La storia di Renato
Mi chiamo Renato. Sono nato nel 1948 ed ho avuto un’infanzia piuttosto difficile in quanto sono cresciuto in un primo tempo presso i nonni e poi, dai cinque anni sino ai 14, in collegio. La mia formazione religiosa è stata molto rigorosa dato che questi istituti erano gestiti dai preti di San Vincenzo De Paoli e dalle Suore della Carità che a quel tempo avevano un grosso capellone bianco in testa ed erano anche chiamate “le suore cappellone”. Le suore sono state molto buone con me ma i preti invece erano molto severi; comunque, avrei voluto diventare missionario ma la salute cagionevole ostacolò la mia resa scolastica e così incominciai a lavorare per aiutare la mia famiglia.
A 17 anni conobbi i testimoni di Geova e quello che mi colpì maggiormente di loro fu la grande accoglienza e ospitalità che ricevevo ogni volta che andavo nella Sala del Regno. Dopo aver accettato uno studio biblico fui anche colpito dal loro modo di studiare la Bibbia e così a 18 anni mi battezzai come TdG. A 21 anni venni chiamato a prestare servizio nell’esercito e feci l’obiettore; dopo quattro chiamate ed altrettante condanne militari mi congedarono per “fissazione religiosa”, con l’articolo 28, dopo aver fatto anche un mese di ospedale militare a Verona nel reparto neuro in osservazione. Tutto questo causò un grande dispiacere alla mia famiglia, perché mio padre era un poliziotto e così dovetti andarmene di casa.
Senza
un soldo, con poca salute, magro come un’acciuga, senza un lavoro, mi trovavo
fuori casa ogni volta che uscivo dal carcere e fu così che decisi di
trasferirmi in Toscana per aiutare a formare un gruppo o congregazione a
Volterra. Qui conobbi mia moglie e, dopo qualche mese di fidanzamento, la
sposai, perché i fidanzamenti lunghi erano malvisti e poi una volta mi
beccarono mentre la baciavo (era solo un normale bacio fra fidanzati) e mi
fecero andare davanti ad un comitato giudiziario (una specie di tribunale
interno dei TdG). Io poi ero solo e alloggiavo presso i suoceri e non mi potevo
muovere, perché avevo sempre le “guardie” (i TdG) dietro e se osavo toccare
la fidanzata erano guai e così decisi mi sposarmi. Non avevo nemmeno 23 anni e
mia moglie era una bimba di 15 anni, 16 anni li compì quattro mesi dopo essersi
sposata.
Dopo due anni nacque il mio primo figlio e così mi stabilii
definitivamente a Volterra.
La mia vita trascorreva con il suo solito ritmo, problemi di famiglia, di lavoro e di congregazione, nella quale ero“anziano” e segretario.
Volterra
è sempre stata una cittadina tranquilla senza tanti problemi, ma c’era nella
congregazione un continuo bisogno di comitati giudiziari e a me questa cosa dava
molto fastidio. Quando venni coinvolto nel caso di un mio parente
consigliai di far venire un comitato da fuori per avere un giudizio più equo.
Grazie a questo comitato ed ai successivi
che ebbi modo di conoscere, incominciai a capire qual era la natura
dell’organizzazione a cui appartenevo. Mi sembrava di avere o di vivere in un
incubo, come se mi trovassi nel medioevo al tempo dell’Inquisizione, perché
tale era il modo di fare di questi illustri comitati formati dai nomi più
prestigiosi della Toscana. Non entro nei dettagli del caso riguardante il mio
parente perché mi fa male ricordarli ancora adesso. Comunque, dopo qualche
settimana dal fatto ed in seguito al mio dissenso nei confronti del comitato
(che espressi anche per iscritto alla filiale dei TdG di Roma la quale
mi dette ragione e rimproverò il comportamento del comitato), venni
rimosso da anziano con il pretesto che mio figlio a scuola aveva fumato una
sigaretta, perciò mi consigliarono di presentare le dimissioni, dato che non
avevo più il requisito di ‘avere i figli sottomessi’.
Per diversi anni
non ebbi i “privilegi” di fare discorsi nella sala principale, di
fare l’usciere, di leggere pubblicamente, ecc. Quando facevo notare la cosa
agli “anziani” mi dicevano che io non ero umile e che dovevo imparare a
stare al mio posto. Poi un giorno chiesi un incontro con il sorvegliante di
circoscrizione e gli chiesi dove dovevo migliorare dato che
non venivo impiegato nella congregazione; se avessi saputo dove ero
carente avrei potuto fare progresso. Mi risposero che non c’era niente che non
andava in me, ma che dipendeva tutto dal fatto che gli “anziani” si
dimenticavano di inserirmi nei programmi. Sta di fatto che, andato via il
sorvegliante, nei programmi delle adunanze il mio nome non c’era ancora.
Esasperato da questo fatto, riuscii in qualche modo ad accedere all’Archivio della congregazione e vi trovai una lettera calunniatrice nei miei confronti che feci leggere anche a mia moglie, la quale ne rimase scandalizzata. Chiesi l’incontro con un nuovo comitato ma la lettera, che io avevo rimesso nell’Archivio, era sparita ed all’udienza il sorvegliante che presiedeva giurò nel nome di Geova che non esisteva alcuna lettera e che mi ero inventato tutto. Mia moglie gli disse che non si doveva giurare nel nome di Geova. Allora il presidente del comitato le disse: “Tu sei una donna e devi stare in silenzio”. Quel sorvegliante poi fu mandato a fare il pioniere altrove e a Volterra ne mandarono un altro.
Vi fu poi il fatto riguardante il matrimonio di mia figlia Debora, alla quale, nonostante tutte le prove e le ammissioni dell’ex marito, non vollero mai concedere la possibilità di risposarsi, perché l’avrebbero disassociata in quanto loro non volevano parlare con il marito disassociato e pretendevano da lui una dichiarazione scritta in cui riconoscesse di avere un’amante. L’ex marito di mia figlia non voleva rilasciare tale scritto perché, essendo in corso il processo per la separazione ed il divorzio, questo documento poteva comprometterlo se portato da un avvocato; era però disposto a dichiarare verbalmente agli “anziani” di avere una nuova compagna. Però gli “anziani” non gli volevano parlare in quanto lui era disassociato! Infine l’ex marito scrisse che lasciava la moglie (mia figlia) libera per motivi scritturali, ma gli “anziani” non accettarono ugualmente, perché mancava la “base scritturale”; allora aggiunse anche il versetto biblico attinente, ma non gli risposero lo stesso. Mia figlia smise di frequentare le adunanze, si mise con un ragazzo e fu subito disassociata, in quanto ritenuta ancora sposata. Anche se la sentenza di divorzio era stata emessa gli anziani non accettarono la situazione e ritennero scandaloso che una donna sposata passeggiasse e andasse in macchina da sola con “uno del mondo”.
A seguito di queste e di altre vicende, anch’io smisi di frequentare la congregazione. Stavo molto male e per lo stress ho avuto problemi e li ho ancora per la pressione sanguinea alta e poi con il peso, perché devo mangiare per sentirmi bene e tranquillo, comunque una volta curato alla meglio mi sono messo a studiare e così ora sono uscito in maniera consapevole, a testa alta, da quell’organizzazione.
Desidero mettere in chiaro che non si dovrebbe uscire dall’organizzazione solo perché si subiscono dei torti o perché qualcuno si comporta male, ma questo è stato il motivo iniziale che mi ha spinto alla ricerca, allo studio, alla critica intelligente per riuscire a vedere da un’altra ottica quella realtà.
Ho incominciato a studiare religione, la patristica, la scolastica e la filosofia in generale, e poi religione comparata. Ho svuotato mezza biblioteca di Volterra su temi religiosi biblici, teologici e di esegesi, mi sono letto quasi tutti i libri di Erick Fromm, poi ho letto sulla cosmologia religiosa e per conoscere me stesso ho studiato diversi libri di grafologia e ora mi diverto a leggere i testi agli amici e svelo loro “bonariamente” tutti i loro problemi e pregi e rimangono sorpresi e increduli, perché indovino i lati più nascosti della loro personalità.
Concludo questa lettera affermando che ognuno deve riuscire a trovare la strada da sé. Ogni ricerca è personale, gli altri possono solo aiutare, ma se si rimane sotto ...le gonne della mamma non si crescerà mai. Per crescere bisogna che il bimbo lasci il seno materno, che ragioni da sé e solo così poi a sua volta potrà diventare adulto ed essere di aiuto ad altri. Ma se deleghiamo sempre gli altri a pensare per noi, decidere per noi, quando impareremo?
Sulla LIBERTA' religiosa
I TdG sostengono che
ognuno è libero di andare e venire, di uscire e poi rientrare
dalle loro file e che l'organizzazione è libera di espellere e
riassociare chi ritiene opportuno, senza alcuna limitazione e
controllo da parte di fonti esterne.
Questo potrebbe sembrare del tutto legittimo e corretto; voglio
però richiamare l'attenzione su alcuni fatti che possono far
capire meglio qual è la realtà esistente nella congregazione,
al di la della facciata pacifica e rassicurante con cui i TdG si
presentano all'esterno.
Tutti convengono che non esiste libertà dove vi sono costrizione,
forme di ricatto affettivo, sopruso e violenza psichica e morale;
ma questi sono proprio gli strumenti che vengono usati dai TdG
per indurre le persone a non uscire o, se escono, per indurle a
ritornare fra le loro file!
Perché dico questo? Perché nei confronti di chi lascia, i TdG
prendono - "per il bene della persona medesima", a loro
dire - durissimi provvedimenti "disciplinari", e
vengono imposte sanzioni disciplinari anche a chi, essendo ancora
un membro del gruppo, non segue le direttive che vietano ogni
contatto sociale, compreso il semplice saluto, nei confronti dei
disassociati. Tutto questo ostracismo dovrebbe indurre la persona
che ha lasciato al "pentimento" e al ritorno nella
congregazione.
Cosa significa tutto questo in pratica? Significa che dal momento che uno se ne va perde ogni rapporto sociale, di amicizia e anche di parentela. Infatti, se anche gli stessi familiari TdG non vivono sotto lo stesso tetto, i rapporti dovranno limitarsi a serie ed indispensabili questioni familiari. Ogni altro contatto è vietato.
La mia esperienza
personale può far capire cosa accade quando in una famiglia di
TdG vi sono dei disassociati.
Mia suocera, Testimone da quasi cinquant'anni, è morta
recentemente a causa di problemi cardiaci.
Negli ultimi anni in particolare, stava molto male e diverse
volte è stata ricoverata all'ospedale. Mia figlia Debora, anche
lei disassociata, andava due volte alla settimana a fare le
pulizie a casa della nonna. Io invece l'accompagnavo dal dottore,
al mare, a fare la spesa, ecc. Accadeva spesso che ci fermavamo,
io e mia figlia, a mangiare a casa dei suoceri, che erano
entrambi Testimoni.
Appena la cosa è stata risaputa dalla congregazione, sono stati
presi dei provvedimenti nei confronti dei miei suoceri, perché
ignoravano le direttive che vietano questi contatti con gli ex
membri. Hanno addirittura minacciato di disassociarli se non
cambiavano condotta, smettendo di mangiare assieme a noi.
Non sono stati disassociati, ma tutti hanno smesso di
frequentarli, anche se mia suocera era malata e bisognosa di
aiuto; non è stata nemmeno invitata al matrimonio dei nipoti,
alle feste e, quando era all'ospedale, nessuno è andato a
trovarla. Il caso ha voluto che, mentre era ricoverata, nella
stanza accanto alla sua ci fosse un'altra TdG: i "fratelli"
- compresi gli stessi parenti e familiari - andavano da questa
persona e passavano oltre la stanza di mia suocera!
Quando poi la povera donna stava per morire, come d'incanto sono
arrivati tutti e, quando è morta, volevano portarla in Sala del
Regno per il funerale. Si noti che io ero nella stanza insieme
alla defunta e nessun TdG mi ha degnato di uno sguardo o di un
saluto.
Mia suocera aveva lasciato detto che non voleva essere portata in
Sala, pur essendo stata TdG per quasi cinquant'anni ed essendo
stata una delle prime Testimoni della mia zona.
Qualche mese prima incontrai una sua stretta parente per strada e
le chiesi come mai non aiutava quella povera donna malata. La sua
risposta? "Noi aiutiamo quelli MERITEVOLI, per gli altri c'è
l'assistenza sociale!". Poi considerò un'aggressione il
fatto che l'avessi fermata per strada e che io, disassociato,
avessi avuto l'ardire di rivolgerle la parola. Mi disse che se lo
avessi fatto un'altra volta si sarebbe buttata per terra e
avrebbe chiamato i carabinieri.
Quello che vorrei qui evidenziare è che, anche se fosse corretto (ma non lo è) prendere provvedimenti cosi drastici nei confronti di chi lascia da sé o viene disassociato, sicuramente non è concepibile che tali farisaiche restrizioni vengano imposte nei confronti di chi è ancora un membro del gruppo! Io sono stato in carcere quattro volte perché non ho voluto fare il servizio militare, sono stato a Gaeta, Palermo, Peschiera e in transito ai carceri civili di Napoli e Reggio Calabria, ma vi assicuro che ho sofferto di più nel vedere che venivano presi dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei miei suoceri a causa mia.
Giudicate voi se
questa è libertà. Io so che la Bibbia dice che Dio ha creato l'uomo
LIBERO, libero di decidere da sé e scegliere il bene o il male.
Nel Deuteronomio si legge che Giosuè mise davanti al popolo la
scelta fra due vie e non costrinse nessuno, con restrizioni, a
seguirlo (Deut. 30:15-20).
Anche Gesù non giudicò nessuno ma assolse tutti, perché era
venuto a compiere un'opera di guarigione spirituale (Isaia 61).
Mangiò e parlò con i peccatori e perfino con i Samaritani, che
erano dissidenti religiosi che non accettavano tutte le Scritture
ma solo il Pentateuco; avevano anche un loro culto scismatico a
Samaria, sul monte Gherizim. Nonostante fossero quindi "eretici"
Gesù li trattò benignamente e parlò perfino con una donna
Samaritana. Si consideri che a quel tempo era scandaloso per un
giudeo parlare con una donna e per di più Samaritana! (Giov. 4).
Gesù parlò della pecorella smarrita e del buon Samaritano
Disse che era venuto per i malati (spirituali) e non per
chi stava bene (Luca 5:31).
Mi domando: è davvero questo il miglior modo di agire nei confronti di chi si "perde" spiritualmente? E' cristianesimo questo? E' libertà religiosa questa? Certamente questo modo di fare non ha niente a che vedere con il vero cristianesimo e con la libertà promessa da Cristo ai suoi discepoli (Giov.14:34).