Società Torre di Guardia, epigrafia e grammatica latina

In epigrafia (la disciplina che si occupa dello studio delle antiche iscrizioni), ci sono delle regole ben precise per trascrivere sulla carta quanto riportato sulle lapidi. Le parentesi quadre, ad esempio, indicano una lacuna: significano che le lettere o le parole eventualmente riportate all'interno di esse non sono visibili sull'originale, ma costituiscono una ricostruzione dell'editore, il quale in base al contesto talvolta riesce a reintegrare quello che il tempo ha cancellato. Quando questa integrazione non è possibile, le parentesi quadre restano vuote o contengono dei puntini, tante quante sono le lettere mancanti. Ad esempio, la trascrizione

SURREX[ERU]NT

indica che le tre lettere "ERU" sono sparite dall'originale per qualche motivo; ma l'editore, dopo aver compreso di che parola si trattava, le ha reintegrate. La trascrizione

PER[...]CAR

indica invece che sono sparite tre lettere che l'editore non ha saputo interpretare. Nel caso della prima pubblicazione della lapide di Pilato da parte della Società Torre di Guardia, è stata riprodotta una frase latina senza alcuna parentesi:

Caesariensibus Tiberium Pontius Pilatus Praefectus Iudaeae

Si trattava quindi di una citazione del testo latino che non aveva lo scopo di riprodurre la situazione precisa dell'iscrizione, la quale invece ha delle lacune; era solamente interessata a fornirne la trascrizione ricostruita. Ciò in sé non costituisce una grave mancanza, se si tiene conto che la pubblicazione aveva un carattere divulgativo. Però il fatto che manchi l'indicazione delle lacune e delle righe induce il lettore a pensare che il testo sia stato ritrovato in questo modo [1]. Invece, poiché la lapide è incompleta, molto probabilmente qualche parola tra l'una e l'altra riga è scomparsa. Se così fosse, il testo sopra ricostruito sarebbe comunque lacunoso. 

Nella prima edizione del libro, quindi, il testo era riportato senza indicazioni epigrafiche, e con un errore di latino: tiberium al posto di tiberieum. Questa trascrizione sbagliata ha fatto sì che, come già detto, il nome di un edificio dedicato a Tiberio diventasse Tiberio medesimo, come viene suggerito nella traduzione della pubblicazione geovista:

Agli abitanti di Cesarea Tiberio Ponzio Pilato prefetto della Giudea

L'errore fatto notare da Achille nella sua lettera alla Congregazione era solamente quello della trascrizione; ma ve n'era anche uno nella traduzione. Infatti, Tiberium è declinato al caso accusativo, che indica il complemento oggetto, mentre Pontius Pilatus è al caso nominativo, ed è il soggetto della frase. Di conseguenza, anche se sulla lapide ci fosse stato scritto Tiberium al posto di tiberieum, la traduzione "Tiberio Ponzio Pilato" sarebbe stata sbagliata in ogni caso, perché non è grammaticalmente possibile associare il soggetto con il complemento oggetto e presentarlo come se fosse il nome di un'unica persona. Ciò significa che, oltre all'errore di trascrizione, nessuno dei redattori di quel libro dei Testimoni di Geova era stato in grado di identificare il grossolano errore grammaticale che ne derivava. 

La lettera di Achille ha indotto la Società a correggere la sua pubblicazione. Ma anche in questo caso, essa si è limitata semplicemente ad accogliere un suggerimento esterno, senza accertarsi seriamente dell'errore compiuto. Infatti, anche nella presente edizione permangono degli errori:

Caesariensibus Tiberi[é]um Pontius Pilatus Praefectus Iudaeae.

Agli abitanti di Cesarea [Tiberiéum] Ponzio Pilato prefetto della Giudea.

Qui la Società ha pensato bene di aggiungere delle parentesi quadre, che però, come visto, servono ad indicare una lacuna. Sembrerebbe che dalla citazione semplice dell'edizione precedente si sia passati ad una più precisa trascrizione epigrafica. In tal modo, qualsiasi persona che abbia una piccola infarinatura di epigrafia, paleografia o filologia, leggendo questa frase capisce che l'epigrafe è completamente leggibile, a parte una lettera riportata tra parentesi quadre, la "é". Basterà però dare uno sguardo alla fotografia della lapide per comprendere che tutta la parola è perfettamente leggibile: è quindi un errore del quale non comprendo la ragione mettere tra parentesi quadre la "é". Ancora più incomprensibile è il fatto che nella traduzione venga messa tra parentesi l'intera parola tiberieum, che andava semplicemente tradotta con "costruzione dedicata a Tiberio". Forse l'unica spiegazione sensata è che in quel modo gli editori del libro volessero correggere l'errore precedente, secondo le istruzioni date da Achille, e con le parentesi quadre abbiano segnalato la correzione rispetto al testo precedente. Ma, non conoscendo evidentemente il valore preciso che le parentesi hanno nelle trascrizioni di questo genere di testi, essi hanno introdotto un segno tutt'altro che trascurabile. Sarebbe invece stato molto più sensato, una volta appurato l'errore, abbandonare quella fonte inaffidabile e citare da una fonte valida, senza bisogno di correzioni ulteriori.

Anche la parola Caesariensibus fa nascere qualche problema. La presenza di questa parola è stata ipotizzata dal primo editore che ha così integrato la S che compare prima della parola tiberieum. Poiché spesso nelle lapidi dedicatorie si trova il nome degli abitanti della città, quella S potrebbe essere stata una parte del termine Caesariensibus ("agli abitanti di Cesarea"), in questo modo:

CAESARIEN]S(IBUS)

dove le parentesi tonde indicano il completamento della parola, che nella lapide sarebbe stata abbreviata. Questa lettura è stata comunemente abbandonata, in quanto avrebbe richiesto uno spazio molto esteso per le lettere precedenti. Altre letture sono state proposte, in modo più o meno verosimile:

CAE]S(ARIENSIBUS

DIS AUGUSTI]S

KAL(ENDIS) IULII]S

OPU]S

NEMU]S

IUDAEI]S

CLUPEI]S

S(IT)

Per evitare di scegliere una di queste letture, che non superano la certezza di una semplice ipotesi e comunque hanno significati completamente diversi tra loro, e per evitare la confusione che può ingenerare la presenza isolata di questa S, meglio sarebbe stato riproporre semplicemente la corretta trascrizione epigrafica:

]S TIBERIEUM

PON]TIUS PILATUS

PRAEF]ECTUS IUDA[EA]E

In questo modo, qualunque fosse il significato di quella S, si capisce che tutta la parola Caesariensibus è solamente una ricostruzione (per lo più abbandonata) basata solamente su una lettera. Se la Società aveva deciso di utilizzare le parentesi nella seconda edizione, avrebbe dovuto utilizzarle sicuramente qui [2].  

Tutti questi errori sarebbero stati evitati se la Società si fosse preoccupata di consultare le pubblicazioni scientifiche che forniscono la descrizione e la trascrizione della lapide: l'edizione degli scopritori [3], anzitutto, ma anche altri contributi successivi [4], oppure qualche seria pubblicazione di larga diffusione [5] o anche una semplice enciclopedia biblica [6]; la trascrizione di questa lapide, infatti, è riprodotta molto spesso, ed è semplicissimo per chi abbia una minima dimestichezza con le discipline classiche trovarla riportata in qualche pubblicazione. L'aver fatto ricorso all'articolo di un giornale denota una certa superficialità nell'uso delle fonti, e fa pensare che nella Società manchi anche un comune revisore in grado di comprendere e tradurre una semplice iscrizione latina. Superficialità che è stata ribadita nella seconda edizione del libro, quando invece di accertarsi della corretta dicitura della lapide, si sono introdotti altri elementi confusionari nella sua trascrizione e traduzione.

Andrea Nicolotti
www.christianismus.it 

Note:

[1] Invece, pur in un libro dedicato al grande pubblico, Vittorio Messori riproduce la trascrizione della lapide, ma lo fa correttamente, utilizzando le dovute parentesi ed i segni dell'a capo (Patì sotto Ponzio Pilato, Torino, SEI, 1992, p. 94).

[2] Comunque, le edizioni normalmente non considerano la presenza di quella S. 

[3] A. FROVA, L'iscrizione di Ponzio Pilato a Cesarea, in «Rendiconti dell'Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere» XCV (1961), pp. 419-434; C. B. GERRA in AA.VV., Scavi di Caesarea Marittima, Milano, 1965, pp. 217-220. 

[4] C. GATTI, A proposito di una rilettura dell'epigrafe di Ponzio Pilato, in «Aevum. Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche» LV (1981), pp. 13-21; A. DEGRASSI, Sull'iscrizione di Ponzio Pilato, in Scritti vari di antichità, Trieste, 1967, vol. III, pp. 269-275; H. VOLKMANN, Die Pilatusinschrift von Caesarea Maritima: «Gymnasium» LXXV (1968), pp. 124-135; E. WEBER, Zur Inschrift von Pontius Pilatus, in «Bonner Jahrbucher des Rheinischen Landesmuseums in Bonn» 146 (1971), 194-200; A. BETZ, Zur Pontius Pilatus-Inschrift von Caesarea Maritima, in W. ALZINGER (a cura di), Pro arte antiqua. Festschrift für Hedwig Kenner, Wien, 1982, vol. I, pp.33-36. 

[5] Tra le tante, E. SCHÜRER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, Brescia, Paideia, 1985, p. 442; L. BOFFO, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Brescia, Paideia, 1994, n° 25. 

[6] La più diffusa in Italia, ROLLA - ARDUSSO - GHIBERTI ed altri, Enciclopedia della Bibbia, Torino, LDC, 1971, alla voce Pilato, vol. V, p. 779.