A CORTONA

L'unico cibo per la colazione era, quando c'era, un po' di torta di granturco avanzate la sera prima, oppure mettevano, gli uomini in tasca e le donne in (grembiule), qualche "balocia" (castagna lessata) da mangiare strada facendo.

Mezzogiorno

Va fatta una distinzione tra estate ed inverno.

D'estate infatti il pasto quasi sempre veniva consumato nei campi: era la massaia che lo portava in una cesta collocata sopra la testa, magari portandosi per mano i bambini più piccoli che non potevano esser lasciati soli a casa.

D'inverno invece, data anche la stagione cattiva ed il diverso tipo di lavoro, si tornava a mangiare a casa.

Il cibo in entrambi i casi era il seguente: fagioli (bianchi,neri, dei generi più svariati), favetta (piccole fave allora coltivate)e molte patate: lesse, sotto la brace, il "moglieccio" (pasticcio di patate riscaldate con un po' di strutto ed aglio in un tegame, con aggiunta di finocchio).

Erano per i "montagnini" il pasto base dell'inverno e fino a primavera inoltrata, dato che si conoscevano molti modi per la loro conservazione.

Due in particolare:

1) Per mantener "fresche" le castagne si scavava una buca larga e profonda nel terreno, si riempiva di castagne e si ricopriva di acqua. Sembra strano ma duravano a lungo.

2) Per conservarle secche, anticamente quando ancora i contadini non avevano a disposizione neppure i forni a legna, le castagne venivano lasciate essiccare in una stanza.

L'operazione di "sbucciatura" fatta a quei tempi merita di essere ricordata.

Era tradizione che tale lavoro venisse fatto il sabato santo ed era compito degli uomini.

Si radunavano in una decina. Questi usavano calzare uno zoccolo per ciascuno, di legno, con sotto dodici "spunzoni". Con tali zoccoli cercavano di mondare le castagne. Considerando che dovevano stare in equilibrio su un solo piede, si usava attaccare tutto intorno alla stanza una corda posta ad altezza giusta per potervisi appoggiare. Terminata l'operazione di sbucciatura con i piedi, le castagne venivano ammucchiate. Poi, con uno speciale "crovello" le conciavano: le castagne pulite restavano dentro, mentre le bucce cadevano per terra.

Il cibo per le ''fatighe"

D'estate, quando il lavoro dei campi si faceva molto pesante, c'era la necessità di nutrirsi in modo un po' più sostanzioso.

Così' anche i contadini della nostra montagna, sempre agli inizi del ‘900, si concedevano qualche pasto in più.

Tre erano i momenti particolari: la mietitura, "I'ardunatura" e la "battitura" del grano.

La mietitura

Il lavoro nei campi iniziava all'alba e continuava fin oltre il tramonto del sole, con una pausa più o meno lunga a mezzogiorno, a seconda di come il sole "picchièe".

Ma i pasti, allora, restavano sempre e soltanto tre.

Al mattino, ci si accontentava degli avanzi (si comprende miseri) della sera precedente.

Magari, cammin facendo, si sgranocchiava un po' di torta di granturco.

A mezzogiorno, quando i campi da mietere erano vicini, i contadini, ritornavano a casa per mangiare, altrimenti era la massaia a portarglielo.

Si stendeva per terra una tovaglia di telaio, vi si disponevano le poche stoviglie e ciascuno si serviva senza farsi molto pregare, dato l'appetito

Ciascuno aveva il suo piatto e la sua forchetta, ma il coltello era unico e pochissimi i bicchieri, senza troppi riguardi per l'igiene.

Si mangiava pastasciutta.

I più poveri dovevano accontentarsi delle tagliatelle senza uova con sugo finto o come qualcuno, scherzandoci sopra, diceva: "col cuniglio 'ntu la stalla". I più abbienti (si fa per dire) potevano permettersi il sugo con il coniglio "stufeto".

A cena, oltre alla immancabile insalata di campo, si poteva aggiungere della frittata.

L' "ardunatura"

Il lavoro consisteva nel riportare "1e manne" (i covoni di grano) nell'aia, trasportandoli sui carri o trègge tirati da buoi.

Si iniziava prestissimo, appena arrivava un filo di luce, quindi dalle tre di notte circa.

E ciò per non dover lavorare poi quando avrebbe fatto troppo caldo.

Lavoro veramente massacrante questo che richiedeva un cibo abbondante.

E a mangiare cominciavano presto.

Infatti alle quattro di mattina facevano "lo sdigiunino" con "torquolo" e vinsanto.

Verso le ore 9 c'era la colazione: salame, prosciutto, formaggio pecorino (produzione propria) con ciaccia di granturco o, solo chi poteva, pane nero. In genere il lavoro terminava dopo mezzogiorno e si concludeva con un buon pranzo.

La pastasciutta con la carne di pollo o di coniglio non mancava mai.

La battitura

Per la battitura, ricordano gli anziani, "se sfarzèa" (ci si dava allo sfarzo).

Il menù era veramente completo ed abbondante.

Prima di tutto il solito "sdigiunino" con "torquolo e vinsanto.

Verso le ore 9 una colazione che ci appare oggi del tutto particolare: soffritto di interiori di agnello con patate.

Ecco la ricetta

In un tegame mettevano a soffriggere con olio e cipolla gli interiori di agnello fatti a pezzetti, le patate ed inoltre del sangue di agnello coagulato, lessato in precedenza e poi affettato. Si lasciava bollire finché il tutto era cotto.

Ma la vera festa era al termine.

Il pranzo, dati i tempi, si può considerare luculliano. Si iniziava con minestra in brodo di "ciucio" e gallina. Il lesso poi veniva mangiato con contorno costituito da "pan del garzone". Seguiva la pastasciutta a volontà: tagliatelle con le uova e sugo di carne di agnello. Ancora carne di agnello, questa volta arrosto, con contorno di insalata. Infine torquolo e vinsanto.

Appare abbastanza chiaramente che, per tale occasione i contadini ammazzavano un agnello e ne mangiavano tutte le parti.

La battitura di cui parliamo era quella eseguita "a braccia", poiché le trebbiatrici in montagna arriveranno molti decenni dopo, anche perché le strette e tortuose strade di lassù non permettevano a tali macchine di giungere nelle aie.

 

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