DECODIFICHIAMO LA NUOVA COMUNICAZIONE
di Emanuela Costantini
T.v.t.b. … “a k h c vdm?” … “posso avere la tua amicizia?” … Non si tratta della traduzione, in diverse lingue, della stessa frase, ma di un nuovo “gergo” utilizzato dai ragazzi per comunicare pensieri, stati d’animo, l’ora di un appuntamento o per avviare un nuovo rapporto di amicizia: il vecchio “pen friend” è diventato l’e-friend, ovvero un nuovo amico che si incontra nel corso di una “navigazione in rete”. Situazioni che ci confermano la crescente voglia di comunicare ma anche la paura di essere inadeguati. Perché le cose che ci circondano parlano di bellezza, successo, soldi: l’identikit è quello proposto negli spot pubblicitari e nei meeting aziendali.
Fortuna che qualcuno ha iniziato ad abbandonare questi cliché elogiando l’individualità ed avviando una nuova tendenza: quella verso l’anticonformismo.
Non se ne può più di vedere sfilare per strada ragazze che sembrano uscite dalla copertina di una rivista di moda: capelli pettinati allo stesso modo, occhiali da sole da diva, pantaloni extra small. Atteggiamenti che comunicano la mancanza di una vera autostima, di una propria identità.
Ed è proprio questo il punto: comunichiamo senza ascoltare sia il nostro “io” che ciò che veramente meriterebbe la nostra attenzione, utilizziamo nuovi codici senza conoscere quelli per così dire vecchi, quelli che sono alla base della vera comunicazione che è – per definizione – “ uno scambio di informazioni con l’intenzione di mettere in contatto due o più persone”.
Pensiamo alla comunicazione giornalistica o a quella pubblicitaria. Da una parte c’è l’intenzione di informare, di far sapere cosa accade in un determinato momento nel mondo o in una parte di esso; dall’altra c’è l’esigenza di far conoscere un nuovo prodotto per convincere i consumatori ad acquistarlo.
Il punto di partenza dei due percorsi comunicativi è lo stesso, ma cambia l’obiettivo: nel primo caso si manifesta l’esigenza di raccontare un avvenimento – magari battendo sul tempo la “concorrenza” -, nel secondo invece la necessità è quella di far acquistare un determinato prodotto.
Bisogna poi distinguere l’informazione dalla necessità di effettuare un’azione. Per esempio il fatto che la ditta X ci consigli di provare il prodotto Y date le sue eccelse qualità, non significa che noi poi siamo obbligati a farlo. Così come se la moda propone una certa tendenza non significa che chi non segue le indicazioni dei grandi stilisti è demodé!
Dobbiamo cioè “ascoltare” con attenzione ogni informazione mettendola in relazione con l’autore della stessa e con le nostre idee, i nostri principi, altrimenti rischiamo di non capire e soprattutto di interpretare in modo sbagliato il senso della comunicazione stessa.
Come fare? Magari “rispolverando” il nostro caro vecchio italiano spesso soppiantato da termini di origine straniera. Un esempio? Pc, stop, e-book, app, must, mood, vintage … per citarne solo alcuni.
Il punto non è abbandonare queste parole o i mezzi ai quali spesso sono affiancate, cioè telefonini, tablet o pc (cosa saremmo senza il nostro pc o la nostra connessione super veloce?!). La questione semmai è rivederne l’uso, cercare di utilizzarli al meglio scoprendo magari potenzialità inutilizzate e soprattutto riscoprendo in noi potenzialità inespresse, come la nostra capacità di pensare, ragionare, parlare. Magari potremmo scoprirci grandi oratori o sapienti parolieri. E forse riusciremmo anche a comprendere meglio alcuni spot pubblicitari, quelli che nascondono richiami ad una cultura lasciata in soffitta ad impolverarsi.
Allora, complice il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, riprendiamo a comunicare utilizzando magari anche la “modalità” italiana. Chissà che non scopriamo di essere più bravi di quanto credevamo.
(31 Ottobre 2011)
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