I Testimoni di Geova e la profezia


La lettura della Torre di Guardia del 15 marzo 2000 sottolinea, ancora una volta di più se possibile, come in un tempo di insicurezza politica, sociale ed economica, rimanga un punto fermo e sicuramente stabile: l’aspetto ludico delle interpretazioni geoviste del libro sacro, del quale far più scempio di così non è possibile. Eppure loro, i Testimoni, riescono sempre a trovare il modo di farci sorridere. Vorrei contribuire anch’io all’allegria generale con un modesto contributo basato su una frettolosa considerazione dell’articolo intitolato "O Dio, manda la tua luce" (pagine 10-15 della rivista summenzionata).

Il Corpo Direttivo fa qui riferimento, per sostenere il suo assunto, ad una scrittura che da tempo è un suo cavallo di battaglia nel tentativo di spiegare e giustificare le sue ormai innumerevoli contraddizioni dottrinali e la sua mutevolissima esegesi: 1° Corinti 13:12, che va collegata all’altra ormai canonica di Proverbi 4:18. La prima, nella Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, così recita: «Al presente vediamo a contorni vaghi come per mezzo di uno specchio di metallo», la seconda: «Ma il sentiero dei giusti è come la fulgida luce che risplende sempre più finché il giorno è fermamente stabilito». Il collegamento tra le due viene fornito al paragrafo 12, dove si dice che: «Come gli apostoli compresero molte profezie sul Messia solo dopo la morte e risurrezione di Gesù, così i cristiani odierni comprendono le profezie bibliche nei minimi particolari solo dopo che si sono adempiute». Vediamo in che modo ciò avviene all’interno del sodalizio Gerontocratico – Teocratico.

Per un certo tempo Charles Taze Russell, il primo presidente della Watch Tower Bible & Tract Society, fu considerato l’unico, affidabile interprete del libro di Rivelazione. Nel libro I testimoni di Geova: Proclamatori del Regno di Dio, nel capitolo in cui si parla del libro Il Mistero compiuto (cap. 8°) troviamo infatti che: «Il fratello Russell non era riuscito a pubblicare questo volume durante la sua vita, benché avesse sperato di farlo. Dopo la sua morte il Comitato Esecutivo della Società dispose che due collaboratori, Clayton J. Woodworth e George H. Fisher, curassero la pubblicazione di questo libro, che era un commento a Rivelazione, il Cantico dei Cantici ed Ezechiele. In parte era basato su ciò che Russell aveva scritto su questi libri della Bibbia con l’aggiunta di altri commenti e spiegazioni».

Chiunque abbia avuto modo di leggere Il Mistero compiuto sa perfettamente che esso non è altri che un’accozzaglia, non solo di false interpretazioni, ma che è assolutamente un libro stupido, un libro nel quale il contenuto è infinitamente inferiore al costo della carta sulla quale fu stampato. Non vi è dubbio alcuno che coloro che lo redassero non erano proprio per nulla paragonabili a persone che "vedono a contorni vaghi come in uno specchio di metallo"; molto più appropriatamente possiamo paragonarli agli inebetiti beoni di cui parla Isaia 28:7, 8. E per essere certi di non essere fraintesi, riteniamo di fare cosa utile citando un breve elenco delle interpretazioni del libro la cui pubblicazione, non dimentichiamolo, "era stata approvata dai responsabili della Società" (jv-I, pag. 67).

Pagina 188 (edizione inglese). In base alla loro lettura di Rivelazione 12:7, Michele l’arcangelo raffigura il Papa di Roma, ed i suoi angeli raffigurano i vescovi della Chiesa cattolica romana!

Pagina 230. Rivelazione 14:20 si riferisce alla distanza di 32 chilometri, che coincide con lo spazio che separa Scranton in Pennsylvania dalla Betel di Brooklyn, e quindi in essa vi è la prefigurazione profetica della distanza fra i due uffici della Watchtower: Scranton, dove il manoscritto fu iniziato, e Brooklyn dove fu completato!

Pagina 156. Rivelazione 9:1-3. Il "fumo della fossa" rappresenta gli insegnamenti di Charles Wesley (il fondatore della Chiesa metodista) che causò "un’accecante confusione nella mente delle persone". Il "sole" e "l’aria" che vengono "oscurati" rappresentano il Vangelo e la Chiesa anglicana (la chiesa d’Inghilterra) che furono danneggiati dal messaggio metodista. Ogni commento sulla sanità di mente degli estensori di questi commenti "profetici", sembra assolutamente superfluo.

In realtà, ciò che la Società Torre di Guardia cerca di ottenere mediante il suo ricorso alle scritture di 1 Cor. 13:12 e di Prov. 4:18, è di convincere i suoi lettori che se si proclama di essere il portavoce di Dio ma l’Onnipotente non gli ha ancora rivelato il vero significato di alcune scritture, è del tutto corretto, in attesa di tale illuminazione, speculare su tali scritture e stamparne l’interpretazione che poi sarà suscettibile di chiarimento affinché milioni di persone, mediante la lettura di miliardi di pagine stampate, possano godere del privilegio di ascoltare la voce del "mediatore ufficiale" che rivela delle cose che poi successivamente saranno corrette, aggiornate e quasi sempre del tutto modificate!

Si noti come, al riguardo, si esprime La Torre di Guardia del 15 marzo 2000 a pagina 13 (nota in calce): «Dopo la morte di Russell fu scritto un libro, definito il settimo volume degli Studi sulle Scritture, in cui si cercava di spiegare i libri di Ezechiele e Rivelazione. Il volume si basava in gran parte su commenti che Russell aveva fatto su quei libri biblici. Tuttavia non era ancora arrivato il tempo per rivelare il significato di quelle profezie e in generale le spiegazioni contenute in quel volume degli Studi sulle Scritture risultarono poco chiare. Negli anni che seguirono, grazie all’immeritata benignità di Geova e agli sviluppi della situazione mondiale i cristiani poterono discernere meglio il significato di quei libri profetici».

In realtà ciò che l’apostolo Paolo voleva dire scrivendo ai Corinti «al presente vediamo a contorni vaghi per mezzo di uno specchio di metallo», non era che gli ispirati apostoli potessero sbagliare nella loro interpretazione delle profezie delle Scritture Ebraiche. Ma, molto più semplicemente, che la loro conoscenza era incompleta. È facile comprendere che quando si hanno delle informazioni parziali su qualcosa ciò non implica automaticamente che tali informazioni siano anche false o distorte, ma semplicemente che esse devono essere integrate.

Invece i Testimoni, come è loro consolidata tradizione, hanno inserito nel versetto 12 di 1 Corinti capitolo 13, la parola accuratamente, mentre invece la TOB (Traduzione Ecumenica della Bibbia) e la Bibbia di Gerusalemme hanno perfettamente, la versione di Monsignor Salvatore Garofalo, appieno, la Ricciotti per intiero. Parzialmente e pienamente sono due espressioni che si possono coniugare insieme senza che l’una implichi un errore nell’altra, ma solo un gradino di conoscenza maggiore; ma paragonare accuratamente con vagamente ("contorni vaghi" in TNM) trasmette al lettore un’idea deviante, poiché induce a pensare che "vago" sia il corrispettivo di "non accurato".

Spieghiamo meglio ciò che vogliamo dire: gli apostoli ispirati così come gli altri scrittori del Nuovo Testamento non sono mai stati responsabili di aver prodotto false interpretazioni delle profezie veterotestamentarie. Tutto ciò che essi scrissero era sempre assolutamente vero. Nessuno d’essi è mai stato costretto a ritrattare ciò che aveva scritto e a dire, "mi sono sbagliato". La Torre di Guardia invece fa di queste ritrattazioni un costante esercizio della sua prosa "letteraria". Per quanto riguarda, poi, Proverbi 4:18, la corretta regola interpretativa è quella di attenersi strettamente al contesto. Facendo ciò ci rendiamo facilmente conto del fatto che in quel passo l’autore non sta assolutamente parlando delle interpretazioni profetiche, ma solo ed esclusivamente del modello di condotta di colui che crede in Dio. Il consiglio che viene provveduto è soltanto quello di prestare ascolto alla parola di Dio e di progredire nella saggezza e nel discernimento e, appropriatamente, viene fatto uso del termine "luce" per far comprendere come i credenti che sono fedeli possono crescere vieppiù in saggezza con l’avanzare dell’età, mentre, al contrario, i malvagi progrediscono nelle tenebre (vedi Proverbi 4:19).

Prima di concludere questa breve considerazione riguardante l’esegesi di uno dei passi più importanti e innovativi della teologia paolina, ci sembra opportuno, per fornire al lettore ulteriori elementi di riflessione, ascoltare la voce autorevole della critica letteraria seria, in contrapposizione con quella umoristica a cui ci si deve limitare quando si legge La Torre di Guardia. E per far ciò è utile un riferimento all’analisi che di questo testo viene fatta in alcune delle opere di consultazione che sono universalmente riconosciute come fra le più accreditate nel moderno panorama degli studi biblici. Citeremo, pertanto, Il grande lessico del Nuovo Testamento, di Gerhard Kittel (Paideia), Le lettere di San Paolo, di Giuseppe Ricciotti (Mondadori) e Le lettere ai Corinti, di Hainz-Dietrich Wendland (Paideia). La prima opera (Volume I, coll. 479 segg.), dice: «L’immagine della visione e della rivelazione speculare non allude in nessun modo al fatto che lo specchio dà soltanto un’immagine indiretta o imprecisa. Questo difetto vien rilevato solo quando gli specchi imprecisi vengono esplicitamente distinti da quelli precisi. È falso quindi che gli specchi antichi riflettessero sempre immagini confuse (cose invece vorrebbe far credere il Corpo Direttivo usando la parola "vago"), come pure è falso che nei rabbini e in Filone la metafora speculare adombri costantemente il fatto che "attraverso lo specchio non si vede la cosa ma soltanto la sua immagine", che anzi Mosè viene esaltato come colui che ha ricevuto la più diretta e alta rivelazione quando ha contemplato Dio in un nitido specchio. È chiaro da questi esempi che le due metafore — dello specchio e dell’enigma — assumono una particolare pregnanza solo in riferimento alla rivelazione profetica. Il senso complessivo dell’affermazione paolina è perciò questo: l’uomo rinato nello spirito in questo mondo può vedere (blepein) Dio come lo vede il profeta. Le due parole, — ainigma e esoptron — malgrado la loro sostanziale equivalenza semantica venivano usate con una diversa intonazione, come risulta evidente dalla discussione rabbinica su Mosé. La prima infatti indica sempre l’oscura conoscenza e rivelazione dei profeti, a cui si contrappone la limpida visione di Mosé; l’altra invece non comporta questa intonazione restrittiva e può esprimere sia la visione di Mosé sia quella degli altri profeti, solo che lo ‘specchio’ del primo è migliore di quello degli altri. L’espressione paolina non è quindi tautologica in quanto en ainigmati precisa in senso restrittivo il più generico di esoptrou. La nostra conoscenza attuale è soltanto en ainigmati (non ‘solo’ di esoptrou)».

L’abate Ricciotti, nel suo commento alla II Lettera ai Corinzi, dice:«Adesso, nell’esistenza presente; allora, nella futura. — Specchio; lo specchio non solo si limita a riflettere l’immagine, ma per di più la raggira attorno a se stessa facendo sì che, nella direzione di chi la osserva, il destro diventa sinistro e il sinistro diventa destro, ossia offre una copia non identica ma analoga alla realtà: così la conoscenza che adesso abbiamo di Dio è soltanto riflessa e analoga, quasi in enigma, difficile a essere risolto. Invece, allora vedremo Dio a faccia a faccia, senza l’intermediario di specchi e di enigmi, ossia lo vedremo come è (I Giovanni, 3, 2): ancora una volta la catechesi di Paolo concorda con quella di Giovanni (cfr. al vers. 1). — Conoscerò … sono conosciuto; è impiegato il verbo epiginosco, che a rigore significa sopraconosco, cioè conosco appieno (cfr: a Colossesi, 1, 9). Naturalmente, conosciuto da Dio; vedi a 8, 3».

Il professor Wendland. Infine, nel suo Commento spiega che «Paolo ripete lo stesso principio ricorrendo all’immagine della figura riflessa dallo specchio, un’analogia di cui si è già servito per spiegare la visione indiretta. Ora vediamo la verità divina solo indirettamente, come mediata da uno specchio; dunque non vediamo l’oggetto in sé, ma solo un’immagine imperfetta (cfr, 2Cor, 5,7; I Io. 3, 2); allora invece lo vedremo incontrandolo di persona, senza i legami che ci vincolano al mondo e ci separano da lui, così come già ora Dio ha penetrato con lo sguardo e scrutato fino in fondo il credente. Allora i figli di Dio lo vedranno faccia a faccia (cfr. Mt. 5,8; Apoc. 22,4). Qui i cristiani non possono stare senza gnosi e profezia, là tutto è luce "diretta", rivelazione immediata della gloria; lo "vedremo così com’è" ( I Io. 3,2). Le due immagini stabiliscono il limite escatologico della gnosi e preannunciano la fine di questa. Ciò che attualmente viene donato alla comunità mediante i carismi è solo un parziale inizio della "perfezione" e quindi deve essere valutato da questa perfezione futura. La gnosi di Corinto invece chiude se stessa al futuro e perciò rovina il dono che le è stato dato. Ha perduto il senso della misura e la prospettiva del reale dal momento che scambia ciò che è imperfetto, infantile, con la perfezione; ciò che è parziale, che pure finirà, per il tutto. Quando Paolo conclude che l’amore rimane in eterno, anche nella pienezza, questa affermazione è conforme a tutto lo spirito del discorso».

Si nota con immediatezza, in tutti e tre i commentatori, come l’argomento di Paolo non sfiori nemmeno lontanamente la possibilità che Dio consenta ai suoi servitori una visione distorta, erronea, che dev’essere successivamente modificata, dei suoi propositi e delle sue verità; egli invece sta qui trattando il tema dell’amore e della conoscenza di tale amore proveniente da Dio e verso lui diretto. Kittel, per esempio, dice che in nessun modo Paolo allude al fatto che lo "specchio dà soltanto un’immagine indiretta o imprecisa". Ricciotti spiega che esso offre una "copia non identica ma analoga alla realtà". Infine Wendland precisa che ciò che abbiamo è "un parziale inizio della perfezione". Tutti e tre (ed il resto degli studiosi) non ipotizzano mai l’erroneità nella comprensione profetica da parte degli apostoli o degli scrittori del Nuovo Testamento, ma rilevano solo ciò che Paolo volle far comprendere ai Corinti: che la faccia di Dio, cioè la pienezza del suo amore sarà totalmente comprensibile solo al di là dello specchio, cioè nella dimensione spirituale dell’unione che ha luogo con Dio dopo la morte e alla fine dei tempi.

Ancora una volta, quindi, l’articolo della Torre di Guardia del 15 marzo 2000, si configura come l’esercizio da parte di chi della luce delle scritture non possiede nemmeno un "quark", volto a convincere tutti gli altri che si è, invece, detentori di una luce paragonabile solo a quella che si sprigionò nel Big bang al momento della nascita dell’universo.

Sergio Pollina