Giappone e California. Sponde vicine
Antonino Saggio
E' un interessante resoconto sull'influenza reciproca nel dibattito architettonico e non solo tra le due sponde del pacifico, Giappone e California. Per prima cosa si mette in evidenza che, nonostante la lontananza fisica delle due regioni, in realtà vi sono molti punti in comune nelle relative culture; infatti già nell'800 le relazioni commerciali tra i due paesi permettono anche un certo fluire di idee. Questo si riflette nell'architettura di Wright che visse in Giappone nei primi anni del secolo scorso, per esmpio con l'uso di aggetti e una poetica fondata sulla linea orizzontale, giochi si superfici e masse. Anche l'austriaco Schindler riprende i concetti di effimero, leggerezza e rinnovamento.
Di seguito l'articolo descrive l'opera di architetti prima giapponesi, poi californiani.
Per primi Isozaki con il suo giocare con quadrati e cerchi, Maki invece è rappresentante di un razionalismo del non finito. Questi è un architetto che non conoscevo ed ho trovato molto interessante la sua architettura fatta di elementi organici e corpi simbolici come dei totem moderni, o anche come armi. Un'altro filone aurifero sul versante nipponico sono per Saggio esponenti di una architettura integrata con la natura, non solo, anche quegli architetti che esprimono il loro linguaggio in modo eclettico, fino ad arrivare al "Barocco del Futuro".
In California l'eredità di Wright, Neutra e Shindler viene presa da un certo Gehry e portata ad una certa diffusione dalla scuola Sci-Arch, attraverso una rassegna di architetture di Gehry, suoi discepoli come i Morphosis, e infine di architetture più libere, luminose e aperte al paesaggio. Questi sono i più giapponesi tra gli architetti califoniani . Poi Moss con i suoi materiali levigati al fine di creare sculture dissacranti; e Hallberg infine che propone un'architettura lieve, al femminile, leggera e aperta al paesaggio. In questi architetti si vede chiaramente l'influenza della cultura giapponese, come il tema dell'effimero, il giardino, la leggerezza ecc. Infine la comune presenza del mare e la realtà del deserto delle Montagne Rocciose porta all'uso della pietra, della roccia come simbolo. Dai templi Maya a Taliesin West di Wright.
Peter Eisenman. Lotta al cubo
Antonino Saggio
Questo autore penso sia, oltre a Terragni, l'architetto che più piaccia al Professore, tanto da scrivere un libro molto interessante sulle opere di Eisenman.
L'articolo comincia con una breve biografia dell'americano, nella quale suddivide la carriera in tre grandi fasi: la prima arriva fina ai NY5 ('73); la seconda si chiude con il "Fin d'Ou T Hou S", di cui non avevo mai sentito parlare, dieci anni dopo; la terza infine è la fase attuale.
Nella prima fase egli pubblica i primi lavori e tiene diverse conferenze; si può definire come fase formativa. Il lavoro progettuale si limita a poche case, nelle quali però è già in nuce la sua poetica; infatti la sua analisi dell'Architettura già subisce una grande influenza da parte di Terragni. A questo punto parte l'analisi dell'architettura neo plasticista e concettuale delle prime case; infatti l'impatto che ho ricevuto nello studiare anche solo superficialmente questi primi progetti è stato di trovarmi di fronte al vero erede dell'architettura di Rietveld e Ass. L'analisi prosegue poi nel relazionare queste prime opere nel panorama architettonico degli anni '60 in poi, come primo frammento di tutte quelle parti speciali di cui è composta la galassia architettura.
La seconda fase sembra coperta da un velo di rassegnazione, ma in realtà è dedicata ad un certo impegno sociale, ciu segue però un periodo di momentanea sconfitta da parte del neorazionalismo dei compagni NY5 Graves e Meier. Tutto ciò porta Eisenmann a perdersi l'anima in ricerche ripetitive e senza un risultato tangibile. Questa è forse la parte più oscura della vita dell'americano.
Infine ecco l'83! Anno della svolta. L'ultima sua Hause lo porta a fare una prima mostra del suo lavoro, cosa che lo lancia finalmente nel firmamento degli architetti. Comincia quindi a realizzare le prime opere, soprattutto attrezzature per univesrità, edifici pubblici e per uffici. Dopo di che espone di nuovo i suoi lavori in una seconda mostra al MOMA di NY, seguita da varie pubblicazioni.
E' cominciata la terza fase, l'epoca attuale, matura e complessa. Ciò si riflette anche a livello formale: le geometrie euclidee si evolvono in forme complesse, sinuose, fino ad arrivare ai frattali. Anche la ricerca non è stata abbandonata, e si concentra su "estrusioni di linee spezzate su forme frattali, intrecci di origine minerale o vegetali, griglie urbane deformate prospetticamente e sovrapposte...". E' di sicura una ricerca che ha già cominciato a dare i suoi frutti stavolta...
La via dei simboli
Antonino Saggio
Opera House, Sidney, Australia. Ecco un simbolo. Un'icona.
Da questa imponente cattedrale della musica di Utzon parte la riflessione sul simbolo nell'architettura moderna; quest'ultima infatti si pone in netta antitesi con il neoclassicismo, e per esteso al simbolo, così presente in tale stile; essa nasce dall'astrazione e industrializzazione perpretata dal Bauhaus e dalla ricerca purista. Però già con il razionalismo di Terragni e il monumentalismo di Speere il simbolo ripudiato rientra ad avere la sua funzione di rappresentazione del potere attraverso l'architettura.
Poi negli anni '60, accanto all'hight tech di Rogers e Piano per il Beubourg, compaiono architetture simboliche, ma non più rappresentative di quel potere che si era espresso in forme classiche e monumentali. Questo nuovo linguaggio esprime ora la forza del potere democratico, del sapere, delle capacità tecnologiche del mondo moderno. Di volta in volta il simbolo viene usato per rappresentare le diverse attività della comunità. Il monumentalismo diventa un fatto della gente; l'Architettura può e deve simboleggiare i problemi e le esigenze della gente a livello collettivo, quindi urbano. Ma anche tratto caratteristico e punto di partenza per la valorizzazione dell'esistente.
L'Opera House è dunque il capostipite, secondo Saggio, di quel simbolismo architettonico ripreso da autori come Piano ad Amsterdam e Gehry a Bilbao, senza dimentirace Sharoun e Aalto. Chiude la casa rossa di Morris. Nessun richiamo invece a un'altra opera come quella di Sidney, stavolta religiosa, come la cattedrale di Brasilia di Niemayer. Essa infatti deve rappresentare simbolicamente la fede religiosa di un popolo come quello brasiliano assai eterogeneo nei credi religiosi, ma tuttavia assai unito nella forza della loro fede.