L'Economia Polacca nel 1999-2000 (doc. PDF visualizzazile con Acrobat Reader) |
Lo
Stato polacco ebbe il suo primo nucleo nella depressione acquitrinosa che va
dall'Oder al corso mediano della Vistola. Qui abitava (sec. IX-X) un popolo
d'agricoltori diviso in varie tribù; la principale di queste, i Polani, ha dato
il nome a tutta la regione (detta poi Grande Polonia). La P. entrò nella storia
nel sec. X quando Mieszko, della famiglia dei Piasti regnanti a Gniezno, si rese
tributario di Ottone I per sfuggire alle “crociate” germaniche e si fece
battezzare col suo popolo (966) ampliando poi i suoi domini verso la Slesia, la
Piccola Polonia e il Baltico. Suo figlio Boleslao I il Coraggioso (992-1025) si
spinse sino a Kijev e per primo cinse (1024) la corona di re. Nel secolo
successivo la P. si trovò frantumata in 24 ducati sui quali il duca di Cracovia
aveva sovranità nominale: toccò allora alla Chiesa polacca, retta da energici
prelati, il compito di mantenere l'unità nazionale. Si accentuava intanto
l'infiltrazione germanica (monaci, mercanti, artigiani), mentre principi
tedeschi regnavano su questa o quella regione polacca. Uno di costoro chiamò in
aiuto (1226) i Cavalieri Teutonici, che si insediarono in Prussia orient. e
Pomerelia, donde minacciarono a lungo il regno polacco. Questo fu però
restaurato da un altro Piasti, Ladislao il Breve (1320-33). Suo figlio Casimiro
III il Grande (1333-70) cedette la Slesia ai re di Boemia e la Pomerelia ai
Cavalieri Teutonici; ma si distinse come legislatore e amministratore istituendo
un Senato e poi Diete regionali (Dietine) con funzioni consultive, stabilendo
colonie agricole, organizzando la nobiltà in un regime assai diverso dal
feudalesimo occidentale, proteggendo contadini ed ebrei e fondando infine (1364)
l'Università di Cracovia, gioiello della capitale. Spentasi con lui la dinastia
dei Piasti, la corona passò agli Angiò d'Ungheria. Edvige (Jadwiga), figlia
tredicenne del re Luigi, accettando di sposare (1385) il granduca di Lituania
Jagellone (Jagiello,
Jogaila), battezzato e incoronato re col nome di Ladislao II (1386-1434), annetté
i Lituani al mondo cristiano e annodò vincoli tenaci tra il popolo polacco e
quella bellicosa gente baltica, già protesa alla conquista della Belorussia e
dell'Ucraina. Ladislao, con forze polacche e lituane, batté duramente (1410) i
Cavalieri Teutonici, ridotti da allora alla difensiva. Suo figlio Ladislao III
(1434-44) ottenne anche il titolo di re d'Ungheria (1440) ma morì ventenne a
Varna combattendo contro i Turchi. Casimiro IV Jagellone, fratello dell'eroe di
Varna, pose la Lituania su un piano d'assoluta eguaglianza con la P. e costrinse
(1466) i Cavalieri Teutonici a dichiararsi suoi vassalli. Intanto la P. entrava
in più stretto contatto con l'Occidente europeo e assorbiva la lezione del
Rinascimento italiano. I figli di Casimiro continuarono la politica illuminata
del padre, specie Sigismondo I il Vecchio (1506-48). Questi trovò la via
dell'accordo con gli Asburgo e sposò l'italiana Bona Sforza, che portò alla
corte di Cracovia lo splendore dell'arte toscana e il gusto dell'intrigo
politico. Fu quella l'età di Copernico (1473-1543), seguita da un'altra non
meno felice in cui la letteratura e il pensiero polacco segnarono un grande
progresso. Intanto Sigismondo II Augusto (1548-72), succeduto al padre,
estendeva alla Lituania le istituzioni del regno di P. e congiungeva
strettamente i due Paesi con l'Unione di Lublino (1569), così da farne una sola
res publica. Tollerante, non impedì la diffusione della Riforma, frenata
tuttavia dall'introduzione dei gesuiti (fine sec. XVI). Spentasi con lui la
dinastia jagellonica, si provvide a regolare l'elezione del re, affidandola
all'intera nobiltà perché col numero limitasse la prepotenza magnatizia. La
corona toccò allora a Stefano Báthory (1576-86), principe di Transilvania e
cognato dell'ultimo re, magnanimo in pace e valoroso in guerra e ben coadiuvato
dal cancelliere Jan Zamoyski che, morto Stefano, fece eleggere lo svedese
Sigismondo III Vasa (1587-1632). Si combatteva ora su vari fronti: le truppe del
re raggiunsero Mosca e cercarono d'installarvisi; ma i Turchi e gli Svedesi di
Gustavo Adolfo non diedero tregua. La capitale intanto veniva trasferita a
Varsavia (1596). Il figlio di Sigismondo, Ladislao IV (1632-48), ridiede pace al
regno; ma la situazione sociale s'inasprì per la diffusione della servitù
della gleba. Sul regno (1648-68) di Giovanni Casimiro (m. 1672) si addensarono
tempeste minacciose: la rivolta dei Cosacchi (1648-54), terminata con l'appello
di questi allo zar, e, più grave, l'invasione svedese (1655-60); la
“Repubblica”, umiliata, rinunciò a vasti territori. Si ebbe una schiarita
con Giovanni III Sobieski (1674-96), che batté (1683) i Turchi a Vienna,
meritando la gratitudine della cristianità. Ma la decadenza politica si accentuò:
salì al trono Federico Augusto II di Sassonia (1697-1733), protetto da Pietro
il Grande, preoccupato dell'avvenire della dinastia più che dell'integrità
dello Stato polacco. La sua morte scatenò la guerra di successione polacca
(1733-38), che vide la vittoria di Federico Augusto III (1733-63) su Stanislao
Leszczynski,
candidato della nobiltà polacca. Si aggravavano intanto l'anarchia nobiliare e
la prepotenza dei magnati: il liberum veto ostacolava sistematicamente il
funzionamento della Dieta. La situazione migliorò con Stanislao II Augusto
Poniatowski (1764-95), sostenuto dalla Russia ma deciso a tentare energiche
riforme. Infuriavano tuttavia guerre civili: ne sono conseguenza le tre
spartizioni della Polonia (1772, 1793, 1795) da parte di Russia, Prussia,
Austria.Tra la prima e la seconda, però, la P. ritrovò migliori energie,
procedendo a un'encomiabile riforma dell'educazione (dal 1773) e più tardi
ottenendo dalla Dieta la promulgazione (1791) di una Costituzione
coraggiosamente moderna, destinata purtroppo a vita effimera. Dopo la seconda
spartizione, un'insurrezione di patrioti polacchi minacciò il predominio russo,
ma il suo capo Kosciuszko
fu vinto e catturato (1794), mentre l'insurrezione veniva soffocata. La terza
spartizione distrusse la vita autonoma della P. sino al 1918. Napoleone creò,
è vero, un gran ducato di Varsavia (1807-14), ma per i Polacchi si trattò di
una breve illusione. Il Congresso di Vienna, concessa la Posnania alla Prussia e
la Galizia all'Austria, restaurò un regno di P. per darlo alla Russia. I
Polacchi del regno vissero in un regime relativamente liberale almeno sino al
1830-31, quando l'insurrezione di Varsavia e la conseguente guerra contro la
Russia indussero lo zar Nicola I a una repressione severa. Qui si colloca la
“grande emigrazione”, ossia il volontario esilio in Occidente di
intellettuali, artisti, nobili, liberali e rivoluzionari, tra i quali i maggiori
poeti della Polonia. Ancor peggiore fu la situazione del regno dopo la
sanguinosa insurrezione del 1863: si accentuò allora il processo di
russificazione, la Chiesa cattolica fu maltrattata e si vietò l'insegnamento e
l'uso non strettamente privato del polacco. Si ebbe qualche lieve miglioramento
all'inizio del sec. XX, quando s'aggravarono i problemi interni della Russia.
Nella P. germanica si ebbe dapprima una maggior tolleranza, grazie alle buone
intenzioni di Federico Guglielmo III; ma nel 1848 la nuova Costituzione
prussiana tolse ai Polacchi ogni speranza d'autonomia. Dopo il 1870 la
germanizzazione procedette ancor più ostinata e feroce: anche qui la lingua
polacca fu interdetta, mentre il governo di Berlino con vari espedienti riuscì
a trapiantare nel territorio polacco contadini e operai tedeschi in gran numero.
La sorte della P. austriaca è stata differente e migliore: sin verso il 1861 i
patrioti furono perseguitati dalla polizia e i contadini subdolamente eccitati
contro i proprietari terrieri (stragi di Galizia, 1846); Cracovia, già città
libera, fu annessa a forza all'Impero austriaco. Ma dopo il 1861 i rapporti tra
Vienna e la Galizia migliorarono: si diffuse l'istruzione pubblica, fiorirono le
università di Cracovia e Leopoli, l'Impero chiamò ad alte cariche uomini di
Stato polacchi, come i Badeni e i Goluchowski.
Nel sec. XX si sono precisate le grandi correnti politiche del non mai spento
patriottismo polacco: a Varsavia si fondò il Partito nazional-democratico,
fiducioso in un risorgimento polacco che una Russia convertita al liberalismo
avrebbe dovuto favorire; a Parigi nacque un Partito socialista, diffuso poi in
Galizia e fra i tessitori di Lódz;
nella P. orient. Rosa Luxemburg introdusse un socialismo di matrice russa. Ma
nel socialismo polacco prevalsero le correnti nazionaliste rappresentate
soprattutto da J. Pilsudski.
Nella I guerra mondiale i Polacchi si sono trovati a combattere sotto le
bandiere tedesca, austriaca e russa, mentre ciascuna di queste potenze cercava
di cattivarsi le simpatie polacche, pur senza impegnarsi per il futuro. Pilsudski
combatté coi suoi legionari dalla parte austriaca; ma quando gli Imperi
Centrali occuparono la P., egli, piuttosto che servire interessi stranieri, si
lasciò internare a Magdeburgo (1917). Intanto l'iniziativa di Wilson
legittimava le attese polacche; Dmowski a Parigi, Paderewski negli U.S.A.
difesero la causa della P.; in Francia si organizzava un'armata polacca.
Il crollo degli Imperi Centrali (novembre 1918) aprì la via alla formazione di una P. indipendente, con Paderewski primo ministro e Pilsudski capo dello Stato e delle forze armate. Un'avanzata in Ucraina portò la bandiera polacca sino a Kijev; ma l'Armata Rossa di Tuchacevskij respinse Pilsudski e minacciò Varsavia (agosto 1920), dove però subì una sconfitta decisiva. La Pace di Riga (1921) fissò i confini orient. della P.; la vita politica del nuovo Stato fu agitata dalle contese fra i partiti: un presidente della Repubblica, G. Narutowicz, fu assassinato (1922). Nel 1926 Pilsudski attuò un colpo di Stato e organizzò un governo dittatoriale, detto di “risanamento” (Sanacja), formato da colonnelli delle antiche “legioni”. In politica estera, cercò la pace con l'U.R.S.S. e la Germania; morì nel 1935 dopo aver emanato una Costituzione che faceva della P. una repubblica presidenziale. Fidando nei trattati, i successori di Pilsudski speravano di evitare la guerra con la Germania hitleriana anche se, per prudenza, chiesero a Parigi e a Londra una garanzia per l'integrità del territorio. Ma il 1º settembre 1939 iniziarono le operazioni germaniche contro la P., miranti a ottenere l'annessione immediata di Danzica al Reich e l'umiliazione della nazione nemica. Le truppe hitleriane entrarono simultaneamente in P. dalla Pomerania, dalla Prussia orientale, dalla Slesia e dalla Slovacchia. L'enorme superiorità aerea consentì ai Tedeschi non solo di bombardare Varsavia, Cracovia, Katowice, Gdynia, Lódz e altre città, ma di disorganizzare i movimenti delle armate polacche distruggendo treni, nodi ferroviari, ponti e strade. La difesa polacca risentì di una preparazione precaria e di un alto comando decisamente mediocre; ma i soldati resistettero coraggiosamente, infliggendo all'invasore perdite consistenti. L'esercito del Reich avanzò a tenaglia verso Varsavia che si arrese solo il 27 settembre. Ma già il 17 truppe russe erano entrate in P. dal confine orientale, giacché il governo sovietico riteneva, scomparso il governo polacco, di dover proteggere le minoranze ucraine e bielorusse. Il 28 settembre l'esercito polacco capitolò: mentre una parte di esso riparava in Romania, il territorio della Repubblica veniva diviso fra Russia e Germania, con il corso del f. Bug per confine; alcune regioni furono annesse direttamente al Reich. La dominazione nazista fu molto dura: dispersa l'élite culturale, chiuse le scuole secondarie e superiori, la P. era condannata a costituire la riserva d'operai e braccianti che occorreva per la costruzione dell'egemonia germanica. Dopo il 1942 diventò feroce la persecuzione degli ebrei. Intanto, scoppiata la guerra tedesco-sovietica (1941), Mosca favorì la formazione di un'armata polacca che, sotto il generale Anders, combatté con molto onore in Italia (1943-45). Altri reparti polacchi si affiancarono ai Franco-Britannici in Norvegia, in Inghilterra, in Francia, nell'Africa del Nord. Nel territorio polacco fu viva la resistenza antitedesca, di colore democratico-nazionalista (Armja Krajowa) o marxista (Gwardja Ludowa, poi Armja Ludowa). Un governo polacco s'insediò a Londra (1940); più tardi Mosca riconobbe un Consiglio Nazionale (marxista) di Lublino. Tra l'agosto e l'ottobre 1944 Varsavia insorse contro i Tedeschi, ma fu distrutta. Nei primi mesi del 1945, la P., liberata da truppe sovietiche, iniziò una nuova vita democratica sotto l'egida dell'U.R.S.S. Privata dei territori con popolazione in prevalenza russa o rutena, ricevette compensi a nord (Danzica, parte della Prussia orient.) e a ovest (Slesia, Pomerania). Dal Consiglio Nazionale di Lublino nacque il nuovo governo polacco, emanazione del Partito Operaio Unificato Polacco (P.O.U.P.) che riuniva comunisti e socialisti. Il potere fu assunto da B. Bierut, di formazione moscovita, segretario del partito e presidente della Repubblica. Più fedele a un'interpretazione polacca della rivoluzione proletaria fu W. Gomulka, salito al potere nel 1956, che cercò d'alleggerire la pressione sovietica, di trovare un modus vivendi con la Chiesa e di ottenere il consenso dei contadini. La sua caduta (1970) portò al potere E. Gierek, il cui avvento non comportò modifiche sostanziali, nonostante gli emendamenti alla Costituzione (1976), mediante i quali la P. diveniva uno Stato socialista. A un periodo iniziale di relativa prosperità subentrò, dopo la crisi internazionale successiva al 1973, un rapido deterioramento della situazione, dovuto in gran parte al crescente disavanzo dei conti con l'estero. La protesta operaia contro l'aumento dei prezzi alimentari deciso nel giugno 1976 diede il via allo sviluppo di un dissenso organizzato che vedeva l'inedita convergenza di lavoratori, intellettuali e Chiesa cattolica. Dopo una lunga serie di scioperi iniziati nei cantieri Lenin di Danzica, la rivolta sfociava (settembre 1980) nella nascita di Solidarnosc, primo sindacato indipendente del blocco comunista: ne assumeva la guida l'operaio cattolico L. Walesa. Quasi contemporaneamente, esautorato Gierek, la direzione del partito e del Paese passò per breve tempo nelle mani del moderato S. Kania. Ma l'intransigenza dell'ala estremista di Solidarnosc e la progressiva emarginazione del P.O.U.P. dalla società polacca aprirono una fase d'ingovernabilità, resa più acuta dall'ormai esplicita ostilità di Mosca al “nuovo corso”. Il 13 dicembre 1981 il generale W. Jaruzelski, già capo del governo e del P.O.U.P., assunse i pieni poteri per mezzo di una giunta militare e stroncò con lo stato d'assedio ogni forma d'opposizione. Seguì lo scioglimento formale di Solidarnosc, i cui dirigenti furono internati o ridotti alla clandestinità. Solo nel 1983 fu avviato un processo di “normalizzazione”, con la revoca dello stato di guerra e la concessione di un'amnistia (luglio 1984) che mise in libertà circa 600 detenuti politici. Nel novembre 1985 Jaruzelski venne eletto capo dello Stato dal nuovo Parlamento (Sejm) scelto con le consultazioni del mese precedente (con boicottaggio sostenuto da Solidarnosc e dal clero cattolico) e sostituito alla guida del governo da Z. Messner. Nel 1986 una seconda amnistia concesse la libertà alla maggior parte dei politici ancora detenuti, mentre si rinsaldavano i rapporti diplomatici con l'Occidente, come testimonia anche l'ammissione della P. al Fondo Monetario Internazionale. L'elevato livello del debito estero poneva al centro del confronto politico la profonda crisi economica attraversata dal Paese, sollecitando ulteriori misure di austerità e l'introduzione di talune riforme sia economiche sia politiche. Il piano di austerità economica, messo a punto dal governo e sottoposto a referendum (novembre 1987), veniva respinto dal corpo elettorale e dava inizio a una serie di agitazioni culminanti nella grande ondata di scioperi dell'agosto 1988 che portò alle dimissioni di Messner, accusato di non aver saputo gestire la crisi. Gli succedette M. Rakowski, che avviò un negoziato con tutte le forze di opposizione (febbraio 1989). Con la conversione del P.O.U.P. alla “democrazia parlamentare socialista”, tale negoziato si concluse con il riconoscimento legale di Solidarnosc, in quanto sindacato autonomo, in cambio del suo sostegno al programma governativo di austerità, nonché con la concessione della libera elezione per i due quinti dei seggi parlamentari. Le elezioni politiche del giugno 1989 segnarono una netta affermazione dell'opposizione; respinta inizialmente la proposta di assumere impegni governativi, Solidarnosc contribuì in modo sostanziale all'elezione di Jaruzelski alla presidenza della Repubblica (19 luglio), confermando l'apertura di un nuovo corso nella politica nazionale. Il nuovo governo, frutto di un compromesso fra gli opposti schieramenti, fu formato in settembre sulla base di un quadripartito da T. Mazowiecki, già consigliere di Walesa. Nei mesi seguenti fu abolito il principio costituzionale del ruolo-guida del P.O.U.P., che nel giugno 1990 abbandonava la qualifica di “comunista” scindendosi in due partiti. Le consultazioni amministrative del maggio 1990, prime interamente democratiche ma a scarsa partecipazione (42%), confermarono la posizione predominante di Solidarnosc (oltre il 40% dei seggi), che si divise però sul programma economico. Ratificato con la Germania il trattato sul mantenimento della linea di confine Oder-Neisse e dimessosi anticipatamente Jaruzelski (settembre 1990), tra novembre e dicembre ebbero luogo le elezioni presidenziali, conclusesi dopo ballottaggio con l'affermazione di Walesa, il quale nel gennaio 1991 affidava a Jan K. Bieleki la guida di un nuovo governo. Oltre che dai temi della politica economica, il 1991 era dominato dai contrasti fra il capo dello Stato e il Sejm su questioni istituzionali, nonché dalla campagna per le politiche di ottobre, dalle quali emergeva un Parlamento molto frammentato (alla Camera una trentina di gruppi), che solo dopo un certo travaglio riusciva a esprimere una coalizione governativa guidata da Jan Olszewski. La protesta contro il provvedimento per l'aumento dei prezzi entrato in vigore il 1º gennaio 1992, la mancata approvazione da parte del Sejm del piano economico annunciato da Olszewski (febbraio), la grande manifestazione di Solidarnosc contro la disoccupazione e il carovita (aprile) portavano ancora una volta (giugno 1992) a una crisi di governo. Chiamata a formare un nuovo gabinetto, Hanna Suchocka, leader dell'Unione democratica, costituiva un governo di coalizione, ma nel maggio 1993 un'ennesima crisi apriva la strada a elezioni anticipate. Il risultato della consultazione elettorale, tenutasi nel settembre dello stesso anno, fu per certi versi clamoroso, determinando la vittoria degli ex comunisti dell’Alleanza per la Sinistra Democratica (S.L.D.) e dei loro alleati del Partito dei contadini (P.S.L.). Solidarnosc non riusciva a superare lo sbarramento del 5% rimanendo fuori dal Sejm e Walesa era quindi costretto a nominare premier Waldemar Pawlack, esponente del Partito dei contadini, che dava vita ad un governo di coalizione P.S.L.-S.L.D. Nel febbraio 1995, in seguito a contrasti tra presidenza della repubblica, parlamento e governo, Pawlack rassegnava le dimissioni e veniva sostituito dal presidente del Sejm Josef Oleksy, esponente dell’Alleanza per la Sinistra Democratica, che riproponeva la coalizione P.S.L.-S.L.D. pur nominando dieci nuovi ministri ed accettando di affidare alcuni dicasteri strategici (Difesa, Interni ed Esteri) ad uomini di fiducia di Walesa. In luglio Walesa imponeva pero il veto a una legge sulla regolamentazione della cessione delle imprese di Stato, accusando governo e parlamento di voler rallentare il programma di privatizzazioni; la controversia veniva giudicata dalla Corte Costituzionale che decideva di bloccare il provvedimento contestato. Nel novembre 1995, alle elezioni presidenziali, Walesa veniva sconfitto di stretta misura da Aleksander Kwasniewski, esponente del S.L.D.; la vittoria del candidato degli ex comunisti provocava la dura reazione dei sostenitori di Walesa, con attacchi sia a Kwasniewski che al primo ministro Olesky, accusato di essere stato, negli anni Ottanta, un collaboratore dei servizi segreti dell'ex Unione Sovietica. Nelle elezioni parlamentari del settembre 1997 trionfava Azione elettorale di Solidarnosc e Jerzy Buzek assumeva la carica di primi ministro. Sul piano internazionale proseguiva, anche grazie ai buoni risultati economici raggiunti negli ultimi anni, l’integrazione del Paese nel sistema dell’Europa occidentale: entrata a far parte della N.A.T.O. (marzo 1999), infatti, la P. veniva inclusa nel primo gruppo di Paesi candidati all’ingresso nell’Unione Europea.
Le testimonianze del più antico popolamento del territorio polacco risalgono ai tempi paleolitici, ai quali sono riferibili vari reperti provenienti da stazioni all'aperto o in grotta: fra le più note sono la Grotta di Nietoperzowa presso Jermanowice e vari ripari sotto roccia non lungi da Cracovia. Tra le culture del Paleolitico finale rilevante è il Masoviano, in cui si distingue la facies Swideriana, tipica per una particolare produzione litica, e il Witoviano di cui sono venuti alla luce i resti di capanne risalenti al X millennio a. C. Copiosi gli avanzi assegnabili anche ai tempi neolitici rinvenuti nelle località di Biskupin e di Gródek Nadbuzny – famosa per i resti della facies del bicchiere imbutiforme – e di Jordanów Slóaski; di quest'ultima stazione sono importanti anche i resti dell'Età del Bronzo venuti in luce anche a Biskupiec, Biskupin, Czarków e altrove. Ma per le caratteristiche del Paese, formato da aperte pianure e mancante di confini naturali sia a oriente sia a occidente, le culture preistoriche non vi assunsero mai forme veramente autoctone. A popolazioni protoslave, giunte nelle pianure nei primi secoli d. C., si deve la prima stabile occupazione del Paese, ben documentata nella zona archeologica di Biskupin. La regione del resto, nonostante i vivaci scambi che si svolgevano tra il Baltico e l'Adriatico, rimase sostanzialmente estranea alla colonizzazione romana; si inserì effettivamente nella storia d'Europa solo nel sec. X d. C., quando si formò uno Stato inglobante quei nuclei slavi che avrebbero costituito la matrice etnica della nazione, cioè in primo luogo i Polani, rappresentati essenzialmente da agricoltori sedentari, quindi numerosi popoli affini come i Cuiavi, i Masuri, i Vislani. La loro conversione al cattolicesimo rappresentò un elemento fondamentale nella storia della nazione polacca, che trovò la propria identità nell'esaltazione dei valori sì slavi – contro la minaccia da W della Germania –, ma anche cattolici, per opporsi a E a una Russia entrata nell'orbita della Chiesa ortodossa. Paese agricolo, con la penetrazione germanica, che si realizzò mediante la conquista dei centri strategici da parte dei Cavalieri Teutonici, la P. conobbe nuove organizzazioni territoriali, con particolare sviluppo dell'urbanesimo e delle attività commerciali. Ma, implicata in un tragico gioco dei potenti, cioè dei Russi, degli Austriaci, dei Prussiani, la P. perse attraverso i secoli ogni autonomia e i suoi stessi contorni territoriali. Questi, stabiliti – peraltro piuttosto artificiosamente – nel 1918 con la rinascita dello Stato come moderna Repubblica, furono profondamente mutati dopo la II guerra mondiale. Pur mantenendo il confine merid. con la Cecoslovacchia, le frontiere occid. e orient. slittarono verso W a scapito della Germania (che solo nel 1970 riconobbe la linea di confine segnata dai fiumi Oder e Neisse) e a vantaggio dell'Ucraina e della Belorussia, che inglobano oggi la P. orient. giungendo sino a una linea in gran parte indicata dall'alto corso del f. Bug. Nacque si può dire un Paese nuovo anche sotto il profilo antropologico. Nella P. d'anteguerra ben il 30% della popolazione era allogeno, rappresentato soprattutto da Tedeschi, Ucraini, Belorussi, Lituani, Cechi, Slovacchi; oggi è un Paese essenzialmente omogeneo, essendo tornati in Germania ca. 3,5 milioni di Tedeschi che vivevano a E della linea Oder-Neisse ed essendo rientrati in P. oltre 2 milioni di Polacchi dai territori orientali; attualmente, quindi, il 98% della popolazione è di nazionalità polacca, mentre il resto è costituito da esigue minoranze. Il costo pagato dal Paese in perdite umane fu elevatissimo: 6 milioni di persone (tra cui pressoché l'intera comunità ebraica), quasi tutte uccise nei campi di concentramento. Tali perdite, la contrazione delle nascite, le forzate emigrazioni oltre che della popolazione d'origine tedesca praticamente di tutte le altre minoranze, fecero sì che nel 1946 il Paese si ritrovasse con 24 milioni di ab. contro i quasi 35 milioni del 1938. Tale ferita nel tessuto umano è stata appena rimarginata (contando oggi la P. oltre 38 milioni di ab.), grazie all'elevato tasso di natalità dei primi decenni del dopoguerra, che solo negli anni Settanta si è ridotto, avvicinandosi a quello dei Paesi industrializzati dell'Europa occidentale. Del pari è cessata l'emigrazione che a partire dal secolo scorso investì la P., come tanti altri Paesi europei; si calcola che ca. 10 milioni di Polacchi si trovino in Paesi stranieri, soprattutto negli Stati Uniti (6 milioni). L'attuale densità è di 123 ab./km2, ma la distribuzione della popolazione è molto ineguale, in rapporto ai diversi sviluppi dell'urbanesimo e dell'industrializzazione oltre che alle condizioni ambientali, le quali determinano p. es. le basse densità della Pomerania e della Masuria (60 ab./km2), povere di suoli coltivabili e poco abitate anche in passato; la densità è piuttosto bassa anche nella fascia occid., da dove sono stati espulsi i Tedeschi. Nei distretti agricoli centrali e nella valle inferiore della Vistola predominano densità medie, oscillanti fra gli 80 e i 120 ab./km2; i valori più elevati si riscontrano nelle aree agricolo-industriali meridionali. Il tradizionale insediamento rurale mostra caratteri di transizione tra le forme tipicamente germaniche e quelle russe e la struttura degli insediamenti è assai varia. Il villaggio composto da case irregolarmente disposte, separate da viuzze, è prevalente nella P. merid.; quello su strada è diffuso nei bassopiani dove le inondazioni frequenti spingevano l'uomo a insediarsi lungo gli argini, naturale sede delle strade; invece in aree di più recente colonizzazione, p. es. nella P. occid., lungo le strade che un tempo segnavano i confini delle proprietà terriere si sviluppano sovente piccoli nuclei in successione abbastanza fitta. Ma se gran parte della P. è ancora agricola, tradizionale, oltre il 61% della popolazione vive ormai in grossi centri (era il 30% quarant'anni fa), a seguito di un processo di sviluppo economico e industriale che ha fortemente favorito alcune città medie e grandi o alcune aree, nelle quali sono andate concentrandosi le industrie. La progressiva urbanizzazione non ha però provocato gli episodi di gigantismo urbano tipici di molti Paesi europei, in quanto si è cercato di convogliare il flusso di emigrazione rurale verso le città nuove o comunque verso numerosi centri regionali. Ne è conseguita una rete urbana policentrica ed equilibrata: le eccezioni più vistose si possono ravvisare nella conurbazione slesiana, che fa capo a Katowice, e in quella di Varsavia. Quest'ultima, capit. della P., di antica fondazione, fu quasi interamente ricostruita dopo la II guerra mondiale – il centro storico è stato fedelmente riedificato, pietra su pietra –, che la ridusse a un cumulo di macerie; situata in una posizione nodale dal punto di vista delle comunicazioni, essa è il fulcro della vita economica del Paese. Seconda città è Lódz (833.700 ab.), a SW di Varsavia: centro cotoniero di primaria importanza da quando i Tedeschi, seguiti dai Russi, vi installarono manifatture tessili, continua, anche parzialmente riconvertito alla lavorazione delle fibre artificiali e sintetiche, a dominare una quota cospicua del mercato tessile dei Paesi dell'Europa orientale. Nella P. merid. lungo le rive della Vistola sorge Cracovia (745.100 ab.) , l'antica capit. d'origine medievale; splendida città d'arte, di storia, di cultura, con una celebre università fondata nel 1364 e rimasta nei secoli il centro d'irradiazione della cultura polacca; oggi Cracovia è anche sede di fiorentissime attività, economicamente sorrette dalla poderosa industria pesante di Nowa Huta, la “città nuova”, con cui forma ormai un unico agglomerato urbano. Poco a W di Cracovia, e come questa attingendo al bacino carbonifero slesiano, è la cosiddetta “Ruhr polacca”, una conurbazione che supera largamente i 2 milioni di ab. e che comprende Katowice (359.400 ab.) e una decina di altre grosse città industriali come Chorzów, Bytom, Zabrze, Gliwice, ecc. Altro importante centro slesiano, anzi il principale della P. sud-occid., è Breslavia (642.300 ab.), sull'Oder, attivo nodo di comunicazioni ferroviarie e fluviali del Paese; più a N è Poznan (582.800 ab.), sede di industrie e di una fiera merceologica internazionale di larga fama. Sul Baltico si sono sviluppati due grandi porti che rappresentano le aperture marittime della P.: Stettino (417.700 ab.), già naturale sbocco della Prussia, con un porto ottimamente attrezzato nel periodo tra le due guerre mondiali dalla Germania, e Danzica (463.100 ab.), città sempre contesa, importante fino dall'epoca della Lega Anseatica, e che oggi forma in pratica un unico complesso portuale con Sopot e Gdynia.
Sottoposta a regime comunista per oltre quaranta anni, la P. si è avviata alla democrazia con le modifiche costituzionali del 7 giugno 1989, mentre il 31 dicembre dello stesso anno veniva abolita la denominazione di Repubblica popolare assieme al ruolo guida del Partito operaio unificato. Attualmente la P., che si è data una nuova Costituzione il 25 maggio 1997, è una Repubblica parlamentare: il potere legislativo viene esercitato dal Parlamento, eletto a suffragio diretto e composto dalla Camera dei Deputati o Sejm (460 membri) e dal Senato (100 membri); il capo dello Stato viene eletto a suffragio diretto e resta in carica per 5 anni. Tra le più recenti innovazioni rientra anche l'introduzione della figura del presidente delle Camere, cui competono ampi poteri, tra i quali sciogliere la Camera dei Deputati, rifiutarsi di promulgare una legge e importanti prerogative in materia di difesa e di politica estera. Il Paese si estende per 312.685 km2, con una popolazione di 38.390.000 ab. (stima 1995); a seguito della riforma amministrativa del 1º gennaio 1975 è ripartito in 49 voivodati (province), comprese cinque municipalità urbane con status di voivodato (Varsavia, Cracovia, Breslavia, Lódz, Poznan); capit. è Varsavia. Lingua nazionale è il polacco; si hanno inoltre minoranze linguistiche tedesche, ucraine e bielorusse. In campo religioso, accanto a esigue minoranze di ortodossi ed ebrei, determinante continua a essere la componente cattolica (oltre il 90%).
Nonostante le sollecitazioni e le agevolazioni governative miranti all'istituzione di cooperative e di aziende agricole statali, i contadini polacchi sono rimasti per la quasi totalità piccoli proprietari, detenendo ca. il 75% delle terre coltivabili, ripartito in microfondi estesi in media appena 4 ha; anche per il marcato tradizionalismo della popolazione rurale, scarsissima rispondenza hanno trovato le cooperative. La politica perseguita in passato dai governi comunisti non sembra essere stata sufficiente a far conseguire apprezzabili risultati e in genere i livelli di produttività rimangono piuttosto bassi; tuttavia, data la presenza di un'area agraria molto estesa, pari al 46,1% della superficie nazionale, la P. si colloca per vari prodotti agricoli ai primi posti su scala europea; ridotta è rimasta la meccanizzazione, adeguatamente diffusasi negli scorsi decenni solo nelle 5000 aziende di proprietà statale. Le colture prevalenti sono rappresentate dai cereali (che trovano le loro zone più redditizie, grazie ai suoli adatti e alla piovosità non eccessiva, nelle vaste pianure lungo il corso della Vistola) e dalla patata, che è una componente fondamentale nell'alimentazione, ma che è altresì usata come foraggio e come materia prima industriale. Il prodotto cerealicolo principale è la segale (60 milioni di q annui); anche se oggi in molte regioni questo cereale non riveste più come in passato un ruolo primario nell'alimentazione, occupa sempre un posto di grande rilievo prestandosi a diversi impieghi, tra cui in larga misura la fabbricazione della vodka. Rilevante è anche l'apporto di frumento (90 milioni di q), diffuso nella P. merid. ma la cui produzione non copre però il fabbisogno interno, di orzo (42 milioni di q) e di avena (21 milioni di q). Importanza enorme riveste, come si è detto, la patata, i cui raccolti presentano però oscillazioni rilevantissime da un anno all'altro (363 milioni di q. nel 1990). Tra le colture industriali ottimamente rappresentata è la barbabietola da zucchero (167 milioni di q), diffusa nelle province occid., che fa della Polonia uno dei maggiori produttori di zucchero d'Europa; seguono il lino (270.000 q tra fibra e semi), coltivato nelle regioni orient. (Lublino), la colza (12 milioni di q) e il tabacco (570.000 q), mentre hanno minore importanza la canapa e il luppolo. Il Paese inoltre produce in discreti quantitativi cavoli (14 milioni di q), cipolle, ortaggi in genere e legumi e, tra la frutta, soprattutto le mele (7 milioni di q). Le foreste, pur occupando il 28% della superficie nazionale, non hanno nell'economia del Paese un peso adeguato alla loro diffusione, in quanto la produzione annua di legname (da opera e per l'industria cartaria, diffusa soprattutto nella Slesia) non raggiunge i 22,5 milioni di m3; oltre l'80% delle essenze è costituito da conifere.
Il patrimonio zootecnico è assai consistente: per i suini con 19,4 milioni di capi la P. si colloca tra i maggiori produttori d'Europa, così come per gli equini (ca. 1 milione), al cui allevamento ben si adattano le vaste pianure, e largo è il loro impiego nelle aree rurali per i lavori nei campi e per il trasporto delle merci. Un buon incremento ha registrato anche l'allevamento bovino (10 milioni di capi, per metà vacche da latte), in seguito alla crescente richiesta di carne e di latte; tra i principali prodotti zootecnici si segnalano la carne (3 milioni di t), il latte (16 milioni di t) e i prodotti lattiero-caseari (ca. 8 milioni di q fra burro e formaggi). Diffusi ovunque sono altresì i volatili da cortile (70 milioni di capi).