I Testimoni di Geova Al Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova Cari fratelli, Esaminando le citazioni di autori, cristiani e non, che appaiono nella vostra letteratura nel tentativo di offrire al lettore Testimone di Geova un collegamento teologico con gli antichi autori cristiani, si nota che non sempre viene rispettato il corretto pensiero degli autori, specialmente quando nella citazione non si contempla il significato che essa assume nel suo contesto: l'ambiente culturale, storico e scientifico. Quello di attirare, da parte del Corpo Direttivo (CD) dei TdG, l’attenzione del comune “testimone”, imprudentemente o intelligentemente, su un determinato brano scelto, ha l’effetto di consolidare nei TdG la convinzione che i veri cristiani sono solo loro e che tutti gli altri, in special modo gli studiosi, hanno travisato il pensiero, non solo della Bibbia, ma anche degli autori che vennero dopo gli apostoli, alcuni dei quali hanno fatto da ponte per la successiva generazione cristiana. Alcuni, anche TdG, mi hanno chiesto: “Te ne sei accorto solo ora?” Il tempo della crisi può avvenire in qualsiasi momento. A dire il vero, ho sempre trovato difficoltà ad abbinare il significato che la Società dava a frasette racimolate qua e là, con il pensiero degli autori dai quali la frase era stata estrapolata. Combattevo tra la fedeltà alla Società e la fedeltà alla verità che scoprivo quando andavo a leggere l’originale citato. Mi dicevo: “Un discorso così complesso, come si può liquidare in due frasi?”. Tante volte, quando mi accingevo ad esaminare il contesto del versetto citato, mi veniva il dubbio di non aver capito bene e che forse la Società aveva ragione; il senso di colpa aveva il potere di ricacciare indietro il dubbio ed ogni forma di sospetto per affermare l’integrità morale della Torre di Guardia. Ricordo un episodio negli ultimi mesi della mia attività di “anziano” (1986-1987), quando frequentavo la congregazione “Vallette” (To): in una “adunanza di servizio”, durante una dimostrazione per la distribuzione delle riviste, chiesi alla congregazione che cosa intendeva la Società quando si cita l’aforisma di Nietzsche sulla “morte di Dio”. Si rispose in base al pensiero della Società. Il discorso era rivolto all’indirizzo di molti ecclesiastici della cristianità e a gran parte dei suoi componenti, i quali - si sosteneva -, più che seguire la fede cristiana, fanno professione di ateismo. Si tratta di vedere tuttavia cosa si intende per “morte di Dio”. La teologia radicale della morte di Dio, che pure cita la frase di Nietzsche, (Paul Tillich, Hammilton, Robinson, ecc.), è molto complessa e mi chiedevo, appunto, come potesse la Società liquidare un discorso così vasto con due semplici frasette. O si spiega come sarebbe giusto fare, o, se non si spiega, sarebbe più onesto lasciar perdere: non si lancia il sasso e poi si ritira la mano! Trattare da burattini gli autori di tale dottrina, ritenendoli persone che disprezzano la Bibbia, quando invece essa da parte loro trova il più profondo apprezzamento, mi sembra un segno di pessima cultura. Si parte dalla teologia di K. Barth e dalla demitizzazione di R. Bultman, di corrente protestante, nel tentativo di spiegare Dio e Gesù Cristo in una maniera del tutto nuova, rispetto alla tradizione. Si tratta inoltre di alcuni teologi, e non degli ecclesiastici in generale, che vanno ricercati nell’area protestante, diciamo anche con alcune simpatie da parte cattolica. La Società commette spesso l’errore di fare di ogni erba un fascio. Nonostante la mia iniziale reticenza nel verificare le citazioni, alla fine prevalse la ragione: rilessi L’uomo folle, il testo di Nietzsche dal quale la Società ha tratto la parte sulla “morte di Dio”. Mi risultò che Nietzsche aveva in mente ben altra cosa da quella prospettata dalla Società: «Dove se n’è andato Dio? – gridò - ve lo voglio dire: siamo stati noi ad ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalle catene del suo sole?… Non è il nostro un eterno precipitare… Non stiamo vagando verso un infinito nulla?… Non seguita a venir notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere la lanterna ogni mattina? Dello strepitio che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla?… Dio è morto! Dio resta morto e noi lo abbiamo ucciso!…». Sono parole dal profondo contenuto filosofico e anche profetico, alla luce delle vicende storiche del pensiero e della morale del secolo passato e di quello seguente e che i TdG non possono liquidare …con le solite frasette ad effetto. Esistono tanti tipi di ateismo quanti sono i concetti di Dio che si rifiutano; a mio vedere ce ne sono almeno di due tipi: quello di tipo teorico e quello di tipo pratico, quest’ultimo oggi certamente più ricorrente. Ateismo non significa soltanto affermare che Dio non esiste (Ateismo teorico), secondo il concetto tradizionale, ma anche che, pur ammettendone l’esistenza, molte persone vivono come se Egli non esistesse (Ateismo pratico). Vi è anche, un significato mistico sulla morte di Dio: «Dio deve morire nel mondo, perché possa nascere in noi» (Altizer- Hamilton). I TdG devono smetterla di accusare tutti di falsità. Lentamente è maturata in me la decisione di controllare alcuni brani della letteratura che la Società cita nelle sue pubblicazioni allo scopo di trovare un collegamento storico che confermi i suoi insegnamenti, considerando particolarmente quei passaggi che potrebbero dare l’impressione che si neghi la divinità di Gesù Cristo e che potrebbero dare un’idea errata circa il subordinazionismo. Il TdG non deve sapere, è chiuso mentalmente, è un ghettizzato. Ognuno di loro è invitato ad attenersi in modo incondizionato al pensiero del CD: «Dobbiamo tenerci incondizionatamente uniti all’organizzazione di Geova e impegnarci nelle attività che la distinguono» (La Torre di Guardia 1-5-1992, pag. 21). L’invito è rivolto soprattutto ai “sorveglianti” che per essere esempi di verità e guida morale devono esortare nella stessa direzione anche gli altri componenti: «È necessario fare ricerche nelle pubblicazioni della Società» (Prestate attenzione a voi stessi e tutto il gregge, 1991, pag. 70). Sì, perché la Società Torre di Guardia «provvede istruzione divina» essendo «usata con grande efficacia…da Geova» (La Torre di Guardia 1-1-1995, pag. 21; Esaminiamo le Scritture, 1986, 1 del 3). Accogliendo l’invito dell’Apostolo di ‘accertarsi di ogni cosa’, contro anche un certo mio turbamento che rivelava sotto un certo aspetto la mancanza di fiducia in chi scriveva gli articoli per La Torre di Guardia, alla fine prevalse il desiderio di verificare quello che ricevevo dalle sue pagine. Controllavo quello che mi era accessibile, dato che non sono in possesso di tutte le opere da loro citate; ma se quelle che riesco a controllare sulla divinità di Gesù Cristo sono inesatte ed erroneamente intese, che ne sarà di tutte le altre citate in inglese e in altre lingue? Se un TdG si prendesse la briga di andare a controllare le opere da loro citate in lingua italiana – ne sono piene le librerie cattoliche e protestanti – se ne renderebbe conto da sé. Si tratta solo di liberarsi dal timore di offendere la Società Torre di Guardia.
Nella rivista Torre di Guardia del 15-11-1989, pag. 22,
23
si sostiene che Policarpo fosse «sorvegliante della congregazione
nei difficili anni della predetta apostasia» (ma chi erano gli apostati in quel
tempo?). Si aggiunge inoltre che «egli separa Dio da Gesù Cristo, il Padre e il Figlio, e dice che la
salvezza la otteniamo per “volontà di Dio mediante Gesù Cristo». Ma cosa volle
dire Policarpo con queste parole? L’apologetica è piena di simili frasi
che si riferiscono sempre all’uomo Cristo Gesù e non al Logos che esiste inseparato
dal Padre.
Tra l’altro di Policarpo, e anche di altri autori dell’epoca, non ci sono pervenuti che pochissimi scritti, sicché ci manca la possibilità di avere un quadro completo delle loro credenze. Una cosa è ben chiara: anche queste poche parole di Policarpo rendono evidente che egli non era un TdG. Cercare un accostamento da parte del CD con questo autore significa offendere l’intelligenza di ogni TdG, perché si approfitta della loro ignoranza in materia storica, biblica e scientifica.
La Torre di Guardia 15-3-1992, pagg. 28-30, dice che Giustino “professava il cristianesimo”, che “era alla ricerca della verità”, che “apprezzò i veritieri insegnamenti delle Scritture” e che predicava “la buona notizia ad ogni occasione” (cioè, secondo loro, predicava che il regno di Dio doveva nascere in cielo nel 1914 e che pochi anni dopo tale data tale regno avrebbe distrutto questo mondo per restaurare sulla terra il paradiso!) In questa rivista si dice ancora che Giustino citava “ripetute volte le Scritture Greche Cristiane”, che in realtà egli chiama “memorie degli apostoli” e “vangeli”. Giustino cita ripetutamente anche il Vecchio Testamento. Dopo tanto elogio per il Martire, la Società non esita a vibrare il suo colpo di scure: «Fino a che punto egli visse in armonia con le Scritture e gli insegnamenti di Gesù non si può affermare con certezza» (pag. 30). Invece, contrariamente a quello che sostiene la Torre di Guardia, la verità su Giustino Martire si può benissimo sapere, anche se non ci sono pervenuti tutti i suoi scritti. Basta leggere l’opera dalla quale la Torre di Guardia ha steso il frammentario articolo e tutto si chiarisce. Quello che è sopravvissuto alla storia di Giustino è sufficiente per
dimostrare che non ha nulla a che fare con i TdG e si può stabilire
“con certezza” in che cosa
egli credeva. Ecco solo alcune delle sue convinzioni:
«I loro corpi, insieme alle
loro anime, saranno puniti con pena eterna e non per mille anni soltanto». Egli credeva nell’immortalità dell’anima e nella punizione eterna dei
malvagi. Ripete più volte: «Se tutti gli uomini conoscessero queste
cose, nessuno, neppure per poco tempo, sceglierebbe ciò che è male sapendo di
andare incontro alla pena eterna del fuoco».
Giustino dice anche che Gesù non è stato impalato ma crocifisso: «Gesù Cristo distese le mani, crocifisso dai giudei: la “frase trafissero le mie mani e i miei piedi” era la spiegazione dei chiodi piantati sulla croce nelle sue mani e nei suoi piedi». Muove delle critiche a Platone che non aveva capito gli scritti di Mosè; parla del serpente di bronzo che sarebbe stato esposto su una croce a forma di “X”, «non sapendo», afferma Giustino, «che si trattava del segno della croce». Inoltre, Giustino credeva che secondo la profezia di Isaia il Cristo sarebbe stato adorato dai popoli di tutte le nazioni. L’onestà avrebbe dovuto indurvi a
dire anche che Giustino credeva nell’
“eucaristia”, quella che voi chiamate semplicemente “commemorazione” dal
carattere puramente simbolico, una sterile riunione annuale di persone che
assistono e non partecipano, se non solo alcuni. Per Giustino il pane ed il vino
non sono semplicemente tali, ma «ci fu insegnato [da chi?] essere carne e
sangue del Gesù incarnato. Gli apostoli, infatti, nelle memorie da loro
lasciate e che si chiamano vangeli, così tramandano che a loro è stato
comandato e che Gesù, prendendo il pane, rendendo grazie, disse “questo
fate in mia memoria, questo è il mio corpo”, e nello stesso modo
prendendo il calice e rendendo grazie: “questo è il mio sangue”». Giustino visse molto vicino all’apostolo Giovanni o alla sua comunità e gli scritti che sono giunti fino a noi sono sufficientemente chiari e dimostrano in che cosa credevano sia lui che i suoi contemporanei. Insinuare in qualche maniera che i TdG siano legati agli insegnamenti di Giustino è falso. Per quanto mi sforzi di trarre qualche collegamento tra i suoi scritti e le vostre credenze, esse non trovano spazio alcuno e la vostra pretesa che i Padri Apostolici e i Padri Greci vi diano appoggio cade nel nulla. Ed è proprio Giustino a sottolineare, a distanza di 1800 anni, che a Dio “l’innominato” non si può dare nessun nome: «Nessuno può dare un nome a Dio inesprimibile; se poi qualcuno [come i TdG] avesse il coraggio di affermare che un nome esiste manifesterebbe senz’altro una follia». Evidentemente Giustino, quando leggeva nelle “Memorie degli apostoli” le parole, “sia santificato il tuo nome”, oppure “ho fatto conoscere il tuo nome”, aveva certamente un intendimento diverso dal vostro.
Per quanto riguarda la divinità di Cristo, anche qui suoi scritti non lasciano dubbi. Egli credeva che Gesù, il “divino Logos” incarnato, non fosse il Logos dei filosofi, ma la Parola di Dio che chiama pure “Dio”. Vede il Figlio distinto dal Padre, ma non separato da Lui, perché la Parola, il Pensiero non si possono separare dalla sua Fonte. In qualche passaggio Giustino può dare l’impressione di sostenere un certo subordinazionismo, ma questo non pregiudica la sua convinzione che il Logos sia «preesistente con il Padre» e ne segua poi la sua incarnazione nel Cristo. - Gli Apologeti Greci, Città Nuova, ed. Paoline, 1986, pagg. da 83 a 167. Perciò Gesù non è preesistente, ma il Logos, il Logos non è Gesù in quanto tale, ma il Logos incarnato (H. Kessler). La salvezza è venuta “per mezzo” di Gesù, non di un Gesù come rivestimento o un connubio di carne e spirito, ma un vero uomo, in lui Dio si è rivelato, cioè è l’autorivelazione di Dio, Logos in Gesù Cristo. Da tener presente anche che i primi Padri non erano in possesso di tutta la Scrittura per avere un quadro completo della dottrina su Cristo e su ciò che lo concerneva. La storiografia proto-cristiana è molto scarna, molti scritti sono andati perduti, perciò le informazioni che possediamo sono incomplete. Ma al di là di tutto questo è certo che Giustino Martire non è un precursore dei TdG! In seguito, avendo avuto in mano tutti gli scritti del Vecchio e del Nuovo Testamento, il discorso si è fatto più chiaro. Non si dimentichi che Gesù ha detto “io edificherò la mia chiesa” e l’“altro soccorritore”, lo Spirito Santo Paraclito inviato da Lui, sarebbe venuto a tale scopo. Su Giustino aggiungo ancora quanto si afferma nel Dialogo con Trifone (ed. Paoline, 1988, le parentesi quadre sono mie): «È Cristo infatti che è stato annunciato come re, sacerdote, Dio, Signore, angelo [come titolo, cioè messaggero], uomo, arcistratega, pietra, bambino generato, dapprima sottoposto al patire per salire in cielo e di nuovo venire nella gloria con il regno eterno…» (pag.159); «…così si dice del Cristo: “è sceso Dio tra il clamore, il Signore, al suono della tromba. Cantate inni al nostro Dio, cantate inni. Cantate inni al nostro Re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate con arte, Dio ha regnato sui popoli, Dio siede sul suo santo trono”» (Sal. 47: 6-10, pag.167). Nel salmo 44 si dicono di Cristo le seguenti cose: «…il tuo trono, Dio, nei secoli dei secoli» (pag. 169). Cristo è definito «Figlio di colui che ha fatto tutte le cose, essendo egli stesso Dio, e che si è fatto uomo per mezzo della vergine» (pag.188); «…una volta che abbiate compreso le Scritture, che vi è cioè, e vien detto esserci, un Dio e Signore diverso dal Creatore di tutte le cose, che è chiamato anche angelo per il fatto che annuncia agli uomini ciò che vuole annunciare loro il creatore di tutte le cose, al di là del quale non c’è altro Dio» (pag.203); «…è detto e scritto essere apparso ad Abramo, a Giacobbe e a Mosè, è un altro Dio rispetto a quello che ha fatto tutte le cose, un altro, intendo, per numero, non per distinzione di pensiero. Egli infatti non ha mai fatto nulla se non quello che il creatore del mondo, al di sopra del quale non c’è altro Dio, ha voluto che facesse o dicesse» (pag.205). «Dio ha generato da se stesso una potenza razionale che lo Spirito Santo chiama ora Gloria del Signore, ora Figlio, ora Sapienza, ora Angelo, ora Dio, ora Signore, che definisce se stessa Arcistratega quando appare in forma umana a Gesù» (pag.217). «È invece questo rampollo, veramente emesso dal Padre [cioè prima immanente nel Padre e generato da Lui come Verbo] prima di tutte le creature, che era presente con il Padre» (pag.221). Giustino non insegna che il Logos “rampollo” sia una creatura tra le “altre” come credono i TdG quando corrompono, per provare la loro dottrina, le Scritture, quando traducono «primogenito di tutte le altre creature», quindi come primo creato, ma “prima di tutte le cose”. «Anche queste parole [“il tuo trono, o Dio”, Salmo 110: 3-4] indicano chiaramente che egli è degno di adorazione e che è Dio e Cristo come testimonianza resagli dal creatore» (pagine 223, 224). Dalla Scrittura: «si evince con tutta chiarezza che proprio di colui che è stato crocifisso si preannunciava che era Dio e uomo, che sarebbe stato messo in croce e sarebbe morto» (pag.243). I TdG negano che Gesù fosse Dio e uomo. Parlando di Giosuè, Giustino dice che egli «non era Cristo Dio, né il Figlio di Dio» (pag.327). «Quanto al fatto che la Scrittura chiami il Cristo “Dio”, è stato dimostrato a più riprese» (pag.352). «…dicevo che si tratta di una potenza sì generata [non creata] dal Padre con la sua potenza e volontà, ma non per amputazione, come se l’essenza del Padre si fosse divisa, come succede per tutte le cose, che una volta divise e tagliate, non sono più le stesse di prima» (pag.361). Perciò la parola “emessa” è distinta dal Padre, ma unita nell’essenza: «…ciò che è generato, è numericamente distinto da ciò che genera» (pag.362-363). Perciò la Parola è distinta ma non separata dal Padre. Si deve tener presente il contesto storico e culturale che Giustino dovette
affrontare quando certe sue espressioni possono far pensare ad un
certo subordinazionismo. Giustino dovette usare un linguaggio che fosse
comprensibile sia al mondo pagano che alla
cultura ebraica del suo tempo:
«Giustino si interessa in misura molto rilevante al Logos; non però a
quello dei filosofi, bensì a Cristo Figlio di Dio, persona distinta dal Padre,
pur senza esserne separata». «Giustino
è il primo autore che introduce formule trinitarie specificando numericamente i
tre componenti: Martin, Espiritu Santo, pag. 252-263. D’altra parte, lo
spirito Santo è da lui concepito più come attività divina che non come entità
personale alla pari del Padre e del Figlio, quali cominceranno a presentarlo
Ippolito e Tertulliano» (Il Cristo pag.61, 1° vol.; Fondazione
Lorenzo Valla, Mondadori 1995). Sulla resurrezione di Cristo: «Dio, il Padre di ogni cosa, è la verità, Egli è anche intelletto
perfetto. Il Verbo divenuto suo figlio, venne a noi rivestendo la carne,
manifestando se stesso e il Padre…». Così commenta lo studioso questo passo: «Il Verbo, immanente ab eterno in Dio come sua sapienza e ragione
impersonale, viene generato quale entità divina da lui ante tempus, per
collaborare con lui alla creazione del mondo: vedi anche Teofilo di Antiochia…Questa concezione è largamente diffusa tra la fine del II sec. e l’inizio del
III. Alcuni degli autori che la condividono considerano il Verbo Figlio di Dio
solo a partire dal momento della sua processione dal Padre: cfr. Tertulliano,
Adversus Praxean 7, 1…Mediante l’incarnazione il Figlio non rivela solo se stesso, ma anche il Padre
in forza dell’unione con lui, sulla traccia di Ev.Io. 14, 9 “Chi ha
visto me, ha visto il Padre”: cfr Ireneo, Adversus haereses V
16,3» (Il Cristo, op. citata, pagine 83, 395, 400).
In merito a questo autore cristiano La
Torre di Guardia
del 15/7/1990, pagine 21-23, afferma: «Ireneo
condannò con coraggio l’errore dottrinale», combatté lo gnosticismo e «il cristianesimo
apostata. Si rifiutò di avere alcuna parte in tutto ciò». «Ireneo voleva che il suo amico ed ex compagno Florino ritornasse al
sano
insegnamento scritturale e sfuggisse al valentianesimo». Perciò Ireneo,
secondo La Torre di Guardia, seguiva il “sano insegnamento scritturale”,
combatteva, sempre secondo la suddetta rivista, l’errore dottrinale e l’apostasia dei suoi giorni. La Torre di Guardia ancora afferma: «Gli scritti di Ireneo sono anche impareggiabili in quanto documentano almeno alcuni punti ancora condivisi alla fine del II secolo E.V. da coloro che dichiararono di attenersi alla Parola di Dio». Dov’è la documentazione storica a dimostrazione di ciò? Vogliono con queste parole dimostrare che a partire dal III secolo d.C. il cristianesimo venne soppresso e che dovevamo attendere nel 1870 le “rivelazioni” del sedicente cristiano e commerciante C. T. Russell?
Ireneo dice di credere in un «solo
Dio e Padre Onnipotente». Con queste parole egli intende, naturalmente, come tutti gli altri nel suo
tempo (anche
prima di lui e dopo di lui), che in “Dio Onnipotente” erano immanenti il
suo Logos e la sua Sapienza o Spirito. Dice Ireneo: «L’Intelletto è il
Padre e il Padre è l’Intelletto. Pertanto il Logos che deriva da lui, o
piuttosto l’Intelletto stesso, che è il Logos, dev’essere necessariamente
perfetto e impassibile, e le emissioni che derivano da lui, essendo della
medesima sostanza di cui è egli stesso, devono necessariamente essere
perfette e impassibili e rimanere sempre simili a colui che le ha emesse”
(pag. 159 [2]).
«Dunque questo mondo è stato creato dal suo Verbo, come dice il libro
della Genesi affermando che Dio ha creato tutte le cose, che fanno parte del
nostro mondo, per mezzo [come causa prima] del suo
Verbo» (pag.127, parentesi mia). «È dunque necessario che abbiano un nome diverso, presso quanti hanno
almeno un po’ di intelligenza nel discernere queste cose, così che colui che
ha creato tutte le cose è giustamente denominato, insieme al suo Verbo, solo
Dio e Signore…» (pag. 231).
«Verbo Artefice dell’universo che siede sopra i cherubini e sostiene
tutte le cose…» (pag, 242).
«Cristo, se è nato allora non esisteva prima. Noi infatti abbiamo
dimostrato che il Figlio di Dio non cominciò ad esistere allora perché
esisteva da sempre presso il Padre; ma quando si incarnò e divenne uomo,
ricapitolò in se stesso la lunga storia degli uomini» perciò da
“impassibile” divenne
“passibile”» (pag. 273, sottolineatura mia).
Davvero i TdG credono, come Ireneo, che il Verbo è il Creatore del mondo? Cristo è considerato tale da tutti i primi Padri e nessuno di loro, fra l’altro, ha mai sentito il bisogno di tradurre, come maldestramente ha fatto il CD, “il tuo trono è Dio”. Quindi citare Ireneo come autorità da parte dei TdG per sostenere la loro dottrina finisce per avere effetti disastrosi (su di loro).
IX, 1,2 [3]: «Ricordati in ogni momento che io ho enunciato la regola secondo cui affermo che sono inseparati l’uno dall’altro il Padre e il Figlio e lo Spirito: così potrai intendere che cosa io stia dicendo e in che senso. Ecco, infatti, che io dico che uno è il Padre e uno è il Figlio e uno è lo Spirito: non capisce bene queste parole l’incompetente o il mal prevenuto [come accade con i TdG], come se esse significassero una diversità e, in base alla diversità, procurassero una separazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo tra loro... E tuttavia il Figlio non è altro dal Padre per intrinseca diversità, ma lo è per distribuzione, né per divisione, ma per distinzione, perché il Padre non è identico al Figlio, dato che è per numero che l’uno è “altro” dall’altro. Il Padre è, infatti, tutta quanta la sostanza, mentre il Figlio è una derivazione dal tutto ed una parte [nel senso che la sostanza del Figlio è la stessa del Padre, come vedremo in seguito] di esso, come egli stesso afferma: “Il Padre è maggiore di me” non nel senso di Logos, perché come tale è della stessa sostanza del Padre »; «…Così il Padre è diverso dal Figlio, in quanto è maggiore del Figlio, in quanto uno è colui che genera, [il Padre non crea il Figlio, ma lo genera, che è ben altra cosa] un altro [per numero non per sostanza] è colui che è generato, uno è colui che manda, un altro è colui che è mandato, uno colui che fa, un altro colui attraverso il quale è fatto… ». XII, 1-7: «Ti scandalizza il numero trinità?», «del resto io, in ogni occasione, tengo ferma una sola sostanza in tre
Persone connesse tra loro: tuttavia sono costretto a dire
“altro”, per necessità di senso, colui che comanda rispetto a
colui che esegue». XIX, 5, 6- 8: «… perché i cieli sono stati creati dal Verbo,
[come credevano tutti i Padri
preniceni]. Infatti, mentre
la Sapienza era vicina al Padre, nel Verbo fu creato il cielo e tutte le cose
sono state fatte attraverso il Verbo, [“attraverso”, come causa
prima (vedi nota 1)] ed è logico che sia stato il Figlio da solo a
distendere il cielo, poiché il Figlio da solo ha eseguito le opere del Padre...
Prima di ogni cosa, si capisce, c’è il Verbo:
“In principio era il Verbo”… il Padre ed il Figlio sono due, e non per separazione della
sostanza, ma per economia divina, allorché noi enunciamo come indivisibile e
inseparato il Figlio rispetto al Padre, e altro non per natura ma per
successione perché il Figlio, anche se è nominato Dio, dal momento che è
nominato al singolare, non per questo produce due dei, ma un solo Dio. E ciò
avviene proprio per il medesimo motivo per cui deve essere chiamato anche
“Dio”, cioè in seguito al suo essere unito al Padre».
I testimoni di Geova credono a tutto questo? II, 4: «… come diciamo noi: che dal Dio unico viene tutto questo, s’intende, per mezzo dell’unità della sostanza, e ciò non di meno, viene mantenuto il mistero dell’economia, che dispone l’unità nella Trinità, distinguendo in tre, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: tre, tuttavia, non per qualità ma per successione, né per sostanza [cioè, come fossero tre sostanze] ma per aspetto, né per potestà ma per manifestazione, e dotati di un’unica sostanza e di un’unica potestà perché Dio è unico». Perché i TdG insistono nell’affermare che Tertulliano non credeva nella Trinità? XXIX, 2: «Veramente, dal momento che si ammette l’esistenza, in Gesù Cristo, di due sostanze, cioè quella divina e quella umana, e si sa che quella divina è immortale, quella umana è mortale, è evidente in qual senso l’apostolo dice che Cristo è morto: è morto in quanto carne e uomo e figlio dell’uomo, non in quanto Spirito e Verbo e Figlio di Dio». Di nuovo, i TdG credono a tutto questo? I testimoni di Geova, riferendosi al subordinazionismo, di Tertulliano e dei Padri preniceni (i pareri su ciò non sono tuttavia unanimi), vogliono far credere che i primi Padri insegnavano che il Logos fosse un angelo, la prima creatura di Dio. I TdG insegnano che Gesù Cristo scomparve dal cielo per nascere come uomo sulla terra; che il Logos durante i tre giorni nella morte andò nel nulla, che il corpo di Gesù venne disintegrato e al suo posto risuscitò un corpo spirituale. Ma dove è scritto tutto questo? Dove è scritto che il Figlio di Dio viene creato per tre volte? Una in “principio”, un’altra quando nasce come uomo ed un’altra quando risorge “corpo spirituale”? Ma dove è scritto?!? Cosa hanno in comune questi insegnamenti con quelli dei primi Padri? Nell’apologetico così si esprime Tertulliano: «Noi lo diciamo proferito da Dio, generato da Dio [non creato] nel proferirlo, e quindi chiamato figlio di Dio e Dio per la unità della sostanza: che anche Dio è spirito. Così quando un raggio è proiettato dal sole, è una parte che viene dal tutto; ma il sole sarà nel raggio, perché è raggio del sole e la sostanza non si separa, ma si dilata come luce accesa da luce. La materia matrice resta integra e intatta, anche se per più canali si protende la sua natura. Così anche ciò che è uscito da Dio è Dio, e Figlio di Dio, ed entrambi sono uno: altro in misura, secondo per rango, non per stato; venuto, ma non separato dalla matrice…nasce un uomo congiunto con Dio…Verbo di Dio eterno, primogenito…» Apologetico, Città Nuova Editrice 1967, pagine 104,105. Chiediamo nuovamente: possono i TdG sostenere, in tutta franchezza ed onestà, che i loro insegnamenti su Dio, il Figlio e lo Spirito Santo sono in qualche modo sostenuti dagli scritti dei primi Padri? Per quanto riguarda l’opera di Tertulliano Contro Ermogene, citata nella Torre di Guardia del 1-4-1992, pag. 28, anche qui si nota una delle solite citazioni alterate, con l’uso iniquo delle parentesi che ne stravolgono il vero significato. Ecco un classico esempio di come il CD possa far scempio delle citazioni pur di conseguire il suo scopo: «Anche per questo era stato proclamato che la Sapienza di Dio era nata e prodotta, cioè perché noi non credessimo che ci fosse qualcosa di innato e di non prodotto, ad eccezione di Dio solamente… come poté essere possibile che, ad eccezione del Padre, vi sia stato qualcosa di più antico, e, pertanto, più nobile del Figlio di Dio, del Verbo unigenito e primogenito…poiché quello (Dio) che non ebbe bisogno di nessun artefice per esistere sarà molto più sublime di quello (il Figlio) che, per esistere, ebbe bisogno di un artefice» (XVIII, 2,3, le parentesi sono state aggiunte dalla Società Torre di Guardia). Questo modo di citare non chiarisce al lettore di che cosa si sta parlando, in che cosa credeva Ermogene e di quali argomenti Tertulliano si serve per confutarlo. Ebbene, in breve Ermogene credeva e insegnava che la materia fosse eterna come Dio, non nata e non creata. Secondo Ermogene, Dio esercitava solo la signoria sulla materia ma non ne era stato il creatore. Ecco per intero il brano citato dalla Società: «Riconosca, dunque, Ermogene, che anche per questo era stato proclamato che la Sapienza di Dio era nata e prodotta, cioè perché noi non credessimo che ci fosse qualcosa di innato e non prodotto, ad eccezione di Dio solamente. Se infatti dentro il Signore quello che fu fuori di lui e in lui non fu senza un inizio, vale a dire, la sua Sapienza, che fu nata e prodotta dal momento in cui nella mente di Dio essa cominciò ad essere attuata per disporre le opere del mondo, a maggior ragione è impossibile che qualcosa possa essere esistita senza un inizio, qualcosa che sia stata fuori del Signore. Se poi la Sapienza è allo stesso tempo Verbo di Dio, “senza il quale niente è stato fatto”, così come niente fu disposto senza la sua Sapienza, come poté essere possibile che, ad eccezione del Padre, vi sia stato qualcosa di più antico e, pertanto, più nobile del Figlio di Dio, del Verbo unigenito e primogenito? Senza accennare al fatto che quello che è innato è più potente di quello che è nato, e che quello che non è stato fatto è più valido di quello che è stato fatto, poiché quello non ebbe bisogno di nessun artefice per esistere, sarà molto più sublime di quello che, per esistere, ebbe bisogno di un artefice. Allo stesso modo, se il male effettivamente è innato e il Verbo di Dio è nato - “sgorgò da me”, dice infatti la Scrittura “un Verbo ottimo” - non so se da ciò che è cattivo possa essere introdotto ciò che è buono, ciò che è più valido da ciò che è debole, in quanto ciò che è innato sarebbe introdotto da ciò che è nato. Pertanto anche a questo titolo Ermogene pone la materia avanti a Dio, ponendola avanti al Figlio – ché il Figlio è il Verbo, e il Verbo è Dio e “io e il Padre siamo uno” -, se non che il Figlio tollererà di buon animo che sia posto avanti a sé colei che è posta sullo stesso piano del Padre», cioè la materia. Sarebbe più corretto e di maggior
beneficio spirituale che i Testimoni, invece
di citare dalla Torre di Guardia frammenti degli scritti dei Padri, ne leggessero le
opere
originali e anche quelle degli specialisti in materia, così da
avere un quadro davvero completo ed illuminante sulle credenze di questi
cristiani. Sarebbe
utile, per una corretta analisi, che il TdG non si facesse quindi sviare dalle
citazioni mutilate - seppur con l'inserimento di puntini di sospensione e di
parentesi
“esplicative” - fatte dalla Società Torre di Guardia. Clemente Alessandrino (ca. 150-215 d. C.) Che Clemente Alessandrino abbia insegnato che il Padre è l’Iddio Onnipotente nessuno lo mette in dubbio, i cristiani lo hanno sempre creduto. Non mi risulta che tuttavia che Clemente abbia mai insegnato che “Gesù” sia stato creato o sia stato la “prima creatura” di Dio. Ecco quanto si legge negli Stromati [4] a proposito di ciò che egli realmente credeva: «…il Figlio di Dio, il quale ha creato l’universo, ha assunto una carne ed è stato concepito in una matrice di vergine…». VI, pag. 747. «…l’ignoranza non tocca il Figlio, che fu consigliere del Padre “prima della fondazione del mondo”. Era questa infatti la sapienza “di cui si compiacque” Dio onnipotente: il Figlio è “potenza di Dio” in quanto Logos originario del Padre prima di tutto ciò che fu, e “sapienza di Dio” dovrebbe propriamente essere chiamato, e maestro di tutte le sue creature». VII, pag. 784. E nel Quis dives salvetur?(Città Nuova, 1999 Quaquarelli) tra l’altro Clemente afferma: «…non
sapendo quale “tesoro” portiamo in “vaso di creta”, difesa da ogni parte
dalla potenza di Dio Padre e dal sangue di Dio il Figlio e della rugiada dello
Spirito Santo». «Infatti, che cosa ancora manca? Guarda i misteri dell’amore e allora
contemplerai il seno del Padre che soltanto l’unigenito Figlio di Dio ha
manifestato. È anche lui stesso il Dio d’amore e da amore per noi fu
catturato. E, mentre l’ineffabilità di lui è Padre, la compassione verso di
noi è divenuta madre. Il Padre per aver amato si fece femminile, e di questo è
grande segno colui che egli generò da se stesso: anche il frutto generato da
amore è amore» (pagine 60-63) .
Sono questi gli insegnamenti dei TdG?
Assolutamente no! Negli scritti dei primi Padri - visti nel loro insieme - vi è una presenza massiccia di frasi come: «Dio
attraverso il suo Verbo», «il Verbo preesistente», «Logos divino», «principio
di tutte le cose»,
«archetipo della luce», «Dio», «Signore» e «Creatore», ecc. È vano lo sforzo di
cercare di trovare passi in cui si sostenga che il Figlio sia “la prima creazione di
Dio”,
come insegnano i TdG. I loro “maestri” sono altri e vanno ricercati fuori dalla Grande Chiesa, nell’ambiente
dello gnosticismo ed in alcune sette giudeo-cristiane, come vedremo più avanti. Teofilo di Antiochia Nella Torre di Guardia del
15/3/96, pagine 28-30, anche Teofilo di Antiochia viene presentato come se fosse
un TdG, questo nella certezza che difficilmente qualche seguace dalla Torre di
Guardia si prenderà il disturbo di andare a leggere l’opera citata per
stendere l’elogio di Teofilo. L’articolo alla fine dice: «Innumerevoli
riferimenti di Teofilo alle Scritture ci permettono di capire bene qual era il
pensiero prevalente del suo tempo». E qual era il pensiero prevalente nel suo
tempo? Come si legge nell'opera I Padri greci (Città Nuova, ed. Paoline,
1986, pagg. da 363 a 462), contrariamente a quello che sostengono e credono i
TdG, Teofilo credeva che: Come scrive la Torre di Guardia «innumerevoli riferimenti di Teofilo alle Scritture ci permettono di capire bene qual era il pensiero prevalente del suo tempo». Difatti quello che dice Teofilo di Antiochia è comune alle credenze del suo tempo, basta leggere i suoi scritti che ci sono pervenuti per rendersene conto, anche solo la stessa opera citata dalla Torre di Guardia (Ad Autolico). Il colmo della falsità si raggiunge quando la stessa rivista conclude dicendo: «Al momento non ci è dato di sapere in che misura la predetta apostasia possa avere influito sulle sue vedute». Il TdG che si prendesse la briga di leggere gli scritti di Teofilo si renderebbe conto che egli non ha nulla in comune con gli insegnamenti della Torre di Guardia e che il CD avrebbe fatto bene ad avvertire i suoi lettori di prendere le distanze non solo da Teofilo, ma anche da tutti gli altri scrittori cristiani dei primi secoli perché in contrasto con le dottrine della Società. Ma questo sarebbe stato tagliare le radici alle quali il CD cerca di collegarsi per avere un minimo di sostegno storico. Chi ha steso l’articolo sulla Torre di Guardia sa benissimo che Teofilo non ha mai detto che «il Figlio di Dio è un angelo creato», non ha mai sostenuto che «l’anima è mortale» e neppure che «Dio abita in un luogo nello spazio». Perciò il CD è ipocrita e in malafede nel presentare Teofilo e gli altri autori dei primi secoli quali “sorveglianti di congregazione”, quando sa benissimo che erano invece “vescovi” della Grande Chiesa.
I Princìpi [5], I - 2,2, 4: «Perciò noi riconosciamo che Dio è sempre Padre del Figlio suo unigenito, che da lui è nato e da lui trae il suo essere, tuttavia senza nessun inizio…» (291); «Infatti questa generazione è eterna e perpetua così come lo splendore è generato dalla luce, poiché non per adozione dello spirito Cristo diviene figlio eterno, ma è figlio per natura» (291). Spiegatemi: cosa significa “Figlio per natura e generazione eterna”? Commento a Giovanni II, 18: «E l’immagine archetipa delle varie immagini è il Logos che “era presso Dio”, che era nel “principio”. Egli rimane sempre Dio per il fatto di essere presso Dio, e non sarebbe tale se non rimanesse presso Dio non rimarrebbe Dio se non perseverasse nella contemplazione perenne della profondità del Padre» (309-311); XXXII, 25: «Peraltro, la gloria derivante dal morire per gli uomini non apparteneva né al Logos unigenito (che per natura non poteva morire) né alla Sapienza, né alla Verità, e così via per tutti gli aspetti divini che si predicano di Gesù, ma nell’uomo che era anche figlio dell’uomo, “nato dalla stirpe di Davide secondo la carne”. Ecco perché, mentre prima aveva detto: “ora invece cercate di uccidere me, uomo che vi ho detto la verità” (Ev. di Io 8,40), nel passo che stiamo esaminando dice invece: “Adesso è stato glorificato il Figlio dell’uomo”. Ed è quest’ultimo, secondo la mia opinione, che Dio ha innalzato, perché si è fatto “ubbidiente fino alla morte di croce” (Ep Phil. 2,8-9), perché il Logos che era in principio presso Dio, il Logos che era Dio, non era suscettibile di essere innalzato. E l’innalzamento del Figlio dell’uomo, concessogli per avere glorificato Dio con la propria vita…» (323-325). Contro Celso, III, 41: «Gesù, per quanto dotato di corpo mortale, viene ritenuto da noi Dio, … siamo persuasi fin dal principio Dio e Figlio di Dio, questi è il Logos stesso, la Sapienza stessa, la Verità stessa» (329); IV, 15: «E anche se, prendendo un corpo mortale e un’anima umana, il Verbo, Dio immortale, può sembrare a Celso che si cambi e si trasformi, apprenda che il Verbo, che resta Verbo per la sua essenza, non soffre alcuna cosa di quelle che soffrono il corpo e l’anima» (331-333). Dal Commento al Cantico dei Cantici [6]: «Come il Padre conosce me, anch’io conosco il Padre; e nel XLV Salmo è scritto: State attenti e conoscete che io sono Dio. Perciò fine principale della scienza è conoscere la Trinità, in secondo luogo conoscere ciò che è stato creato da essa». (pagine 150 e 166) Lc 10:22; Giov.10:15. «Ma riguardo al significato segreto qui contenuto e a ciò che comporta la novità dell’espressione, preghiamo il Padre dello sposo e Verbo onnipotente che si schiuda la porta di questo mistero affinché possiamo essere illuminati…» (167); «Ritengo che come altrimenti sia stato definito la conoscenza della Trinità a ricevere la quale nessuno può salire se non è diventato cervo… Quello stesso che lì è compreso come Trinità per la distinzione delle persone, qui è compreso come il solo Dio per l’unità della sostanza. Siano sufficienti queste considerazioni sul cerbiatto» (239). Commento alla lettera ai Romani [7]: «...Cristo... “Egli che è Dio sopra tutte le cose benedetto nei secoli”. Che Cristo sia una cosa secondo la carne e una cosa secondo lo Spirito, Paolo lo ha già indicato anche nelle prime parti di questa lettera,… Infatti è veritiera quella Scrittura che dice: “Sappiate che il Signore stesso è Dio”. Ora sia l’uno sia l’altro sono un unico Dio, poiché per il Figlio non c’è altro inizio della divinità che è il Padre; ma “purissima emanazione” della stessa unica fonte paterna, come dice la Sapienza, è il Figlio. Cristo dunque è “Dio sopra tutte le cose”. Cosa sono “tutte le cose”? Senza dubbio quelle di cui abbiamo fatto menzione anche poco prima: “sopra i principati e potestà e virtù, e ogni nome che viene nominato non solo in questo secolo, ma anche in quello futuro”. Ma chi è sopra ogni cosa, non ha nessuno sopra di sé. Infatti Cristo non è dopo il Padre, ma nel Padre. Questa stessa realtà poi, la Sapienza di Dio l’ha fatta comprendere anche a proposito dello Spirito santo, dove dice: “lo Spirito del Signore ha riempito l’universo e colui che tutto contiene ha conoscenza di ogni voce”. Se dunque il figlio è detto “Dio sopra tutte le cose”, e si ricorda che lo Spirito santo contiene tutte le cose è poi Dio il Padre “dal quale derivano tutte le cose”, è dimostrato in modo evidente che una è la natura e la sostanza della Trinità che è sopra tutte le cose» . È chiarissimo quindi che Origine, a differenza dei TdG, credeva nella Trinità. In un’altra occasione in modo esplicito Origene dichiara: « ...nel richiamare alla fede coloro che avevano ricevuto la grazia, così il bagno di purificazione con l’acqua, simbolo della purificazione dell’anima lavata da ogni impurità e da ogni malizia, e come la virtù delle invocazioni alla Trinità adorata, per colui che si offre alla divinità, principio e sorgente delle grazie divine» (Comm. Joh., VI, 17; IV, 142)». Origene, Jean Daniélou, ed. Arkeios, pag. 81. Il resto lo lascio leggere ai TdG, nella speranza che si rendano conto dell’imbroglio attuato dai loro dirigenti a danno delle persone sincere. Gran parte del discorso sul “subordinazionismo” dei primi Padri, come si diceva, è tutt’ora in via di studio. Molte loro espressioni su Dio, sulla divinità del Figlio e sulla natura dello Spirito Santo non sono sempre chiare. Ma una cosa è certa: i fondamenti dottrinali da loro posti sono gli stessi di oggi. Nicea ha solo affermato ciò che si credeva già, chiarendo meglio cosa intendevano i Padri preniceni con i termini di “natura”, “sostanza” ed “essenza”. Le verità fondamentali del loro insegnamento sono rimaste le stesse. Non vi è stato nessun “bordeggio” e nessuna luce che si spegne perché se ne accenda un’altra. Non si dimentichi, inoltre, che non possediamo tutti i loro scritti e che il Canone delle Scritture non era ancora strutturato e definito come lo è oggi. Giustino Martire citava indifferentemente sia i libri canonici sia quelli che in seguito furono chiamati apocrifi. Clemente Alessandrino, per esempio, riteneva ispirati i seguenti libri: la Didaché, la Lettera di Barnaba, il Pastore di Erma e l’Apocalisse di Pietro e così faranno anche altri. Perciò il loro discorso va visto e interpretato in questo contesto quando parlano della sapienza in Dio, del Figlio di Dio e dello Spirito Santo. Dovettero passare ancora alcuni secoli per la definitiva formazione del Canone e la Grande Chiesa stabilisse quali scritti dovessero ritenersi ispirati, distinguendoli dagli apocrifi. E di sicuro non furono i TdG ad operare tale distinzione. Se ci sono delle espressioni nei Padri che possono essere interpretate come una forma di subordinazionismo del Logos, bisogna tener conto che nelle loro apologie essi si confrontavano con il rigido monoteismo ebraico e con il paganesimo, perciò dovettero usare un certo linguaggio per non esporsi all'accusa di politeismo. I TdG, per onestà e per amore del vero, invece di citare i primi Padri farebbero bene, per coerenza, a riflettere su alcune espressioni del Pastore di Erma, del Vangelo degli Ebioniti e sugli insegnamenti di alcuni gnostici. Erma, nella Nona Similitudine dice: «“Hai visto i sei uomini e, tra loro, quell’uomo alto e distinto che girava attorno alla Torre, e che scartò dall’edificio i sassi inadatti?”. “Ho visto - risposi -, o Signore”. “L’uomo glorioso, - spiegò - è il figlio di Dio e quei sei sono gli angeli gloriosi che lo circondano, a destra e a sinistra. Nessuno di questi angeli gloriosi entrerà da Dio senza di lui. Chi non riceve il nome di Dio, non entrerà nel regno di Dio”» Sim. IX 12, 7-8. E nella Similitudine VIII, 3, 2-3 a proposito dell’“angelo glorioso” (Sim.VII,1; Precetto V, 1,7) di statura colossale rispetto agli altri sei angeli e identificato nel Cristo, Erma dice: «E questa legge è il figlio di Dio, predicato fino ai confini della terra. I popoli che si trovano sotto di esso sono quelli che hanno udito la predicazione e han creduto in lui. L’angelo grande e glorioso è Michele, colui che detiene il potere su questo popolo e lo governa. È lui che dà loro la legge ponendola nel cuore dei credenti. Egli esamina dunque quelli a cui ha dato la legge, per vedere se l’hanno conservata”». M. Erbetta, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vol. III, pag.267, 286, 287, 288, 295, 298, ed. Marietti, 1969. Anche gli ebioniti [8] sostenevano che Cristo fosse un angelo creato. Dice Epifanio: «Dicono poi [gli ebioniti] che lui [il Cristo] non fu generato da Dio Padre, ma fu creato come uno degli arcangeli» (Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, op. cit., vol. I1, pag.136). Ecco dunque in quali acque i TdG sono andati a pescare la dottrina di Michele Arcangelo e del primo angelo creato! Ma dall’apostolo Paolo abbiamo la testimonianza ispirata - «A quale degli angeli egli ha mai detto: “tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato”?» (Eb. 1:5, TNM) - che non lascia alcun dubbio su come tale dottrina fosse da lui fortemente avversata. Perciò quando i primi Padri parlano del Logos di Dio definendolo “Dio”, essi intendono Dio in senso proprio e non improprio come insegnano i TdG, i nuovi eretici ariani. Siano pure liberi i testimoni di Geova di affrontare lo studio della Bibbia come meglio credono, di interpretare i suoi insegnamenti secondo le loro vedute personali, in maniera acritica, se così preferiscono, ma lascino stare i primi Padri e le loro credenze. I Padri, anche se potremmo non essere completamente d’accordo con alcune loro espressioni, non sostengono certamente gli insegnamenti dei TdG ed è quindi disonestà intellettuale citarli fuori contesto, con frasi estrapolate per avallare la propria dottrina e ingannare così le persone impreparate. «Guai a quelli…che mettono le tenebre per la luce e la luce per le tenebre, quelli che mettono l’amaro per il dolce e il dolce per l’amaro!» (Isa. 5:20 TNM). Che Dio vi illumini!
L’apostolo Giovanni non ci spiega come avvenne l’incarnazione del Logos nell’uomo Cristo Gesù. Tuttavia egli era consapevole che per Dio nulla è impossibile, questa è la verità. Giovanni accettò per fede il fatto che la Parola, che era Dio ed era presso Dio, ad un certo momento della storia, divenne carne e si fece uomo. Non esiste ragionamento umano per spiegare questo evento che il cristiano accetta come un fatto storico ma che rimane un mistero. I TdG sorridono quando si usa questo termine: “Non esistono misteri, nella Bibbia tutto è chiaro”. A dispetto del testo greco che parla di “mistero”, convinti di essere illuminati da Dio, essi traducono, perché per loro è già tutto svelato, “sacro segreto”. Per loro esistono solo segreti che vengono svelati e non “misteri”. Pretendono di conoscere tutto su Dio e del suo essere. Allora invito questi “smemorati” a rinfrescarsi la memoria rileggendo quello che hanno scritto a pag. 107 del loro libro Ragioniamo: Dio «la nostra mente non può comprenderlo appieno». Anche sul “tempo” dicono che non può essere compreso “pienamente” e neppure lo “spazio”. Se gran parte della creazione non può essere compresa dalla mente umana, come possono pretendere i TdG di conoscere ciò che avviene nel mondo soprannaturale del divino? Come possono pretendere di conoscere le operazioni divine come l’incarnazione del Logos? Possono essi rispondere con la spiegazione che il “corpo spirituale” del “portavoce” muore e la sua energia vitale viene trasferita dal cielo nella vergine? È questa la spiegazione della Bibbia? Troviamo qualcosa di simile negli insegnamenti dei Padri della chiesa primitiva? Tutto ciò che è in Dio è eterno e onnipotente: il suo Logos, la sua Sapienza, lo Spirito Santo, l’Onniscienza... e la sapienza che la creazione manifesta è una sapienza creata dalla Sapienza increata dimorante in Dio. Così l’apostolo si esprime: «Poiché le perfezioni invisibili di lui, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente sin dalla fondazione del mondo, essendo intese per mezzo delle sue opere». - Rom. 1:20, Versione Riveduta, 1990. La conoscenza reciproca tra il Padre e il Figlio, secondo le stesse parole del Signore in Lc.10:22, è la conoscenza intima del Padre e del Figlio che sono reciprocamente immanenti e che né angeli né uomini possono capire. L’unità della quale parla Cristo è presa come modello per l’unità dei discepoli che hanno con il loro Maestro e Salvatore. - Giov. 10:15. Il discorso del cristianesimo primitivo è un discorso complesso che non si può esaurire in poche righe. I grandi studiosi non hanno ancora concluso le loro ricerche nell'intento di comprendere sempre meglio gli scritti che ci sono pervenuti attraverso il travaglio della storia. Si consideri che la letteratura di quel tempo è scarsa e di difficile interpretazione in diversi punti e vi sono ampi vuoti da scritto a scritto e da autore ad autore. Nonostante l’indubbia serietà degli studi condotti, sia sotto il profilo storico che scientifico in questi ultimi decenni, molti sono ancora i problemi che gli specialisti in materia devono risolvere. In tutta l’immensa produzione di letteratura sfornata dalla Società Torre di Guardia in più di 125 anni, pochissime sono le citazioni dedicate ai primi Padri, e si tratta per lo più di deboli, maldestri tentativi per indurre “le altre pecore” a credere che le credenze dei TdG giungano da lontano, nonostante la storia smentisca nella maniera più assoluta tali pretese. La Società farebbe bene, anziché cercare di spiegare in che cosa consistevano le credenze dei primi Padri, a lasciarli in pace e a continuare nella sua attività editoriale, opera nella quale dimostra di sapersela cavare molto meglio. Vi auguro che Dio vi illumini, e pregherò per questo. Saluti fraterni Potete
contattare Adriano Baston anche scrivendo al seguente indirizzo e-mail: [1] Il greco legge: “Arkegon tes zoes”. Arkegon significa autore, fondatore, principale, capo e non “principale agente” o “principale condottiero”. Quindi la traduzione corretta è «Autore della vita» (Atti, 3:15). [2] Le pagine indicate sono tratte da: Contro le eresie, Jaca Book, 1997. [3] Citazioni tratte da Contro Prassea (UTET – Rossano, 1999, pagine 641-716). I commenti tra parentesi quadre sono miei. [4] Stromati, ed.Paoline, a cura di G.Pini, 1985. [5] I suddetti passaggi sono tratti da Il Cristo, 1° vol., Lorenzo Valla a cura di A.Orbe e M.Simonetti 1995, pag.291-333, Mondadori. Il numero della pagine è indicato tra parentesi. [6] Città Nuova editrice, A.Quaquarelli, 1976, pagine 150-239. [7] Commento alla lettera ai Romani, vol. II, pag.7-9, Marietti, 1986. [8] Ebioniti: (Ebraico ebyon, "poveri"), nome attribuito nel II e III secolo a un gruppo di cristiani di tendenza giudaizzante, le cui origini risalgono forse all'epoca della dispersione della Chiesa primitiva di Gerusalemme in seguito all'editto dell'imperatore Adriano nel 135, quando alcuni gruppi di ebrei cristiani sarebbero emigrati al di là del Giordano nella Perea, oggi in Giordania, rimanendo tagliati fuori dal corpo principale della Chiesa cristiana. Fedeli alla tradizione dell'ebraismo farisaico, avrebbero negato anche la divinità di Cristo, mantenendo l'osservanza del sabato e considerando Paolo di Tarso un apostata per avere egli dichiarato la superiorità della dottrina di Cristo sulla legge mosaica. Sostenitori dell'avvento di un regno messianico a Gerusalemme, gli ebioniti avrebbero poi adottato una forma di pensiero composita, con elementi propri degli esseni e dello gnosticismo. ("Ebioniti," Enciclopedia Microsoft(R) Encarta(R) 98. (c) 1993-1997 Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati). |