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C’era una volta …

’u mastru

 

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Foto "storica" degli "Apprendisti del falegname Pasquale Munno"

 

Dopo la scuola, posata la cartella e consumato un pasto frugale, la maggior parte dei bambini e degli adolescenti si recavano “allu mastru” per apprendere i rudimenti di un mestiere, scelto per tradizione familiare, per vicinanza alla “putiga” o soltanto per necessità.

Era un periodo di apprendistato obbligatorio, quasi quanto la naja.

Potevano sfuggire a questo dovere solo (e come al solito) i “figli di papà” e quei pochi fortunati studenti che erano veramente promettenti a scuola.

Mentre per le ragazze la scelta era quasi obbligata (andare alla sarta o al ricamo), per i maschietti le possibilità erano molto varie.

Le botteghe più frequentate erano quelle dei falegnami, dei sarti, dei barbieri e dei meccanici, pochi (soprattutto i familiari) imparavano l'arte del fabbro, del calzolaio o dello stagnino.

Solo i più grandicelli andavano “dietro” ai muratori o agli imbianchini.

Oltre che a provvedere alla quotidiana pulizia della “putiga”, i discepoli alle prime armi dovevano sempre stare accanto al loro “mastro” per osservare come lavorava e, possibilmente, prevenirne gli ordini porgendo gli attrezzi necessari al momento giusto.

Quelle indicate di seguito sono alcune delle mansioni che dovevano svolgere nei primi giorni di apprendistato:

SARTI
“allumare” e tenere acceso il ferro da stiro (allora a carboni), scucire imbastiture, eseguire semplici lavori con l'uso dell'ago.

FALEGNAMI
raddrizzare chiodi, aiutare nei tagli con la sega.

MECCANICI
ordinare e porgere gli attrezzi, pulire i pezzi smontati, dividere e selezionare bulloni, dadi, viti, rondelle.

FABBRI
tirare il mantice che alimentava con l'aria la fiamma per la fusione dei metalli, alimentare continuamente il fuoco col carbone.

CALZOLAI
preparare, torcere ed impeciare lo spago da utilizzare per le cuciture, lucidare le scarpe a lavoro finito.

 

Il titolare della bottega era ’u mastru (“il maestro”) al quale i “discepoli” dovevano la massima stima, rispetto ed obbedienza: egli dettava le regole e le faceva rispettare, distribuiva mansioni, compiti e… “cazziate” in virtù del suo potere assoluto.

I “mastri” più bravi e più severi erano molto ricercati dai genitori perché la frequentazione delle botteghe più importanti era quasi un “pedigree”, un attestato e una referenza prestigiosa per i futuri artigiani.

Per i genitori era prassi comune quella di “stimare” ’u mastru (o ’a mastra) con regali di circostanza (o di occasione), come segno di riconoscimento per quanto veniva fatto per i loro figli.

Al contrario, ai discepoli, non spettava alcun compenso, tranne qualche sparuta e rara mancia alla consegna di lavori di una certa importanza.

Amantea ha avuto una tradizione di ottimi “mastri” capaci di formare e preparare “discepoli” in grado di tramandare per decenni le più diverse specialità artigiane che, insieme all'agricoltura ed al commercio, sono state uno dei pilastri sui quali si è fondata l'economia della nostra città.

La fotografia ad inizio pagina ritrae uno dei “mastri falegnami” in posa con i suoi discepoli. Nella fotografia si possono notare anche le gerarchie nel gruppo dei discepoli: quelli al fianco del Maestro, come lui, impugnano un bastone, quasi a guisa di scettro di comando.

(Foto gentilmente concessa dal sig. Antonio Munno, figlio del maestro Pasquale Munno)

Preghiamo chiunque sia in grado di riconoscere con sicurezza qualcuno dei “discepoli” ritratti nella fotografia
di volerci cortesemente fornire indicazioni in merito.