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’U ciucciu ’i San Giuvanni

 

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Il “ciuccio” in via Vittorio Emanuele in una recente riedizione “moderna”

Questa manifestazione, che ormai si svolge a singhiozzo per l'interesse di qualche nostalgico, una volta costituiva un appuntamento folkloristico-religioso dei primi giorni d'estate. Totò ce la racconta così.

 

L'estate amanteana, a cavallo degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, era dominata da feste religiose i cui confini tra il sacro e il profano non sempre erano percepiti.

“S. Antonio” e il “Corpus Domini” erano i pezzi forti della parrocchia di S. Biagio; “San Giovanni” e “San Rocco”, passando per la “vamparita” dei SS. Pietro e Paolo, quelli di S. Maria La Pinta (Cappuccini).

Erano vagabondaggi estivi di cui soprattutto i ragazzi approfittavano per riempire le strade di colore, di allegrie, di speranze, di baldorie, ma anche occasioni per mostrare chi sapeva organizzare meglio quelle feste.

Ventura

La Festa di S. Giovanni Battista si articolava in due giornate:

- il 23 giugno era dedicato allu “ciucciu”;

- il 24 al Battesimo delle bambole, alla processione solenne, ai fuochi pirotecnici.

“Ninella zocculìa lla silica appenninu”

annunciando l'arrivo, tanto atteso, (per i festeggiamenti di S. Giovanni), della

“... solita zampogna cularusa

..., scinnuta alla marina”

Siamo ancora mezzo addormentati, ma la voce dei vicini arriva nitida come quella di Ventura che, come ogni anno, con la sua camicia bianca della festa e col suo mezzo toscano in bocca, accompagnava per le vie del paese “i zampugnari”.

“Mentre staju ccussì tra dormebbiglia,

trase ru suonnu duce de ’na gaglia

m'accarizze re ricchie, me rispiglia,

ppè forza de va vide quale ’ncantu,

a ttiempi ’e mo lontani ’u ’sse sa quantu.”

(V. Butera)

Così comincia la festa “du ciucciu ’i S. Giuvanni” fatta di onori, di balli, di canti, ma anche di dolci e di frutta (ciliegie, albicocche, “primifiori” e “pirilli ’i San Giuvanni”).

“’U ciucciu” era un fantoccio, a forma d'asino, costruito con canne e cartapesta. Ai lati, sulla coda, nelle orecchie, in bocca, erano messi moltissimi bengala che venivano accesi durante la processione.

Antonio Bossio

Antonio Bossio (in primo piano) aspetta il suo turno per fare ballare “’u ciucciu”
(foto inizio anni ’60)

Sotto era cavo ed una persona si alternava infilandosi sotto il “ciucciu” per farlo danzare. Nella testa il petardo che alla fine esplodeva assieme ad essa ed a quello che rimaneva del feticcio.

Noi lo aspettavamo nel nostro quartiere per poi seguirlo, in processione, fino a piazza Cappuccini.

L'entrata “du vicu da Taverna” era sempre trionfale; alla Calavecchia, per voto, sotto il “ciucciu” ballava quasi sempre Antonio Bossio (’Ntoni cap’i vacca).

Le note stridenti del piffero e quelle cupi e gravi della zampogna scatenavano balli beneaugurati.

Tutti, a cerchio, cantando e battendo le mani, partecipavano a quella danza, quasi isterica, che ricordava un po' alla lontana quelle degli stregoni indiani. Erano movenze sinuose, ma sgraziate che, ora più lente ed ora più veloci (a seconda dello stato d'ebbrezza del “coreografo”) attiravano l'attenzione di quel pubblico che si era adunato attorno al fantoccio a forma d'asino.

Non mancava il tavolo su cui, nel momento del riposo, veniva posto, troneggiante, lui, il re della serata: ’u ciucciu.

E si aspettava (come d'altronde succedeva in tutte le “stazioni”) che “Taluzza” scendesse le scale con il bottiglione del vino, da offrire per “bonaguriu”, a tutti, prima fra tutti “i zampugnari”, “’Ntoni” e “Don Ciccio Trà-trà” le cui spalle reggevano la “grancassa”.

La meta finale era piazza Cappuccini dove si concludeva la cerimonia e si scioglieva la processione.

Qui lo spettacolo era assicurato dall'alternanza di tutti coloro i quali avevano fatto ballare “’u ciucciu” e dalle scoppiettanti “fontanelle” di bengala che illuminavano i volti di quelli che continuavano a gridare a squarciagola “W ’u ciucciu ’i San Giuvanni”.

E si aspettava la fine quando, accesa la miccia della “bomba” che era stata posta nella testa del fantoccio, esso esplodeva in aria mandando tutto in frantumi.

Tutti i ragazzi correvano a recuperare qualche trofeo da conservare; purtroppo, una volta, qualche petardo poco funzionante, è esploso nelle mani di un ragazzo che perse alcune dita della mano.

Poteva succedere anche questo.

Tutto il resto era festa.

Totò Sciandra
Giugno 2003