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L'angolo della Musica: Grandi MaestriAlessandro Longo |
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ALESSANDRO LONGO
Pianista, compositore, didatta, revisore di musiche classiche, giornalista, animatore di autorevoli istituzioni culturali e concertistiche, Alessandro Longo rappresenta una delle più eminenti figure della Scuola Musicale Napoletana. La sua vita fu esempio d’una sbalorditiva operosità, fatta di ingegno e di tenacia, d’intuito e di versatilità, di quella versatilità che gli consentiva di trascorrere agevolmente da una minuziosa revisione d’un testo pianistico all’estroso sviluppo di un’idea musicale, da un’appassionata interpretazione d’un classico della tastiera alla pensosa elaborazione d’un articolo critico, da un’attenta audizione pianistica all’estemporanea stesura d’un sonetto a rime obbligate. Centro principale di questa attività fu il Conservatorio di S. Pietro a Majella, dove entrò come alunno nel 1874 (era nato dieci anni prima ad Amantea, in Calabria), divenendo poi Professore nel 1898 e Direttore nel 1944. Creatore d’una delle più forti scuole pianistiche italiane, in cui, fra legioni di allievi primeggiano nomi di risonanza nazionali quali Franco Alfano, Guido Laccetti, Paolo Denza, Tito Aprea, Antonio Votto, i figli Achille e Myriam, Franco Capuana, Giuseppe Fabbrini, Vincenzo Carro, ecc., fu, nel tempo stesso, compositore fecondissimo, nella cui produzione di circa trecento lavori, accanto alle opere principali (Quintetto, Sonate, Suites, Temi con variazioni), brillano opere minori: le une e le altre perfette nella fattura, nobili nel contenuto, spontanee nell’ispirazione. Singolare è il fenomeno di Longo scrittore, perché, se nel campo musicale ebbe la guida di quei colossi che si chiamavano Beniamino Cesi e Paolo Serrao e si potette formare attraverso un ciclo di studi solidi e completi, nel campo letterario può essere considerato un autodidatta. Temperamento umanistico, senza aver studiato le humanae litterae, ebbe una penna facile e brillante, un periodare chiaro ed efficace, seppe crearsi un proprio, inconfondibile stile: ancora di vivo interesse rimangono i suoi commenti critico‑didattici alle più importanti pagine della letteratura pianistica apparsi su «L’Arte Pianistica» (la rivista da lui fondata nel 1914, con la collaborazione di Gennaro Napoli). Della sua attività pianistica, oltre le innumerevoli esibizioni locali sia da solista che in musica d’insieme, si ricordano le tournées di concerti svolte in Germania e in Austria tra il 1895 e il ’98. Della sua opera didattica testimoniano, accanto alle varie raccolte di studi, i quattordici fascicoli della magistrale «Tecnica Pianistica», mentre un posto particolare spetta alla monumentale pubblicazione delle cinquecentoquarantacinque Sonate di Domenico Scarlatti, da lui pazientemente rintracciate nelle varie Biblioteche europee e criticamente rivedute con un amore e una competenza che legano definitivamente il suo nome a quello del più grande musicista napoletano.
Socio ordinario della Società Reale di Archeologia, Lettere e Belle Arti e della Società Pontaniana, fondatore del «Circolo Scarlatti», Direttore per circa un ventennio della «Società del Quartetto», che con i suoi concerti contribuì ad elevare il tono della vita musicale napoletana, Alessandro Longo non trascurò nemmeno l’Editoria musicale, fondando la Casa editrice «L’A.P.E.» (ricca di circa un centinaio di pubblicazioni di carattere didattico) rilevata, nel 1940, dalla Casa Curci. L’uomo, la cui poliedrica attività riassume la vita di molti uomini, fu di una semplicità e di una modestia esemplari; ebbe un suo credo artistico che sostenne vigorosamente con la parola, con gli scritti, con le opere, quasi simbolo e difensore d’un glorioso passato. Nominato Direttore di «S. Pietro a Majella» negli oscuri momenti in cui lo sfacelo morale e materiale della Nazione si rifletteva su uomini e cose, si accinse all’opera di ricostruzione con fede e ardore giovanile, quella fede e quell’ardore che l’accompagnarono fino agli ultimi istanti della sua vita, conclusasi serenamente il 3 novembre 1945, nella sua casa di Via Costantinopoli, a pochi passi dal «suo» Conservatorio. |
Alessandro Longo nel ricordo della figlia Myriam Ritornare con l’animo, prima che con la menoria, alla figura del proprio padre, suscita una folla di ricordi e di immagini familiari che la lontananza non attenua o offusca, ma illumina di luce nuova.
Quando venni al mondo, la vita di mio padre era, come del resto quella di tutti gli italiani, turbata e resa difficile dalle dolorose vicende della prima guerra mondiale che in mio padre, Alessandro Longo, si venivano ad aggiungere a profondi dolori familiari. Si può immaginare lo strazio di un uomo che vede morire suo figlio, un bambino di quattro anni, affetto da morbillo ribelle preso all’asilo. Infatti, mi è stato detto che egli per due anni non suonò mai, tranne che per motivi didattici. Questa era la sua condizione spirituale quando, nel 1918, nacqui io che riuscii, forse, a riportare un po’ di luce nella sua vita, ma anche trepidazione. La sua preoccupazione maggiore era quella di tenere lontano da me anche l’ombra di un pericolo. Era questa la ragione che lo indusse a non farmi frequentare la scuola e ad affidarmi ad una sua sorella, maestra elementare, perché mi desse i primi rudimenti di istruzione. Ma le premure cosi affettuose si risolvevano in un peso per me che avrei desiderato fare una vita normale, in compagnia di altri bambini. Questo comportamento, che ora forse posso anche comprendere, allora, nel mio inconscio era sentito come una limitazione. Però, quale dolce ricordo, oggi, risentire la sua mano nella mia per far scivolare una monetina d’argento di cinque lire che doveva servire per comprare, quando uscivo, i miei cioccolatini preferiti: le “nespole” di Gay‑Odin. Con questo gesto egli trovava il modo di farmi quasi toccare tutto il calore del suo affetto.
Mio padre era così apprensivo nei miei riguardi che bastava il semplice manifestarsi di una malattia a metterlo in agitazione e a far sì che subito chiamasse il pediatra che allora non si consultava frequentemente. Non diversa era la sua premura, una volta diventata adolescente, nell’assecondare i miei interessi culturali: per il mio quattordicesimo compleanno mi regalò la “Storia dell’Arte” di Springer‑Ricci, in cinque volumi, pubblicazione che all’epoca era molto stimata e di pregevole veste editoriale. La mia passione e versatilità per la musica si manifestarono molto presto e a ciò contribuì certamente il fatto che crescevo in un ambiente in cui si sentiva musica continuamente. Mio padre era esigente con me come lo era con i suoi allievi e m’incitava all’esercizio quotidiano sulla tastiera. Non si limitava, però, a darmi solo dei consigli astratti, ma spesso mi ascoltava con l’evidente intenzione di cogliere i progressi che man mano facevo. E così, la sera, dopo il suo lavoro quotidiano, si sedeva in poltrona, e ascoltava me che eseguivo sul Bechstein a coda i brani già prima studiati, infatti suonavo sempre a memoria. Questo metodo faceva parte di una sua convinzione e, cioè, che nella cultura, come nella vita, si può essere anche autodidatti. Egli mi precisava, però, con molta cura la diteggiatura di alcuni pezzi, specialmente di Bach. Ricordo con gioia i preparativi che si facevano in casa quando si doveva partire per i miei concerti in Italia e all’estero. Mio padre mi accompagnava sempre insieme ad una delle mie sorelle. Ricordo che durante il viaggio in Egitto, nel 1928, dove dovevo dare parecchi concerti, fui colpita da una tosse ostinata e violenta. Si pensò subito ad un raffreddamento e così mio padre, malgrado a Il Cairo la temperatura fosse di trenta gradi all’ombra, mi comprava cappotti e colli di pelliccia. In realtà si trattava di pertosse, per cui, prima che finisse, passarono vari mesi. Molti sono stati i concerti che ho dato nella mia giovinezza, ma posso dire che mio padre mai approfittò di queste occasioni per inserire nei miei programmi le sue composizioni. Solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1945, mi sono avvicinata ad alcune sue opere pianistiche e da camera, eseguendole spesso anche in concerto. La severità di padre rimaneva sempre confinata solo nello sguardo e nelle parole, mentre la tenerezza per me si manifestava nel modo più congeniale a lui, cioè con la musica. Avevo cinque anni quando egli compose per me due piccoli pezzi “Gavottina della Bambola” e “Cucù” che ebbero anche un enorme successo editoriale, forse proprio perché scritti per le mie piccole mani e per le mie possibilità tecniche. Come ho già detto, mio padre, dopo la morte del piccolo “Guiduccio” ebbe una stasi nella sua vena compositiva. Pare che la prima cosa che compose dopo questo periodo sia stato un breve pezzo che egli intitolò “Pensiero elegiaco” che è pervaso da struggente malinconia ed è scritto in tono minore: tutti elementi insoliti nella sua creatività. Quindi possiamo dire che, dopo il 1915, egli non scrisse più opere di rilievo strutturale: si dedicò piuttosto alla sua rivista «L’Arte Pianistica», a molte revisioni e alla didattica. Siamo ormai al dopoguerra e la musica si avviava a percorrere in modo inarrestabile, un profondo cambiamento. Le nuove tendenze europee erano tali da non poter essere accettate da lui, così tenacemente radicato alla tradizione. D’altra parte egli, per i suoi tempi, fu quasi un innovatore, in quanto sostenne autori come Wagner e Brahms e ne diffuse in tutti i modi la conoscenza; sia quando era allievo al Conservatorio che dopo, come insegnante: nella sua classe venivano costantemente suonate le opere di Wagner. Io stessa ricordo delle bellissime esecuzioni del “Lohengrin”, de “La Walkiria” e del “Tristano e Isotta” che fecero nascere anche in me un grande amore per questa musica. Così come non posso dimenticare il culto che egli aveva per gli autori romantici, primo fra tutti Schumann. Naturalmente anche la tradizione musicale italiana ebbe un peso notevole sulla sua personalità e questo viene documentato dal suo impegno per ritrovare i manoscritti ancora sconosciuti delle sonate di Domenico Scarlatti, di cui curò un’edizione integrale, edita da Ricordi. Gli ultimi anni della sua vita furono allietati dalla nascita dei miei figli che per lui furono i primi nipoti. Così io, malgrado fossi l’ultima nata, ho avuto il piacere di renderlo nonno, cosa che gli procurò molta gioia. Myriam Longo |
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