DENSO: IL FALLIMENTO DEL SINDACATO

di Andrea Parola


E’ accaduto alla Denso di Poirino, la più grande e importante azienda manifatturiera del Chierese, produttrice di componentistica auto e che conta oggi ca.1400 dipendenti. In occasione del recente referendum sul contratto integrativo, sono venuti alla luce i limiti e le contraddizioni di un sistema ormai obsoleto e inefficace di tutela dei lavoratori, esercitato da una rappresentanza sindacale ancorata a vecchie ideologie, che non trovano più spazio in un concetto di sviluppo e di crescita del tessuto industriale italiano e dell’economia in genere.



I fatti: dopo due anni di assenza di un contratto integrativo aziendale, scaduto a maggio del 2010, in Denso Thermal Systems, nel mese di marzo, le parti hanno siglato un’ipotesi di accordo, costata sei lunghi mesi di lavoro (Fiom ha ritirato la propria firma appena dopo aver siglato il contratto), illustrata ai lavoratori riunitisi in assemblea il giorno 10 aprile u.s.

Trattasi di un impianto contrattuale piuttosto corposo e orientato esclusivamente allo sviluppo e alla crescita dell’azienda. Erano infatti state escluse, fin dall’inizio dei lavori, tutte quelle richieste sindacali non orientate verso questo traguardo. Il contratto porta in se anche delle novità piuttosto interessanti, come per esempio l’erogazione, dal prossimo anno fiscale, di un premio di risultato (PDR) proporzionale alla partecipazione individuale di ciascun lavoratore agli obiettivi dell’azienda, misurata con le ore di presenza in azienda.

Il giorno successivo all’assemblea veniva indetta una giornata di consultazione referendaria, per dare voce ai 1400 lavoratori e per decidere se accettare o meno il contratto suddetto. Il referendum ha deciso per il NO, con uno scarto minimo di 71 su 1185 voti, dei 1385 aventi diritto fra gli stabilimenti di Poirino e di Carmagnola.

Nei giorni immediatamente successivi al referendum è successo di tutto. Dichiarazioni dei lavoratori che dicono di aver espresso un voto sulla base di informazioni parziali e fuorvianti, controdichiarazioni dei rappresentanti sindacali di aver spiegato bene le caratteristiche dell’accordo. Insomma, la maggioranza dei lavoratori ha cominciato col dire che, per esempio, era stato loro detto, ancor prima dell’assemblea, che anche nel caso di vittoria dei NO, il PDR sarebbe stato ugualmente pagato. Ricordiamo che il premio previsto per l’anno fiscale appena finito era stato fissato in 1.400 euro.

L’azienda, da parte sua, è uscita qualche giorno dopo con un comunicato, sul quale precisava che l’erogazione di qualsiasi premio sarebbe stata, come d'altronde chiaro nel contratto, subordinata alla firma dell’accordo.

C’è stato allora bisogno di una ulteriore assemblea, tenutasi sui tre turrni di lavoro, il giorno 20 aprile, dove la stragrande maggioranza dei lavoratori ha chiesto di annullare il voto espresso nel recente referendum, motivando la richiesta proprio con la cattiva e depistante informazione ricevuta nei giorni precedenti e il giorno stesso dell’assemblea informativa. Da ognuna delle assemblee sono poi state chieste ad alta voce le dimissioni delle RSU, che hanno chiesto scusa, a parte la Fiom, per i numerosi malintesi, prendendosi la responsabilità del fallimento dell’accordo.



Vista la situazione delicata, successivamente a queste richieste il sottoscritto, con l’aiuto di qualche collega volontario, ha formato un comitato promotore a sostegno di questa iniziativa per chiedere l’annullamento del referendum. Il giorno 23 aprile ha raccolto, all’esterno dei due stabilimenti, 979 firme, corrispondenti al 71% dei lavoratori in forza, consegnandole poi alle tre organizzazioni sindacali e per conoscenza alla Direzione Denso, dando mandato a Fim, alla Fiom e alla Uilm, di trovare una soluzione per porre fine a questa incresciosa situazione di stallo.

La Fiom, da parte sua, non ha accettato di ritirare la documentazione cartacea e il comitato è stato costretto ad inviarla, via raccomandata, alla loro sede di Torino.

Ora stiamo a vedere ciò che accadrà. La cosa più ragionevole sarebbe quella di rifare il referendum, oppure, se i lavoratori saranno d’accordo, ratificare il contratto senza una ulteriore consultazione di voto.

Alcuni giornali si sono occupati del fatto, come il Corriere di Chieri e La Stampa. Venerdì scorso proprio il Corriere ha pubblicato un artico interessante sulla vicenda. Vedi il link del breve riassunto apparso sul sito web.

Al di la di tutte le considerazioni sui fatti accaduti, che ritengo comunque poco edificanti e piuttosto irrispettosi nei confronti dei lavoratori, volendo dare un giudizio globale sulla situazione, credo che nessuno abbia ancora dei dubbi sul fatto che un sindacato di contrapposizione per principio e soprattutto spaccato in due, non è più all’altezza di affrontare la situazione di profonda crisi economica che tutti noi stiamo soffrendo e tantomeno il radicale cambiamento del mondo del lavoro che ne sta conseguendo.

Le ultime vicissitudini in Denso dimostrano che, di fronte al passo imposto dalle nuove regole commerciali, i lavoratori chiedono a gran voce di partecipare a questo cambiamento come protagonisti, per poter scegliere e decidere per il proprio futuro e quello di chi li seguirà e non intende più permettere una disinformazione di questo tipo su ciò che accade, dentro e fuori lo stabilimento e ancor meno di ricevere indicazioni guida false e tendenziose, che impediscano al loro intelletto di ragionare in modo indipendente.

I lavoratori devono imparare a pretendere un’informazione corretta e comprensibile, che permetta di partecipare alla vita aziendale in modo più consapevole, moderno, diretto e, perché no, orgoglioso, proprio a partire dalle assemblee. Da parte delle organizzazioni sindacali, dividere i lavoratori è sbagliato! Ci sono regole nuove e più flessibili da trovare, attraverso sforzi comuni e obiettivi condivisi. Senza questo il destino è segnato.

Per tutti i lavoratori, lavorare senza la determinazione e la serenità dovute, significa portare al fallimento quegli obiettivi di crescita e di sviluppo dei prodotti, in termini di innovazione e di qualità, che vengono chiesti di continuo da parte del mercato, cioè dai clienti.

E’ quanto mai ora necessario fare un salto di qualità da parte di tutti, sindacati, lavoratori e datori di lavoro. Dobbiamo creare traguardi comuni, migliorare le nostre condizioni di vita, partecipando di più all’attività e alle scelte strategiche aziendali.



Alla base di tutto questo c’è l’informazione!

Insomma, il lavoro non può essere destinato ad diventare un rapporto commerciale, una merce di scambio fra il lavoratore e il datore di lavoro, come accade normalmente nel nostro paese. Al centro del sistema produttivo ci deve essere l’uomo, la risorsa, senza la quale gli obiettivi di crescita e di sviluppo non possono essere raggiunti.

Pensiamo alla distanza che, in merito a questi aspetti, c’è fra noi e la Germania, dove quasi un’azienda su due non aderisce ad alcun contratto collettivo. Ciò significa che un’azienda su due ha un contratto individuale o di settore. Ma questo non impedisce una forte partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali. La Cogestione, come viene chiamata (Mitbestimmung), si basa soprattutto sulla corresponsabilità fra dirigenti e rappresentanti sindacali dei lavoratori e sulla trasparenza, per non rischiare l’instabilità aziendale.

Un sistema che ha le radici nella responsabilità condivisa e sull’informazione chiara e puntuale, per dare vita ad un moderna relazione industriale, oggi più che mai indispensabile per un metodo basato sulla meritocrazia.

Si badi bene che, anche se in Germania i sindacati siedono nel CdA, ciò non significa che ci sia fratellanza; i sindacati hanno subito molte sconfitte anche li e anche li, come negli altri paesi europei, i salari sono aumentati più lentamente rispetto alla produttività, però sono più bravi di noi a fare impresa, puntano tutto sulla qualità, ma mettono anche a disposizione gli strumenti giusti in mano a chi è preposto a raggiungere questi traguardi.

C’è un aspetto importante che gioca a favore dei lavoratori tedeschi ed è quello del forte senso di appartenenza, il senso della collettività e dell’unione. Il senso di sentirsi orgogliosamente parte di un sistema.

Anche noi dobbiamo pretendere di sentirci parte del sistema produttivo, ma questo deve avvenire, ancor prima di avere gli strumenti per farlo, dalla nostra iniziativa personale, da una nostra crescita individuale e da una nostra personale maturazione di lavoratori. Ecco il compito futuro per i sindacati: generare informazione chiara e comprensibile, con lo scopo di elevare la cultura aziendale a supporto della crescita dell’impresa.

(30 Aprile 2012)
© Copyright Alteritalia