COSI' FINISCE LA GLORIA
di Alberto Mannoni

Il satrapo mezza cartuccia è scappato dal palazzo, e si nasconde nel giardino incolto, con i cortigiani di ieri che si fronteggiano al sole, senza il coraggio di staccare la spina, come l'antico sodale rimprovera.

Ma anche la sua statua rischia la polvere, le crepe dei fischi staccano pezzi di trabeazione dal tempio padano, l'ampolla dell'acqua-sangue del dio non basta ad impastare il consenso, e il secondo ufficiale scrive come sue pagine del giornale di bordo, anche se ancora non può uccidere il Padre.



Così finisce la gloria dei due maggiori protagonisti della Seconda Repubblica: doppiopetto e canottiera, le due divise di una stagione costruita sui proclami vuoti e le riforme di sabbia, i processi infiniti, gli ossimori di lotta e di governo.

Sic transit gloria mundi, disse la mezza cartuccia commentando la fine dell'ex (quanto in fretta) amico beduino, a cui baciava disgustosamente la mano giusto un anno prima, e la battuta non certo originale si potrebbe applicare a lui.

Epilogo scontato? Forse. Loro si erano abituati bene, però. Noi un pò meno, e chissà se è veramente finita...
Viene in mente il film Arrapaho (1984) in cui un capo indiano piange la salma della moglie senza convinzione, e avvicinandosi ogni tanto si china chiedendo "ma SEI morta?"


(29 Gennaio 2012)
© Copyright Alteritalia