23 agosto 1997

Cari fratelli,

Vi scrivo in merito alla Domanda dai lettori comparsa sulla Torre di Guardia del 15 giugno 1997, concernente la pena capitale. Nella risposta sostenete che la pena di morte non sia intrinsecamente immorale. Trovo molto difficile accettare questo punto di vista. Credo infatti che uccidere qualcuno per un delitto commesso - fosse anche l’assassinio - sia come minimo una crudeltà degradante e una violazione del fondamentale diritto alla vita. Mi sembra contraddittorio insegnare il rispetto per la sacralità della vita - astenendosi scrupolosamente dal sangue quale suo simbolo o ritenendo immorale l’uccisione di un embrione - e ammettere poi che degli uomini imperfetti abbiano l’autorità di decidere la morte di qualcuno. Vuol dire questo che in alcune circostanze non è più Dio il padrone assoluto della vita, ma lo diventano gli uomini? Ritengo che questo modo di pensare possa portare a delle posizioni ancor più problematiche.

Mi pare inoltre che nei passi di Pietro e Paolo citati nella Torre di Guardia, non si dica in modo esplicito che la pena di morte sia lecita. Ma anche se così fosse, io penso che molte dichiarazioni bibliche - pur essendo "parola di Dio" - risultino condizionate dalla cultura e dall’ambiente in cui vennero formulate. Vorrei fare un esempio per spiegarmi meglio: in tutta la storia - sia secolare che biblica - è sempre stato considerato normale possedere degli schiavi. La Bibbia non condanna mai, in nessun passo, la schiavitù, anzi, in molte lettere di Paolo viene approvata (Ef.6:5; Col.4:22; 1°Tim.6:1, ecc.). Gli schiavi non erano semplicemente dei "lavoratori salariati", nel senso moderno del termine, ma appartenevano letteralmente al loro signore. Nell’Esodo si legge che il padrone poteva bastonare lo schiavo e se, a causa delle percosse, dopo alcuni giorni questi fosse morto, non doveva essere vendicato "perché è il suo denaro"(Es.21:21). Da ciò si desume che lo schiavo era considerato più una proprietà che una persona. (Fra l’altro, questo è detto nella Bibbia anche delle mogli: Esodo 20:17 include la moglie del prossimo fra le cose da non desiderare, elencandole nel seguente ordine: 1° la casa, la moglie, 3° lo schiavo, 4° il toro, 5° l’asino, ecc.). Sotto questo aspetto, la Bibbia riflette quindi la cultura e le consuetudini dell’epoca in cui fu scritta e dei secoli passati. E’ interessante, per esempio, la seguente affermazione di Aristotele: "Un essere che per sua natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo. E appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà" -Aristotele, Politica, 1254 b 15, Laterza, Bari, 1989.

Il fatto quindi che nella Bibbia - e nel passato in genere - ci si esprimesse in questi termini, dovrebbe farci concludere che la schiavitù sia lecita? Per millenni la risposta a questa domanda è stata affermativa. Anche i proprietari di schiavi del diciottesimo e diciannovesimo secolo citavano Paolo e la Bibbia per "provare" la legittimità cristiana della schiavitù. Non è stato quindi il ‘cristianesimo’ ad abolire la schiavitù, ma uomini che hanno dato ascolto alla voce interiore della loro coscienza e che hanno agito non seguendo interpretazioni di leggi o scritture ritenute infallibili e immutabili, ma fondamentalmente - e magari senza nemmeno conoscere la Bibbia - nello spirito dell’amore enunciato nella Regola Aurea: "Fai agli altri quello che vuoi che gli altri facciano a te" (Matt.7:12). Alla luce di queste parole, è inammissibile per un cristiano approvare la schiavitù. Oggi è facile trarre queste conclusioni, ma per secoli - purtroppo - le cose sono andate diversamente. Lo stesso ragionamento si può applicare alla pena di morte.

Io penso quindi che sia importante leggere la Bibbia tenendo sempre presente la figura di Cristo e dando risalto ad aspetti come l’amore, la misericordia, il perdono, la longanimità e non solo all’inflessibile - e spesso inumana - ‘giustizia’. A volte in Sala o alle Assemblee sentiamo esempi del tipo ‘secondo voi Cristo lo avrebbe fatto?’, oppure ,‘vi immaginate Gesù che imbraccia un fucile?’. Non riesco nemmeno ad immaginare Gesù mentre sta facendo un’iniezione letale, o mentre sta decapitando, ghigliottinando, impiccando, lapidando - l’elenco potrebbe continuare - qualcuno. Il cristianesimo comporta il rifiuto della violenza, sia fisica che spirituale. Sono interessanti a questo proposito le parole di un ‘eretico’ valdese del tredicesimo secolo: "Oh Chiesa, tu predichi e dici che la pena capitale è lecita e che può essere eseguita senza commettere peccato dai principi e dalle autorità costituite. Ma questa è la più falsa delle predicazioni! E non c’è da meravigliarsi perché anche tu sei falsa! Al contrario l’apostolo dice: non a voi spetta la vendetta ma al Signore". (S.Burci, Liber supra stella (1235), cit. in Valdismo medievale, Torino, 1980, p.57). Queste parole mi sembrano straordinariamente attuali. Molte altre persone si sono espresse in modo simile: "Uccidere chi ha ucciso è un castigo senza confronto, maggiore del delitto stesso. L’assassinio legale è incompatibilmente più orrendo dell’assassinio brigantesco" (F. Dostoevskij). "Ho esaminato la pena di morte sotto due aspetti, azione diretta, azione indiretta. Che cosa ne rimane? Nient’altro che una via di fatto sanguinosa che si chiama crimine quando è compiuta da un individuo e giustizia (dolore!) quando è commessa dalla società" (Victor Hugo). Trovo molto naturale condividere questo modo di pensare. Mi pare un riflesso dello spirito amorevole di Cristo.

Concludo osservando che, a mio parere, c’è una certa incoerenza nella Torre di Guardia, quando parla di "scrupolosa neutralità". Dopo aver infatti argomentato che la pena di morte è lecita - avallando tale posizione con la citazione delle Scritture e quindi dicendo che tale punizione ha l’approvazione della Massima Autorità -, la rivista si esprime tortuosamente in merito alla "questione se un governo di questo mondo debba esercitare il diritto di mettere a morte gli assassini". Penso che se un governante avesse degli scrupoli in merito, dopo aver letto La Torre di Guardia, non avrebbe più esitazioni nel far eseguire le condanne a morte! Forse ci sarebbe stata più neutralità se si fossero citati passi in cui si parla di amore, perdono, misericordia, rispetto per la vita, facendo poi appello alla coscienza umana.

Queste sono le mie idee sull’argomento, basate sulle mie esperienze di vita. Attendendo una vostra risposta in merito, colgo l’occasione per rivolgere a voi tutti un cordiale saluto.

Lorenzi Achille