LA FESTA DEL RINGRAZIAMENTO:
all’origine della mentalità di un popolo

di Cinzia Rita Gaza

La pretesa di partire da un tacchino per parlare della mentalità di un popolo complesso come quello degli Stati Uniti può apparire quanto meno bizzarra. Tuttavia la storiografia contemporanea, sulla scia di Annales, sempre più tende a dare rilevanza a quegli elementi di una civiltà che potremmo definire “inconsci” in quanto comunemente accettati e non filtrati da pubbliche prese di posizione ideologica.



Le feste costituiscono una chiave di lettura per la comprensione del comune sentire di un popolo e, dunque, del suo carattere e delle sue inclinazioni. L’atto festivo è, di là dagli aspetti istituzionalizzati e organizzati dal potere, un momento spontaneo e pertanto è spesso una spia di quanto viene realmente condiviso a livello collettivo, indipendentemente dalla retorica ufficiale.

Il Thanksgiving Day è festa pressoché circoscritta agli Stati Uniti e tuttavia non è festa nazionale. Festa nazionale è il 4 luglio, giorno dell’Indipendenza, che, come tutte le feste nazionali, celebra unità, valori, istituzioni, gerarchie. Essa svolge la funzione di veicolare la memoria pubblica attraverso le generazioni, sollecita e organizza il consenso, legittima il sistema. E’ festa dichiarativa del riconoscimento di se stesso da parte del popolo come nazione e come società civile.

Il Thanksgiving è piuttosto festa identitaria, il cui ambito non è limitato all’affermazione di quei contenuti che, sotto forma di fedi, valori, relazioni, risultano essere i tratti pertinenti di un popolo. Ancora di più, esso ne definisce i confini, segnandone l’irriducibile differenza rispetto all’alterità. Celebrando un mito fondativo, il Thanksgiving Day evidenzia un connotato esclusivo dell’identità, laddove esclusivo significa, in senso proprio, che appartiene solo a un certo popolo, che esclude gli altri.



Viviamo in un momento storico in cui, da un lato, il senso di appartenenza nazionale è eroso dal declino del ruolo delle stesse nazioni, messo in crisi dai processi di globalizzazione, e in cui, parallelamente, si afferma con potenza il senso di appartenenza etnica, religiosa, linguistica. Per questa ragione pare quanto mai opportuno comprendere la nuova enfasi che sottolinea eventi di natura identitaria. Sotto questo aspetto il Thanksgiving, che è festa intima e famigliare, è anche memoria e celebrazione di una frattura consapevole e determinata dei primi coloni dal mondo da cui giungevano, l’Europa.

I passeggeri del Mayflower, indicati poi come i “Padri Pellegrini”, “pellegrini dalla terra al cielo”, come essi stessi si definirono, erano in massima parte originari del villaggio di Scrooby, nell’Inghilterra centrorientale. Essi erano membri di una delle comunità cosiddette “separatiste” rispetto alla chiesa anglicana, a cui rimproveravano di essere ancora troppo “cattolica”, immorale, corrotta e coinvolta nella politica. La fondazione della loro “chiesa purificata” provocò atti persecutori da parte del governo inglese.



Per mettersi in salvo dalla persecuzione ma, soprattutto, per sottrarsi alla corruzione dominante, nel 1609 la comunità di Scrooby decise di abbandonare l’Inghilterra per trasferirsi a Leyda, in Olanda, nel cui ambiente tollerante ebbe finalmente libertà di culto. Ben presto, tuttavia, una nuova forma di pericolo parve minacciare i separatisti: essi cominciarono a temere che i loro figli fossero influenzati proprio dall’eccessiva libertà di pensiero olandese. A questo punto l’America parve offrire loro il luogo adatto per la fondazione di una comunità legata dalla devozione e dalla purezza della fede, lontano da ogni forma di influenza corruttrice del Vecchio Mondo.

Il 9 dicembre del 1620 il Mayflower giunse sulla costa del Massachussetts. I suoi passeggeri, fondandovi la colonia che prese il nome di Plymouth, diedero luogo al primo successo insediativo degli Inglesi nelle Americhe. Non si trattava in realtà del loro primo tentativo di colonizzazione dell’America Settentrionale. A partire dal 1585, ma soprattutto agli inizi del Seicento, la Corona inglese, il cui interesse per le colonie era ancora scarso in rapporto a quello di Spagna, Portogallo e Olanda, diede le coste del Nord America in concessione a compagnie private, le quali finanziarono spedizioni di coloni con il progetto di ricavare profitti dalle ricchezze che questi avrebbero trovato nel Nuovo Mondo.

Per conseguenza i coloni, anziché preoccuparsi di gettare le basi della propria sopravvivenza, si dedicavano all’affannosa ricerca di quelle ricchezze che avrebbero convinto i finanziatori a inviare rifornimenti, a investire ancora. Essi setacciavano ogni corso d’acqua alla disperata ricerca di oro, esploravano l’interno, cacciavano animali da pelliccia. Le loro aspettative andarono deluse e i finanziatori li abbandonarono. Esemplare, in questo senso, è la sorte della colonia di Jamestown, in Virginia, la cui popolazione fu quasi interamente cancellata dalla fame, dalle malattie e dagli attacchi indiani.

A differenza di questi primi pionieri, i Padri Pellegrini potevano contare su di un potente fattore di successo: la religione. Essi non erano spinti dalla necessità di rinvenire rapidamente ricchezze tali da allettare investitori. Al contrario, la ricerca della ricchezza era totalmente aliena dalle loro convinzioni religiose. Il loro scopo era quello di vivere in “dolce comunione” tra loro, in totale autonomia dalla madrepatria.



Questo aspetto fu quello che probabilmente contribuì in misura maggiore a motivare questi coloni nella loro resistenza alle avversità ambientali e alla mancanza di mezzi di sopravvivenza. Dei centouno uomini, donne e bambini sbarcati, circa la metà non sopravvisse al primo inverno, peraltro abbastanza mite rispetto alle medie climatiche del New England. I superstiti poterono comunque contare sull’aiuto dei nativi, i Wampanoag, che insegnarono loro a nutrirsi con i prodotti che il nuovo mondo offriva e li aiutarono nella coltivazione del mais e nella caccia ai tacchini selvatici.

Effettuato il primo raccolto, tra la fine dei settembre e l’inizio di novembre del 1621 i coloni organizzarono una festa per ringraziare i nativi del loro aiuto. L’evento è documentato e descritto da una lettera di uno dei coloni, Edward Winslow, il quale racconta, senza peraltro fornire dettagli, di una festa durata tre giorni a cui presero parte, insieme ai cinquanta coloni superstiti, circa novanta Wampanoag. Altre informazioni ci giungono da William Bradford, governatore della colonia di Plymouth, che nel 1630 cominciò a scriverne le memorie.

La festa, in realtà, non costituiva in sé un elemento di novità. Per quanto ostili alla loro terra di provenienza, i pellegrini erano tuttavia Inglesi e come tali portatori di usanze e tradizioni difficili a obliterarsi per semplice scelta ideologica. Finiti i lavori del raccolto, intorno alla festa di San Michele, che cade il 29 settembre, in Inghilterra era uso celebrare una festa di tre giorni a cui prendeva parte l’intera comunità del villaggio e in cui venivano preparati cibi semplici ma abbondanti: pane, carne e birra. Non stupisce, dunque, che i coloni abbiano ricreato qualcosa che era loro famigliare e che, in un certo senso, consideravano alla stregua di un’ovvietà. Del resto, è attraverso la nostra conoscenza delle feste inglesi del raccolto che possiamo colmare molti dei vuoti documentari dell’autunno 1621.

In particolare è lecito supporre che il cibo servito fosse cucinato secondo la maniera inglese, dato che la formazione culinaria delle quattro massaie sopravvissute che sovrintesero alla sua preparazione era quella della middle class inglese.



Per quanto riguarda una plausibile ricostruzione del menu, non resta che fare riferimento alle materie prime a disposizione dei coloni. Il Nuovo Mondo offriva mais, tacchini e altra cacciagione, zucche, uva selvatica, frutta secca e frutti di bosco, aragoste e svariate qualità di pesce mentre è possibile che delle provviste caricate sul Mayflower fossero ancora disponibili spezie, maiale salato e formaggio olandese. Tuttavia, nella gerarchia simbolica dei cibi, i latticini, i pesci e le verdure occupavano un livello piuttosto basso ed erano considerati più adatti al consumo quotidiano che a un giorno di festa, perciò verosimilmente non furono utilizzati per il banchetto.

Nonostante i Padri Pellegrini fossero intrisi di profonda religiosità, pare poco probabile che con questa prima festa del Ringraziamento intendessero creare una nuova festa cristiana. Essa si inseriva piuttosto nella continuità di una tradizione le cui origini vanno cercate nel sostrato pagano che le campagne europee conservarono molto a lungo anche dopo la loro cristianizzazione. Tuttavia, il precedente del 1621 non tardò a fornire la base per la fondazione di un separatismo religioso anche in ambito festivo.

La colonia di Plymouth cessò di celebrare il Natale, la Pasqua e Ognissanti, feste che la chiesa anglicana aveva conservato e che i Pellegrini bollavano come “papiste”. In questo contesto, la festa del Ringraziamento assunse il ruolo di celebrazione religiosa, quasi un anti-natale, che si diffuse nelle quattro colonie del New England ma che rimase estraneo alle altre, il cui popolamento più variegato dal punto di vista religioso aveva favorito la conservazione del calendario festivo inglese. Paradossalmente si potrebbe affermare che l’estremismo cristiano nordamericano, nell’ansia di sottrarsi all’influenza anglicana, abbia preferito ancorare la sua più importante festa religiosa a sopravvivenze pagane piuttosto che al retaggio cristiano.

La lettera di una ragazzina di Boston ci rivela che, ancora nel 1779, gli ospiti newyorkesi della sua famiglia non avevano mai visto un pranzo del Ringraziamento poiché erano soliti celebrare il Natale. Dalla stessa lettera apprendiamo che, per quanto qualche membro della comunità tentasse di fare della festa del Ringraziamento un giorno di digiuno e preghiera, l’orientamento prevalente era quello, in controtendenza rispetto alla severità religiosa che permeava l’ambiente, di dare spazio al pranzo abbondante, a giochi, canti e divertimenti.



Pochi anni dopo, nel 1795, George Washington dichiarò il Giorno del Ringraziamento festa per tutta la nazione e, nel 1939, F. D. Roosvelt ne stabilì definitivamente la data nel quarto giovedì di novembre che, nell’attuale melting pot religioso e consumistico statunitense, dà anche inizio al periodo degli acquisti natalizi.

Se la festa del Ringraziamento rappresenta una manifestazione di allontanamento dalla culla europea, ben altri e più significativi atti dovevano portare il Vecchio e il Nuovo Mondo ad attestarsi su diverse sponde, tanto che oggi la parentela etnica, religiosa, linguistica e culturale non basta ad assicurare reciproca comprensione. La consapevolezza di appartenere a un’unica civiltà cosiddetta occidentale non riesce a evitare una sottile diffidenza di fondo, un certo disorientamento verso i rispettivi atteggiamenti.

Tra i fattori che hanno prodotto questo allontanamento, alcuni sono prodotto di scelte consapevoli dei coloni, altri furono generati dalle necessità dell’adattamento ambientale al Nuovo Mondo.

Gli Statunitensi presero con lucida determinazione le distanze dall’Europa, terra di conflitti e tirannidi, poiché essa avrebbe potuto, con la sua influenza, incrinare la saldezza delle loro istituzioni e mettere a rischio la loro pace. Tutta la storia degli Stati Uniti è segnata dalla scelta precisa di “stare alla larga” dall’Europa. George Washington, nel suo Farewell Address del 1796, così ammoniva i propri concittadini: «Perché, intrecciando il nostro destino con quello di qualche parte dell’Europa, impegnare la nostra pace e la nostra prosperità nelle trappole delle ambizioni, della rivalità, degli interessi, delle suscettibilità o dei capricci dell’Europa?»

Molte opere di intellettuali del tempo, d’altra parte, considerano l’isolamento degli Stati Uniti come indispensabile per preservarli dalla dilagante corruzione e dalla rissosità degli europei. Nel 1823, la Dottrina Monroe doveva ribadire con forza questo intento e tracciare le linee di una politica estera nei confronti dell’Europa all’insegna dell’isolazionismo che, con la breve parentesi della presidenza Wilson e dei dieci mesi di partecipazione alla Prima guerra mondiale, sarebbe durata fino agli anni Quaranta del secolo scorso.



Se l’isolazionismo statunitense originò dalla disapprovazione che la condotta europea seppe suscitare, ciò che trasformò i coloni del Vecchio Mondo in cittadini americani fu l’impossibilità di trapiantare nel nuovo ambiente le istituzioni e le strutture sociali tipiche dell’Europa.

Non si vuole qui rispolverare la tesi ormai passata di moda del determinismo geografico. Tuttavia è innegabile che la fitta rete di controllo che le istituzioni potevano mantenere sulla piccola e densamente popolata area degli Stati europei diventava inapplicabile sui vasti e spopolati territori americani. Gli stessi rapporti economici tradizionali risultavano stravolti: come riprodurre le stesse strutture dell’Europa, in cui la terra scarseggiava e la manodopera era eccedente, nell’America in cui, a fronte di una critica penuria di braccia, c’erano terre sconfinate?

Il wilderness imponeva l’auto-organizzazione di piccoli gruppi, residenti in villaggi o fattorie relativamente raggruppate. Da questa condizione oggettiva nacquero il senso di individualismo, la tendenza all’autonomia e all’autosufficienza, la solidarietà locale che ancora oggi paiono caratterizzare la società statunitense.

La prospettiva della cultura e della mentalità statunitensi come prodotto del distacco dalla matrice europea ci autorizza, forse, a considerare la festa del Ringraziamento non declassandola a semplice manifestazione del folklore ma riconoscendola come tratto pertinente dell’identità di questo popolo. Sospesi come siamo tra omogeneizzazione globale ed emergenza delle diversità locali, non sappiamo bene nemmeno quale esito augurarci. Quello che è certo è che non possiamo più permetterci di liquidare il discorso dell’identità come irrilevante ai fini della comprensione del nostro momento storico.


(31 Ottobre 2011)
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