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- 03 agosto 2001 - Relazione su Disegno di legge n. 374 - ( Originale a: http://notes3.senato.it/leg/14/Bgt/Schede/Ddliter/14808.htm )

DISEGNO DI LEGGE - N. 374




Onorevoli Senatori. – Lo schema di disegno di legge si compone di tre capi concernenti:
        a) (legge obiettivo) individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti industriali strategici;

        b) la denuncia di inizio attività in materia edilizia;
        c) modifiche al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di residui di imballaggi.

Capo I

LEGGE «OBIETTIVO»

    1. Da circa trenta anni non si realizzano, in Italia, grandi opere pubbliche. All’estero avviene l’opposto. Restando così, il nostro Paese, invece di modernizzarsi, si isola e progressivamente declina.

    Dopo l’unità d’Italia, e sulla base di una apposita legislazione, sono state realizzate le «grandi opere di unificazione» del Paese. Ora lo scenario è cambiato:

        a) servono grandi opere, oltre che di unificazione, di apertura del Paese al crescente traffico europeo;

        b) serve una legislazione speciale per realizzarle, perché quella esistente è paralizzante;
        c) in questa strategia, un ruolo-chiave può (e deve) essere giocato, oltre che dallo Stato, dalle regioni e dal coordinamento delle regioni interessate.

    Dati questi obiettivi, lo strumento per realizzarli è costituito dalla «legge-obiettivo», base della necessaria strategia di modernizzazione del Paese.

    L’introduzione all’interno dell’ordinamento giuridico italiano di questo nuovo strumento è l’oggetto specifico della presente proposta di legge. Si tratta di uno strumento radicalmente innovativo, capace di superare la situazione attuale, che si configura in termini oggettivamente paradossali:

        a) il bisogno di interventi è fuori discussione. Basti pensare al traffico;

        b) a monte, c’è disponibilità di capitali, pubblici e soprattutto privati, mobilizzabili con la tecnica del project financing;
        c) a valle, si possono attivare, e su vastissima scala, gli appalti, perché c’è ampia disponibilità di risorse industriali (asset, know-how,eccetera);
        d) il deficit si trova fuori dall’economia ed è, insieme, un deficit politico ed un deficit giuridico.

    Un deficit politico. Sono finora mancate una visione politica d’insieme, il coraggio per pensare in grande, un disegno per riaprire il territorio del Paese ai grandi e crescenti flussi del traffico europeo.

    E poi c’è il deficit giuridico. È finora mancato, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, uno strumento giuridico funzionale al raggiungimento di grandi obiettivi di modernizzazione strutturale. All’opposto, il territorio è disseminato di paralizzanti, vischiosi e paludosi ostacoli giuridici.
    È così che un consiglio di quartiere può bloccare un comune, un comune può bloccare una provincia, una provincia può bloccare una regione, una regione può bloccare lo Stato. Un teatro in cui gli ostacoli giuridici e, intorno a questi, le più varie forme del particularisme politico, si sommano sistematicamente in un gioco «a somma zero».
    È così che abbiamo i difetti, senza i pregi, tanto del centralismo quanto del localismo. E, si noti, questo non è «federalismo», ma la sua caricatura; ovvero il suo opposto. Perché il federalismo non è chiusura ma, all’opposto, apertura dei territori alla più intensa possibile circolazione delle persone, delle merci, delle idee. E poi, ancora, il federalismo è concorso efficiente al disegno di modernizzazione, insieme con lo Stato, delle regioni interessate e, se necessario in funzione dell’estensione geografica delle opere, del loro coordinamento. È anche per questa ragione che il coordinamento tra regioni costituisce, nel nostro disegno politico generale, la forma nuova, più moderna e più vitale, di un «federalismo» che intendiamo anche come strumento di governo della modernizzazione.
    2. La legge «obiettivo», il nuovo strumento giuridico che proponiamo di introdurre all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, è costruita in una logica radicalmente innovativa. Mirati gli obiettivi (si prevede in particolare di identificarli, anno per anno, in un elenco da inserire nella legge finanziaria); la legge «obiettivo» consente di superare tutti gli ostacoli giuridici e, conseguentemente, di realizzare concretamente e velocemente i progetti-obiettivo.
    Nella logica della legge «obiettivo», la legittimità politica e giuridica dell’opera è, infatti, nell’opera in sé, in quanto identificata come obiettivo strategico. Tutte le altre leggi, causa sistematica di ostacolo, vengono conseguentemente disapplicate. Restano fermi solo i princìpi comunitari, i princìpi costituzionali, ed i princìpi del codice penale.
    La previsione di una delega per introdurre una legislazione diversa da quella vigente, e quanto più possibile «snella» e veloce, mira all’obiettivo di rispettare i vincoli comunitari con il possibile minore effetto di immobilizzo a carico dell’economia italiana.
    3. Va aggiunto che lo schema operativo su cui proponiamo di muoverci non è quello «dirigista», dello «Stato-appaltatore». L’intervento pubblico deve essere infatti limitato al «design» politico delle opere, ed al controllo sulla loro realizzazione, che deve essere operato soprattutto a livello di regione, ovvero sulla base del coordinamento delle regioni interessate. In questa logica, le opere possono essere finanziate e realizzate dall’iniziativa privata e prevalentemente dal capitale privato.
    Non si esclude ovviamente «a priori» l’utilizzo anche di capitale pubblico. Ma, in questi termini, lo sforzo erariale può essere razionalmente selezionato e contenuto in dimensioni pienamente sostenibili. Un conto è infatti, per l’erario, sostenere tout court l’onere di un investimento integralmente pubblico; un conto è sostenere, con la leva pubblica, solo l’onere finanziario per gli interessi dovuti al servizio di un piano di finanziamento costruito con la tecnica del project financing. In questa logica, tra l’altro, possono essere mobilizzati (e non sprecati) i fondi comunitari.
    In ogni caso, la nostra idea di opera pubblica non è idea di opera fatta dalla «mano pubblica», ma più modernamente idea di opera fatta al servizio del pubblico.
    Questa, per noi, è la «governance» moderna. Ed è su questa che chiediamo il voto ed il giudizio degli elettori. Con una specifica. Nell’economia del nostro progetto, il disegno politico di modernizzazione del Paese non si ferma alle infrastrutture «viarie». Nell’economia di un disegno politico di modernizzazione del Paese, da operare su vasta scala, sono infatti essenziali anche l’ampliamento degli aeroporti e dei porti, e lo sviluppo dei grandi sistemi di collegamento informatico.
    È su questa base, una base in cui prende forma la prima fase strategica del nostro progetto, che si può passare alla seconda fase, identificando le aree di insediamento industriale, del sud e del nord, in cui concentrare lo sforzo di modernizzazione produttiva del Paese. Fermo restando che il lancio su vasta scala di una strategia di «grandi opere» è già di per sé, per gli «effetti-volano» che produce, un fortissimo motore di sviluppo economico del Paese.
    4. Più in dettaglio, la logica politica e giuridica della nostra proposta si sviluppa nei seguenti termini.
    In un famoso passo di Kant, il sovrano si rivolge al mercante e, con atteggiamento benevolo e disponibile, gli chiede: «Cosa posso fare per voi?». Il mercante risponde: «Maestà, dateci moneta buona e strade sicure, al resto pensiamo noi».
    Attualizzando e venendo all’Italia: abbiamo l’euro, che è moneta buona, ma le «strade» italiane non sono affatto buone. Intese le «strade» come simbolo delle grandi opere pubbliche. Quelle che «modernamente» si chiamano «infrastrutture».
    Lo strumento che qui si propone di utilizzare, la legge «obiettivo», non esaurisce certo la sua funzione nel campo delle infrastrutture. Si tratta infatti di uno strumento che può essere positivamente utilizzato per una vastissima gamma di interventi pubblici. Ma certo le infrastrutture ne sono un campo di applicazione prioritario e fortemente simbolico.
    In materia di infrastrutture, il caso italiano è in realtà, e come si è premesso, davvero un caso paradossale. Nei Paesi in via di sviluppo, le «infrastrutture» non si fanno, per carenza di risorse finanziarie ed industriali, non certo per mancanza di volontà politica. In Italia le infrastrutture non si fanno, ma per la ragione opposta: ci sono le risorse finanziarie ed industriali, ma manca la forza «politica» per farle e, per suo conto, l’«ambiente» giuridico sembra fatto apposta per bloccarle.
    Il deficit italiano è in specie, oltre che un deficit politico, un deficit istituzionale. Per come è attualmente strutturato (destrutturato), infatti, il sistema amministrativo italiano non solo è incapace (in positivo) di mobilizzare le risorse disponibili, mirandole ad obiettivi di sviluppo, ma – ciò che è ancora peggio – è capace (in negativo) di bloccare ogni tentativo di sviluppo. È così che si formano e crescono, nell’opinione pubblica, l’anti-Stato e l’anti-politica: se lo Stato non fa neppure quel «minimo» richiesto dal mercante di Kant; peggio, se impedisce ai privati di farlo, allora viene davvero naturale chiedersi: a cosa serve lo Stato; perché si pagano le tasse?
    In Italia il crescente astensionismo dal voto non è, come nel resto d’Europa, un segno di fiducia nello Stato, ma all’opposto proprio un segno di disgusto. E, se lo Stato non trova presto il modo di cambiare, al posto dell’astensionismo verrà la secessione dal voto. Che è ancora peggio, perché è secessione dagli ideali e dall’idea stessa del Paese.
    In questi termini, la nostra proposta va radicalmente in controtendenza. È una occasione per dimostrare concretamente che ancora c’è una ragione d’essere dello Stato. È un modo per soddisfare la domanda che viene dal Paese: che non vuole l’assenza dello Stato, ma che all’opposto domanda «governance».
    È questa la ragione per cui qui si propone l’utilizzo di uno strumento giuridico radicale, come certamente è la legge «obiettivo». Infatti, o il sistema trova al suo interno la forza per superare lo stallo, o ne viene travolto. È per questo che si deve fare ricorso alla legge «obiettivo»: perché è l’unico strumento capace di concretare, nell’«ambiente» istituzionale italiano, il modello giuridico (kantiano) dell’imperativo pragmatico, caratterizzato dalla prevalenza empirica del fine sul mezzo: dato un fine obiettivo, il mezzo va (può essere) adeguato.
    E’ certo vero che, nella meccanica propria di norme di legge di questo tipo, è implicito ed evidente il carattere dell’autoritarietà. Ma è anche e soprattutto vero, ed empiricamente provato, che non esistono altri strumenti per ricostruire quella linea di potere che è essenziale insieme per la modernizzazione e per lo sviluppo del Paese. Potere che è peraltro bilanciato, ed anzi reso ancora più efficiente, dal correttivo positivo costituito dalle regioni e dal coordinamento delle regioni interessate.
    L’effetto che si produce con questo strumento è infatti l’esatto opposto di quell’anarchia, asistematica e paralizzante, che è attualmente «vigente», e che blocca «giuridicamente» lo sviluppo del Paese, o lo limita, costringendolo fuori dalla legge.
    In specie, non è vera la tesi demagogica secondo cui soluzioni legislative del tipo qui proposto contengono in sé un surplus di «centralismo» ovvero un deficit di democrazia e/o di giustizia perché superano d’un colpo gli sbarramenti assemblearistici o giuridici.
    All’opposto, proposte di politica legislativa di questo tipo:

        a) realizzano il federalismo, nel doppio senso che:
            1) aumentano i collegamenti e perciò favoriscono l’autonomo sviluppo dei territori. Il federalismo non è infatti localismo e/o isolazionismo, ma l’opposto: solo aprendosi, i territori possono infatti acquistare e sviluppare gradi crescenti di «libertà»;

            2) vengono realizzate, in molti casi (soprattutto in caso di infrastrutture locali), soprattutto su impulso «periferico». Possono infatti essere soprattutto i territori che si attivano e si organizzano per promuovere specifiche infrastrutture di loro specifico interesse, promuovendo comitati per le leggi-obiettivo, organizzando la sottoscrizione delle emissioni obbligazionarie al servizio della costruzione delle infrastrutture identificate come interessanti, eccetera. Resta fermo infine, e decisivamente, il ruolo fondamentale assegnato alle regioni ed al coordinamento delle regioni interessate;

        b) non contrastano con le politiche ambientali. All’opposto. Infatti, a parità di numero dei veicoli in circolazione, il blocco in coda (oltre a bruciare ore di lavoro, chance in affari, eccetera) inquina enormemente più del movimento.

    Non solo, sempre a parità di traffico, la circolazione dei veicoli esplosa nella rete viaria ordinaria, all’interno dei centri storici, nel verde residuo, eccetera, è molto più devastante della concentrazione del traffico su di un solo asse autostradale, dove tra l’altro possono essere attrezzate le maggiori possibili protezioni ambientali;
        c) sono infine del tutto democratiche. La democrazia non consiste infatti nell’irresponsabilità dei troppi centri di potere, diffusi sul territorio ed attivi solo nel senso del veto reciproco. All’opposto, se si vuole conservare la fiducia nello Stato, bisogna dimostrarne in positivo l’utilità, nella forma di una reale capacità di «governance». Ed è poi su questa che, democraticamente, si vota. Se le forze politiche trovano la forza per approvare ed applicare strumenti di questo tipo, poi invariabilmente vengono sottoposte concretamente – nella logica alternativa del premio o della «punizione» – al giudizio democratico fondamentale, che è il giudizio elettorale.

    5. Ci sono fasi in cui l’ordinamento giuridico ordinario non è più sufficiente. Nel momento presente, e nel caso dell’Italia, ciò è evidente per una ragione paradossale, opposta rispetto a quella normale.

    L’ordinamento giuridico italiano nella sua forma «vigente» non basta più, non perché ce n’è poco, ma all’opposto perché ce n’è troppo. È in questo contesto che emerge quella che Saverio Vertone definisce (giustamente) come la «catastrofe amministrativa che ha colpito il Paese».
    Abbiamo in realtà, come si è premesso, in Italia, i difetti senza i pregi del centralismo. I difetti, senza i pregi, del localismo. In specie, si ripete, all’interno delle istituzioni italiane, un consiglio di quartiere può bloccare un comune, un comune può bloccare una provincia, una provincia può bloccare una regione, una regione può bloccare lo Stato. Senza contare la casistica, ancora più efficace nella meccanica dell’interdizione, dell’assemblearismo, del movimentismo più o meno «spontaneo», del corporativismo, del situazionismo, della proiezione negativa dell’interesse particolare su quello generale.
    6. La soluzione non si trova negli strumenti normali, offerti dall’ordinamento vigente. Con questi, come è provato dall’esperienza degli ultimi due decenni, ogni tentativo positivo è infatti destinato ad impantanarsi. La soluzione può essere trovata solo procedendo per linee di rottura, e dunque fuori dall’ordinamento vigente, costituendo un ordinamento superiore.
    Più specificamente, la soluzione può essere trovata nel rispetto dei princìpi giuridici fondamentali e generali (che pure in qualche modo ancora sopravvivono all’interno della pletora delle norme vigenti), ma disapplicando l’universo delle norme specifiche e particolari. In specie, disapplicando quella massa di norme che, soprattutto nel corso degli ultimi due decenni, con il trionfo post-sessantotto delle ideologie e delle tecniche assembleariste, si sono accumulate e stratificate intorno ai princìpi generali dell’ordinamento, oscurandone la fondamentale ragione d’essere.
    Nel caso delle infrastrutture, i princìpi generali sono essenzialmente quelli contenuti nella Costituzione (ad esempio, il diritto all’indennizzo, in caso di esproprio), nella normativa comunitaria (ad esempio, in materia di appalti), infine nel codice penale (ad esempio, non rubare sugli appalti).
    Le norme specifiche o particolari, da disapplicare, sono, per differenza, tutte le altre, che hanno rotto la naturale e necessaria uniformità dell’ordinamento giuridico, frantumandolo nell’asistematicità puntiforme e casuale del particularisme di infiniti paralizzanti localismi, di estenuanti «egoismi» politici. Come in un nuovo medioevo, in cui al posto dei vincoli derivanti dagli antichi usi e superstizioni naturali si trovano superstizioni «sociali» di tipo nuovo, ma in realtà ancora più oscure, irrazionali e paralizzanti di quelle vecchie.
    È proprio in questi termini che, ancora una volta, la questione dello sviluppo viene ad intrecciarsi con la questione del diritto. Non è un caso (è anzi per questo) che, nella storia, i cambiamenti strutturali si sono sempre manifestati come cambiamenti giuridici del vecchio ordine, basati su forti scelte di politica legislativa.
    Nel mondo giuridico, lo schema di base della legge «obiettivo» è in particolare rappresentato dalla legge speciale. Ed è essenzialmente basato sul criterio della deroga.
    Normalmente, è speciale la legge che non è programmaticamente «generale». La legge speciale è, in particolare, speciale:

        a) in funzione di eventi straordinari di carattere naturale (ad esempio, calamità naturali) o di carattere sociale (ad esempio, lo stato d’assedio);

        b) ovvero in funzione del suo specifico campo di applicazione.

    È proprio in questi ultimi termini che la legge «obiettivo» è una legge speciale, in quanto mirata ad un obiettivo e conseguentemente definita per campo di applicazione.

    Finora (soprattutto nella storia italiana più recente) il ricorso alla legislazione speciale è stato motivato da ragioni di ordine sociale (ad esempio, legislazione anti-criminalità organizzata).
    Qui in particolare la proposta (la relativa novità) è di (tornare ad) utilizzare questo strumento «specializzandolo» in funzione delle infrastrutture. Mirandolo cioè ad obiettivi operativi, costituiti appunto da specifiche infrastrutture.
    In questi termini, il «fulcro» della legge «obiettivo» è costituito dall’infrastruttura, identificata e definita nelle sue specifiche tecniche, anno per anno, in sede di legge finanziaria.
    7. Dato questo obiettivo ed in funzione di questo obiettivo, lo strumento normativo che si introduce è quello di una delega, precisa su obiettivi e criteri, definiti come sopra, pienamente rispettosa dei principi delle autonomie, dei principi di tutela dell’ambiente, dei diritti dei cittadini, efficace nel suo meccanismo operativo ed economico.
    In particolare l’articolo 1, comma 1, dispone che, al fine della modernizzazione e dello sviluppo del Paese, entro il 30 giugno di ogni anno, il Governo individua, sulla base di un programma inserito nel DPEF e comunicato alla Conferenza unificata, le infrastrutture e gli insediamenti industriali strategici da realizzare, attraverso la loro indicazione in un provvedimento legislativo collegato alla legge finanziaria, con l’indicazione anche dei finanziamenti occorrenti.
    Conseguentemente con i commi 2 e 4 sono previste due deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi per l’introduzione di un regime speciale per la realizzazione degli obiettivi suddetti.
    La prima delega contenuta nel comma 2, da attuare entro 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, mira ad un riordino, nel settore delle opere strategiche, del complesso della disciplina dei lavori pubblici secondo nuovi principi e criteri direttivi aventi lo scopo di accelerare la realizzazione delle opere e di sottrarle in parte al regime «panpubblicistico» della legge Merloni (legge 11 febbraio 1994, n. 109), fermo il rispetto degli obblighi comunitari in tema di evidenza pubblica e concorrenza. La filosofia della delega si articola nel modo seguente:

        1) generalizzazione dello strumento del project financing ove possibile, scelta in linea con l’attuale situazione dei bilanci pubblici nell’età della crisi del welfare state;

        2) semplificazione delle procedure per l’approvazione dei progetti preliminari e, ove occorra, della valutazione di impatto ambientale e per la definizione delle procedure necessarie per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza;
        3) attribuzione al CIPE, integrato con la presenza dei Presidenti delle regioni interessate, del compito di approvazione del progetto definitivo e di vigilanza sull’esecuzione dei progetti approvati, avvalendosi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nonché, eventualmente, anche di una struttura tecnica di advisor e di commissari straordinari che operano con gli stessi poteri previsti per analoghi organi istituiti con l’articolo 13 del decreto-legge n. 67 del 1997 concernente interventi urgenti per favorire l’occupazione;
        4) disciplina di una speciale conferenza di servizi per le varianti migliorative al progetto sulla base delle proposte delle amministrazioni competenti da acquisire entro il termine perentorio di 90 giorni; le decisioni della conferenza sono sostitutive di tutti i provvedimenti concessori e autorizzatori;
        5) definizione (in ottemperanza all’articolo 1 della direttiva 93/37 CEE) con norma, che costituisce il fulcro della riforma, del soggetto attuatore come contraente generale avente caratteristiche tali che lo liberano dal rispetto «a valle» delle norme relative all’evidenza pubblica;
        6) introduzione di una normativa derogatoria alla legge quadro sui lavori pubblici per tutti gli aspetti non caratterizzati da una disciplina comunitariamente vincolata;
        7) introduzione di forme di tutela solo risarcitoria per equivalente, al fine di rendere più rapida la realizzazione dell’opera dopo la stipula del contratto;
        8) previsione di rapide procedure di collaudo anche con ricorso a strutture esterne.

    La seconda delega, contenuta nel comma 4 e da attuare entro 4 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, è limitata all’anno 2002 in attesa della disciplina di riordino, per l’esigenza di consentire immediatamente l’avvio dei lavori per i quali già vi sono progetti in stato di avanzata formulazione. La delega prevede la possibilità di approvare le opere con provvedimento di legge, previo parere favorevole del CIPE, integrato con la presenza dei Presidenti delle regioni interessate. Si tratta quindi dell’adozione di leggi-provvedimento aventi un contenuto concreto, ma temporaneo ed eccezionale. In tal senso deve ritenersi costituzionalmente compatibile il ricorso eccezionale al provvedimento legislativo ai fini dell’approvazione e localizzazione delle opere, anche per il carattere strategico, ai fini dello sviluppo nazionale, delle opere medesime.

Capo II

LIBERALIZZAZIONE DELLE
RISTRUTTURAZIONI DI IMMOBILI

    1. Lo spirito di questo provvedimento si sintetizza in una formula semplice: «padroni a casa nostra!».

    Rispettando le facciate esterne ed i volumi, le ristrutturazioni interne agli edifici sono liberalizzate, sul presupposto della semplice denunzia di inizio di attività.
    E’ un principio già contenuto nella normativa varata da alcune regioni, ed in parte già contenuto nel (futuro) testo unico delle disposizioni in materia edilizia, di cui questa normativa costituisce dunque una parziale anticipazione ed estensione.
    2. La presente proposta si basa su di un presupposto essenziale: meno controlli formali e più controlli sostanziali.
    Ne deriva che:

        a) l’attività di esame e di istruttoria dell’amministrazione deve concentrarsi su interventi complessi, che necessitano di un attento esame per la definizione finale del progetto proposto;

        b) una volta che il piano ha disciplinato tutti i parametri urbanistici, la definizione degli aspetti edilizi può essere rimessa al titolare della domanda di intervento coadiuvato dal progettista;
        c) l’autocertificazione responsabilizza il proprietario ed il progettista e consente di superare concretamente gli ostacoli burocratici;
        d) il sistema dell’autocertificazione dovrebbe portare anche ad una riduzione delle domande di concessione e conseguentemente al rispetto dei tempi per il rilascio della stessa, nonché ad un miglioramento della qualità dei progetti, considerato anche che le ultime leggi hanno di fatto abolito le commissioni edilizie, che non garantivano certo la qualità architettonica degli interventi, ma erano solo il luogo per dispute interpretative sulle prescrizioni di piano.

    In definitiva, gli effetti positivi della proposta si evidenziano proprio nel miglioramento del rapporto tra amministrazione e cittadini, ispirato ad un nuovo senso di collaborazione e confronto.

    3. In dettaglio, si prevede di sottoporre a denuncia di inizio attività (DIA) non solo tutte le opere già indicate dalla legge n. 662 del 1996 e successive modifiche, ma anche quelle, ad oggi soggette ad autorizzazione edilizia, così realizzando una forma di omogeneizzazione tra le diverse previsioni delle leggi regionali che autonomamente hanno introdotto l’autorizzazione per particolari opere, non previste dal legislatore statale.
    In più, possono entrare nel campo di applicazione della DIA interventi che non producono effetti urbanistici rilevanti, quali gli ampliamenti degli edifici esistenti e l’attività di demolizione e ricostruzione di analogo edificio.
    Inoltre, sul presupposto che l’amministrazione abbia già definito le condizioni urbanistiche di riferimento, possono essere realizzati con DIA anche gli interventi in diretta esecuzione del piano regolatore e delle sue puntuali prescrizioni (le costruzioni singole), nonché interventi ricompresi in piani attuativi accompagnati da un plano-volumetrico, che definisca compiutamente le tipologie e le caratteristiche costruttive, residuando così soltanto la progettazione edilizia dei singoli lotti.
    In proposito, è da notare che molto spesso i piani regolatori delle nostre città sono stati criticati per essere troppo dettagliati, prescrivendo i particolari costruttivi quasi con una forma di esasperazione.
    In questo caso la critica, da tutti condivisa, può essere invocata come garanzia per la conformità della successiva denuncia di inizio attività, che pertanto si muove entro ambiti ben definiti, che non lasciano spazi ad arbitrarie discrezionalità.
    Una considerazione particolare meritano gli immobili vincolati.
    Una volta acquisita l’autorizzazione da parte dell’organo istituzionalmente preposto alla tutela del vincolo, che può rilasciare o negare tale assenso, ovvero imporre prescrizioni, non esiste alcun ostacolo all’applicazione anche a tali immobili della procedura di DIA, in assenza di tipologie di interventi ricompresi nel campo di applicazione della stessa.
    La garanzia di tutela è assicurata dall’autorizzazione preventiva, non dal successivo procedimento edilizio.
    Si introducono, infine, due chiarimenti che sgombrano il campo da equivoci:

        a) una denuncia di inizio attività in contrasto con gli strumenti urbanistici è come se non fosse stata presentata, per cui in caso di esecuzione dei lavori, gli stessi sono da considerare abusivi;

        b) se si ricorre alla DIA, in luogo della concessione edilizia, si applica il regime sanzionatorio che prevede le sanzioni penali con le aggravanti fissate per le zone vincolate.

    Conseguentemente con l’articolo 2 si introducono importanti innovazioni in materia edilizia, finalizzate ad ampliare l’ambito di operatività del più agile strumento della denuncia di inizio attività che troverà applicazione in relazione ad ipotesi di interventi edilizi per la cui realizzazione la normativa attualmente in vigore prevede il rilascio di appositi atti concessori da parte dell’autorità amministrativa dell’ente territoriale competente.

    In particolare è subordinata unicamente alla denuncia di inizio attività la realizzazione di sopralzi e addizioni, ampliamenti, ristrutturazioni edilizie comprensive di demolizioni e ricostruzioni e nuove edificazioni direttamente esecutive del PRG o del piano attuativo comprensivo delle disposizioni plano-volumetriche.
    Le regioni a statuto ordinario (nelle quali le disposizioni in argomento si applicano a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge) possono stabilire, con legge, quali siano gli interventi sottoposti ad appositi atti concessori o autorizzatori. Resta, invece, salva la potestà legislativa esclusiva in materia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano.

Capo III

SOPPRESSIONE DI ADEMPIMENTI BUROCRATICI INUTILI A CARICO DELLE IMPRESE

    1. Il sistema delle imprese ha bisogno di poche e semplici leggi, di procedure applicative semplici, che consentano alle imprese di svolgere fino in fondo il loro compito: creare ricchezza, aumentare l’occupazione.

    Anche in materia ambientale, le norme di rispetto del territorio e della salute dei cittadini devono essere formulate in modo da consentire alle imprese di rispettarle correttamente e razionalmente. Oggi, invece, prevalgono la confusione, la complessità, l’eccesso di burocrazia, l’accanimento sanzionatorio.
    Certamente la difesa dell’ambiente e della sicurezza del lavoro sono principi condivisi ed indiscussi. Ma l’iperproduzione legislativa, e gli eccessi burocratici, più che determinare certezze, finiscono soltanto per alimentare dubbi, disorientando cittadini e imprenditori.
    Senza dubbio in materia di tutela ambientale e di sicurezza sul lavoro c’è un eccesso di fonti normative: al 30 settembre 2000 erano 962.
    Negli ultimi 5 anni sono aumentate del 37 per cento, con un’impennata del 29 per cento a partire da settembre 1998.
    Tante leggi finiscono inevitabilmente per diventare confuse e contraddittorie.
    Al punto che neanche la Pubblica Amministrazione sa come applicarle e farle rispettare.
    A pagarne le conseguenze sono gli imprenditori, troppo spesso puniti ingiustamente, o per semplici errori formali.
    Basti pensare che le 500.000 imprese italiane interessate da tutto l’iter gestionale dei rifiuti devono compilare ogni anno 3 milioni di moduli, impiegando 50 milioni di ore di lavoro e spendendo 1.400 miliardi.
    Registri, formulari, moduli di denuncia annuale, devono essere acquistati, vidimati, compilati con numeri incrociati e conservati.
    Quanto poi al settore del trasporto di rifiuti, è stato introdotto un apposito Albo con procedure di iscrizione tra le più complesse dell’ordinamento italiano.
    Per il solo rinnovo dell’iscrizione, cioè per continuare un’attività già in essere, è necessario rifare tutte le perizie, i certificati, le garanzie finanziarie e le attestazioni di acquisita professionalità già prodotte per la prima iscrizione.
    2. Il senso delle innovazioni proposte consiste proprio nello snellire e semplificare i passaggi amministrativi contenuti in uno dei principali atti legislativi che disciplinano la materia ambientale: il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, concernente la gestione dei rifiuti.
    Lo si fa riducendo il numero di imprese tenute ad alcuni obblighi, operando una selezione degli adempimenti strettamente necessari alla migliore effettuazione dei controlli, razionalizzando la materia in modo che la stessa impresa sia sollevata da incombenze che ne riducono la competitività.
    Per quanto riguarda la denuncia annuale dei rifiuti, si sono selezionati i soggetti tenuti all’obbligo, identificando solo quelli che professionalmente gestiscono i rifiuti, ottenendo così maggiore affidabilità dei dati e ricostruendone il percorso in modo più veritiero.
    Ciò produce, tra l’altro, un risparmio per il sistema economico valutabile intorno ai 50 miliardi l’anno per le sole spese relative all’invio della denuncia; si tratta di una semplificazione che beneficia non meno di 500.000 imprese interessate.
    Inoltre, con l’istituzione dei registri di carico e scarico dei rifiuti pericolosi, si mantengono gli obblighi solo sulle imprese che possono causare danni ambientali, anche qui semplificando gli adempimenti per circa 500.000 imprese, per lo più di piccola dimensione e imprese artigiane.
    Si è inoltre adeguata la legge italiana alle norme comunitarie, in questo ambito meno stringenti.
    Per spingere oltre la semplificazione, si prevede poi la facoltà di tenere i registri stessi presso strutture specializzate, che garantiscono una maggiore affidabilità tecnica ed un controllo professionale. La quantificazione del risparmio risulta qui più difficile, ma sul piano qualitativo la semplificazione va a toccare non meno di 1.000.000 di imprese ed è quindi certamente rilevante.
    Vi sono poi misure mirate a migliorare la gestione dei rifiuti, allungando i tempi delle registrazioni, chiarendo la titolarità dei rifiuti in capo a colui che esercita l’attività che li origina, modificando le norme che governano il principale strumento pubblico di registrazione degli smaltitori, l’Albo nazionale dei gestori servizi di smaltimento.
    Qui gli interessati sono circa 20.000 imprese, le cui attività sono ancora imbrigliate da una serie di procedure burocratiche che si ripresentano, uguali a sé stesse, in ogni occasione.
    Si è introdotta la possibilità di rinnovare l’iscrizione ogni cinque anni e non ogni due anni, semplicemente attraverso una conferma delle caratteristiche tecniche presenti. Il risparmio per il sistema imprenditoriale è valutabile intorno ai 50 miliardi l’anno, per le sole spese relative alle ridondanti pratiche amministrative.
    Il risultato finale ottenuto consiste nell’aumento della competitività derivante dall’allentamento della pressione burocratica.
    A tale riguardo l’articolo 3 apporta modifiche alla disciplina introdotta dal cosiddetto decreto legislativo Ronchi (decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) recante attuazione delle direttive comunitarie sui rifiuti, rifiuti pericolosi, imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
    In particolare, si introduce una nuova definizione di «produttore» specificando che tra le attività che generano rifiuti devono annoverarsi anche le attività edili di demolizione.
    Inoltre, si ampliano le categorie di soggetti che sono tenuti a comunicare annualmente le quantità e le caratteristiche dei rifiuti oggetto della propria attività in quanto è venuto meno il presupposto della «professionalità» quale requisito dell’attività di raccolta, di trasporto di rifiuti, eccetera dal quale scaturisce l’obbligo di porre in essere tale comunicazione. D’altra parte, nella nuova formulazione della disposizione non è più previsto che la stessa comunicazione debba essere effettuata dalle imprese e dagli enti che producono rifiuti pericolosi e non pericolosi.
    E’ poi conferita all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA), nonché alle associazioni imprenditoriali, la possibilità di concordare campagne di raccolta di dati statistici relativi alla produzione di rifiuti.
    Al fine di raggiungere un migliore coordinamento tra autorità amministrativa ed operatori del settore, si prevede che il modello unico di dichiarazione in materia ambientale è adottato ed aggiornato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa consultazione delle associazioni nazionali di categoria dei soggetti obbligati.
    Si intende inoltre semplificare e snellire gli adempimenti relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico sui quali devono essere annotate le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative. In particolare:

        1) per quanto riguarda la categoria dei produttori, l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico riguarderà i soli produttori di rifiuti pericolosi;

        2) il termine di una settimana nel quale gli operatori del settore devono procedere alle annotazioni nei registri di carico e scarico viene fissato, nella maggior parte dei casi, a quindici giorni;
        3) per quanto riguarda l’obbligo di conservazione dei registri di carico e scarico viene previsto il termine di tre anni (in luogo di cinque);
        4) viene prevista la possibilità per i produttori di rifiuti di adempiere all’obbligo di tenuta dei registri tramite le proprie organizzazioni di categoria, indipendentemente dalla quantità di rifiuti prodotta (attualmente ciò è stabilito soltanto se la quantità di rifiuti prodotta annualmente non eccede le 5 tonnellate);
        5) viene prevista altresì una disciplina semplificata di tenuta dei registri mediante strumenti informatici.

    Viene stabilito che la gestione da parte dei comuni dei rifiuti in regime di privativa non si applica, oltre che alle attività di recupero, anche alle attività di raccolta.

    Secondo la vigente normativa il soggetto che intende installare un impianto mobile di smaltimento o di recupero deve renderne edotta la regione almeno sessanta giorni prima di tale installazione: tale termine viene ridotto a quindici giorni ed inoltre la comunicazione alla regione potrà riguardare la utilizzazione di impianti anche collocati in siti diversi.
    Si interviene in merito alla disciplina concernente l’Albo delle imprese esercenti smaltimento dei rifiuti, con le seguenti finalità:

        1) localizzare le sezioni regionali dell’Albo presso le regioni e le province autonome, anziché presso le Camere di commercio;

        2) operare la modifica della composizione del Comitato nazionale dell’Albo riducendo il numero di membri da 20 a 10;
        3) elevare la quantità di rifiuti trattati (da trenta a sessanta chilogrammi e da trenta a sessanta litri al giorno) al di sopra della quale è richiesta la iscrizione all’Albo in questione. Viene inoltre cancellato l’obbligo di rinnovare l’iscrizione ogni cinque anni sostituendolo con una conferma della stessa, previa dichiarazione sostitutiva dell’interessato;
        4) introdurre una specifica disciplina concernente le modalità di iscrizione all’Albo per le imprese che effettuano attività di rimozione e bonifica dei siti e dei beni contenenti amianto;
        5) prevedere che l’Albo si pronunci in merito ai provvedimenti di propria competenza entro 90 giorni e che sempre entro 90 giorni deliberi il Comitato nazionale dell’Albo sui ricorsi presentati avverso i provvedimenti delle sezioni regionali dell’Albo;
        6) introdurre modalità semplificate di versamento dei diritti annuali di iscrizione all’Albo;
        7) specificare che trascorsi 10 giorni dal ricevimento della comunicazione di inizio attività da parte delle sezioni regionali e provinciali dell’Albo, le imprese che hanno inviato la stessa possono iniziare l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti.

 
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