quello dell’ “altro da sé”, come altro sé, come lo “sconosciuto”: vale a dire quelle parti della psiche che sfuggono al controllo della ragione, la cui attività forse potrebbe essere oggi un importante supporto all’organizzazione delle identità. Rapportarsi all’altro ed alla sua diversità, riconoscerlo ed accettarlo come soggetto capace di autodeterminarsi, è il cardine attorno al quale ruota la collettiva ed appare anche come l’unico e necessario presupposto per un possibile dialogo con il diverso. Accettare la diversità, invece che negarla, significa credere nella possibilità di un futuro “a misura d’uomo” e nella capacità evolutiva delle potenzialità  dell’individuo. Nel coesistere contraddittorio delle esperienze maturano infatti contenuti e codici che rinnovano i sistemi culturali precedenti  e consentono di intuire nessi e relazioni tra fenomeni nuovi e resi nuovi dal determinarsi di nuove connessioni. Il discorso è complesso per le multiformi questioni che solleva, ma è su queste che l’arte deve interrogarsi, porre domande e far riflettere.  Fuori da questo contesto, l’iniziativa non si distinguerebbe dalle altre, così come la presenza numerosa degli artisti perderebbe di significato. Diventa invece comprensibile ed trova una sua particolare ragione d’essere proprio in rapporto ai contenuti della mostra.  Attraverso la varietà dei linguaggi e di modalità espressive che spaziano dal gesto pittorico e scultoreo all’utilizzo delle tecnologie digitali, le singole ricerche guardano alle trasversalità che caratterizzano la nuova condizione contemporanea. Una condizione umana, che con le sue varie e molteplici contraddizioni, prende forma e acquisisce realtà fisica  nelle opere degli artisti, che diventano il segno tangibile del radicalizzarsi delle esperienze in rapporto alla diversità di ciascuno. Un segno ironico, talvolta malinconico, perfino angoscioso; un segno dirompente, talvolta trattenuto, perfino muto; un segno che racconta, che blocca l’immagine, che scorre; un segno che costruisce per concetti, che cerca spessore emotivo nella materia, che osserva la realtà con distacco. Segni affollati, solitari, minimali, eccessivi, esuberanti, discreti, silenziosi, urlanti. Segni molteplici e differenti di identità diverse che, al di là di ogni intenzione, si confrontano e dialogano.  Coerentemente col senso della mostra, le opere rivelano in un contesto di coesistenza il loro valore. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto non è più possibile muovere oggi da un’idea espositiva che un tempo si fondava su un sistema di certezze estetiche, che a loro volta derivavano da un sistema di valori condivisi, persino da intere generazioni. In tal senso, questo accostamento di esperienze diverse - che può sembrare casuale pur all’interno di un tema -  e ciascuna autoreferente, acquista senso se interpretato come un provocatorio test dello stato delle cose, in cui le esperienze non possono appunto che coesistere. Ai sottili sintomi che manifestano una volontà sotterranea, ma mai sopita, di porsi comunque in relazione pur nella chiusura autorelazionale, l’arte può e deve dare corpo. Forse considerando questa collettiva una simulazione della realtà, si potranno avere delle sorprese conoscitive.

 

    

comunicato stampa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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