TROVATA LA VERA ARCA DI NOÈ? Un ricercatore americano afferma di aver trovato l'Arca di Noè. Nel settembre del 1960, sulla rivista Life Magazine, apparve un articolo in cui si faceva menzione di alcune foto scattate dal satellite e che mettevano in evidenza una formazione rocciosa a forma di barca. Le immagini riprendevano un tratto montuoso della catena dell’Ararat. Il titolo recitava: “E’ l’arca di Noè? Avvistata una struttura simile ad una barca vicino all’Ararat”.
Ron Wyatt, insieme ad alcuni amici, lesse l’articolo e rimase profondamente impressionato. Nel contenuto si leggeva che un capitano dell’esercito Turco, come di routine, esaminava le foto aeree del suo Paese. Rimase colpito dall’immagine indicata sopra. Su una montagna a circa 35 km a sud del monte Ararat appariva una struttura a forma di barca straordinariamente simile, anche per le dimensioni, alla leggendaria arca di Noè. Il capitano fece circolare la voce, e ben presto una spedizione di scienziati americani ispezionò la zona. A circa 2000 metri di altezza, fra crepacci e detriti di frane, gli esploratori trovarono la formazione rocciosa le cui dimensioni corrispondevano perfettamente alle misure dell’arca biblica: 300 cubiti di lunghezza, 50 di larghezza e 30 di altezza. Gli scienziati della spedizione convennero che la formazione rocciosa non era una formazione naturale, era troppo perfetta. Ron decise di ispezionare il sito per conto suo. A quel tempo lavorava come tecnico all’Hercules Powder Plant di Kalamazoo, nel Michigan e contemporaneamente studiava presso la Western Michigan University nel corso propedeutico alla facoltà di medicina. Nel 1964 si trasferì nel Kentucky per diventare infermiere professionale. Aveva studiato tutto sulle scoperte archeologiche riguardanti l’arca di Noè. Scoprì che le informazioni erano pressoché insufficienti. Tutto il materiale disponibile consisteva in leggende e racconti folcloristici, ma nessun reperto attendibile. Soprattutto, si convinse che se l’arca fosse approdata sul monte Ararat, tradizionalmente riconosciuto come sito dell’approdo, non sarebbe potuta restare intatta a causa dell’attività vulcanica del monte stesso. Basta pensare a quale devastazione ha prodotto l’esplosione del picco vulcanico Monte S. Elena. Per cercare di capire cosa sarebbe potuto succedere ad una barca nel mezzo di un diluvio, Ron ricostruì un modello della zona, con montagne da sommergere, gradatamente, con un flusso d’acqua. Fece galleggiare un modello simile all’arca sullo specchio d’acqua e notò la reazione dello scafo mentre si avvicinava alle “montagne”. Scoprì che quando lo scafo si avvicinava a un picco emergente dall’acqua, questi non vi si avvicinava, né tanto meno si depositava su esso: vi girava semplicemente attorno. Dopo vari esperimenti notò che la “barca” tendeva ad incanalarsi in un gorgo creato dalla struttura di alcune “montagne” a forma di mezzaluna, o creanti una sorta di bacino. Dopo essere stata attirata dal flusso originato da quel tipo di conformazione delle montagne, la barca, dopo un’accelerazione iniziale dovuta all’attrazione del gorgo, si fermava all’interno della formazione a mezzaluna e si stabilizzava, galleggiando dolcemente. Al termine dei suoi esperimenti, Ron si convinse cha la vera arca di Noè avrebbe dovuto comportarsi similmente e depositarsi in una conformazione geologica uguale a quella sperimentata col modellino. Le leggi dell’idraulica e dell’aerodinamica sono uguali allora (al tempo del diluvio) come oggi. Se oggi una nave in mare aperto si avvicinasse ad una montagna emergente dall’oceano sarebbe trasportata dallo spostamento laterale dell’acqua a girare attorno alla montagna, oppure, nel caso le onde fossero molto violente, verrebbe portata a schiantarsi direttamente contro la roccia. In questo secondo caso della barca non resterebbe altro che una miriade di frammenti. Quello che è certo è che la barca non andrebbe a depositarsi dolcemente sul costolone del monte. Immaginiamo, per ipotesi, che il monte sorgente dall’oceano avesse configurazione uguale all’Ararat, e che invece di essere emerso fosse sotto un manto d’acqua. Immaginiamo pure che l’acqua, come avvenuto al diluvio, defluisca lentamente, e che la barca la barca stazioni dolcemente al di sopra di esso. Ritirandosi le acque, la nave toccherebbe la cima del monte. Ebbene lo scafo non potrebbe poggiarsi ‘tranquillamente’ su una conformazione rocciosa di quel tipo. Perché la nave possa restare sul picco della montagna si dovrebbe verificare una situazione simile a quella dell’esperimento in laboratorio: ossia una corrente, simile ad un gorgo che intrappolando lo scafo lo attirerebbe contro la montagna, adagiandolo poi in una radura di questa. Nessuna di queste condizioni si sarebbero mai potute verificare con una montagna come quella dell’Ararat. In Turchia! Erano trascorsi 15 anni dalla lettura dell’articolo di “Life” e Ron aveva mantenuto intatto il suo interesse per l’arca di Noè. Nel 1975 prese contatti con gli uomini che parteciparono alla spedizione del 1960. Solo uno di questi, il Dr. Arthur Brandenburger, era convinto che la formazione rocciosa fosse veramente una nave costruita dall’uomo. Nel 1977 Ron decise di andare in Turchia con i suoi figli. Vi arrivarono il 9 agosto 1977. Dopo aver camminato per alcuni chilometri su un terreno scosceso e accidentato, Ron e le guide giunsero in un punto in cui giaceva a terra una grossa pietra; una pietra di ancoraggio, utilizzate dai marinai per stabilizzare la navigazione (vedi foto). Ron riconobbe la pietra per averne viste nelle pubblicazioni specializzate di archeologia. Alcune di queste sono state ritrovate anche nei fondali del Mediterraneo; numerosi archeologi hanno trovato pietre simili nei fondali marini. Ma quella del sito turco era di dimensioni davvero impressionanti.
Esaminando attentamente la pietra Ron scopri che su essa erano state incise otto croci. Vedendo l’interesse mostrato da Ron per il reperto, gli abitanti del luogo decisero di portarlo vederne altre disseminate nella zona; tutte con lo stesso motivo delle croci incise sulla superficie. Ron era eccitato, ma non aveva ancora trovato ciò che più lo interessava: la formazione a forma di scafo. Finalmente la “barca” Il terzo giorno Ron si diresse a Sud verso le montagne e dopo un po’ vide, dall’alto, la formazione rocciosa avvistata anni prima dal satellite.Questo era il reperto che stava cercando con tanta ansia. Ron non ebbe vita facile in Turchia. Proprio nel giorno del rientro in America venne attaccato da banditi e perse quasi tutto il materiale fotografico. L’episodio lo convinse a lasciare a casa i suoi figli nel momento in cui avesse deciso di ritornare su posto. Dopo le scoperte fatte, Ron si chiedeva come poteva interessare qualche autorità perché potesse autorizzare uno scavo, e come convincere il mondo accademico che invece del tradizionale sito dell’Ararat, il nuovo sito poteva contenere le vestigia dell’antica storia di Noè. Nel 1978 Ron venne informato che un’altra persona era interessata al sito turco: era il Dr. William Shea del Biblical Reserach Institute della Conferenza Generale degli Avventisti. Questi, nel settembre del 1976 aveva scritto un articolo sul sito d’approdo dell’arca di Noè. Anche Shea era convinto che misure dell’arca fossero espresse in cubiti egiziani. In seguito Ron incontrerà ancora il Dr. Shea ma nel 1978 non gli fu possibile soddisfare le richieste di Shea riguardo ad uno scavo sul sito della formazione rocciosa. Intanto nel 1978 ci fu un terremoto nella Turchia orientale. Ron si convinse che ciò che non era stato possibile fare a lui, lo scavo della formazione rocciosa, lo aveva fatto la natura. Infatti, il terremoto, che non aveva danneggiato nessun residente del luogo, aveva fatto cadere la terra intorno alla formazione rocciosa.
Tutt’intorno alla formazione si potevano vedere le nervature delle assi che sostenevano lo scafo originario. Inoltre il terremoto aveva spezzato un tratto della “poppa”, e così Ron poté prelevare in profondità dei campioni di materiale. Ron poté finalmente notare che una estremità dello scafo era rotta. Considerandola come parte dell’intera formazione si raggiungeva esattamente la misura della lunghezza dell’arca biblica. Ma la cosa importante era che finalmente alcuni campioni del sito potevano essere analizzati con cura. Le prime analisi di laboratorio Tornato a casa Ron fece esaminare i campioni raccolti al laboratorio Galbraith a Knoxville (Tennessee). Il campione raccolto al di fuori della formazione rocciosa risultò avere una percentuale di carbonio dell’1,88%, ma quello all’interno della struttura ne conteneva il 4,95%. Una quantità che rivelava presenza di materia biologica pietrificata (legno). Un altro campione, invece, aveva rivelato una elevata percentuale di ferro. La ricerca continuò, e Ron si affidò ad un laboratorio, la White’s Electronics di Sweet Home nell’Oregon, per l’utilizzo di un metal detector. Ron allargò la cerchia dei suoi collaboratori: nel 1984 contattò Jim Irvin, l’astronauta dell’Apollo 15, a quel tempo impegnato in ricerche sull’Ararat; nel 1985 fece la conoscenza del famoso archeologo Dave Fasold. Partì con loro, e ad accoglierli in Turchia c’erano il principe saudita Samran al Moteri e Mine Unler il quale permise i contatti con il dr Ekrem Arkugal, il più grande archeologo della Turchia, reso celebre dalle sue scoperte sugli Ittiti.. Nell’ottobre del 1984, le autorità turche avevano inviato sul sito i loro archeologi, e Ron aveva mostrato loro uno dei metal detector di cui era fornito. La spedizione risultò un successo: erano stati recuperati vari chiodi e con il metal detector gli archeologi turchi avevano ottenuto gli stessi tracciati ottenuti da Ron nelle sue ricerche private. Il dr. Arkugal convenne che la struttura non poteva essere altro che un vascello pietrificato e per mostrare la sua stima a Ron gli fece dono del suo volume “Antiche Rovine della Turchia”. Grazie all’interessamento di Jim Irvin, Ron fu presentato ad altri archeologi famosi, anch’essi entusiasti per la scoperta. Il gruppo, formato da Ron, Fasold, Samran, ripartì per Erzurum, e da la raggiunsero in taxi il sito. Sul luogo c’era ancora molta neve e questa metteva ancor più in evidenza la struttura della nave. Oltre al metal detector Ron aveva con se anche un generatore di frequenza molecolare (MFG). Ron portò gli illustri ospiti a fare un giro per vedere tutti i reperti scoperti. Quando Fasold vide le pietre di ancoraggio rimase senza parola, meravigliato. Non fu mai d’accordo con Ron , poiché credeva che la struttura celasse i resti di un vascello sumero a causa di alcune incisioni su pietre che rappresentavano degli Ziggurat; ma era comunque convinto che fosse una barca. Le autorità politiche della Turchia vollero incontrare Ron per ascoltare da lui il resoconto delle ricerche. I ministri furono entusiasti e promisero a Ron collaborazione. Intanto dai laboratori di Los Alamos, nei quali era stato portato un campione della formazione rocciosa, giunse a Ron la richiesta di poter accogliere un loro ingegnere per meglio ispezionare il sito d’origine dei campioni. Giunse accanto a Ron John Baumgardner, geologo. In quella occasione vennero utilizzati vari tipi di metal detector. Ad ogni rilevazione disposero delle pietre che venivano successivamente collegate tra loro da del nastro adesivo. Ben presto apparve un perfetto scheletro di una autentica nave: Baumgardner, inizialmente scettico, cominciò a provare vivo interesse. Stava venendo fuori la struttura completa della nave.
Il successivo sopralluogo la spedizione lo fece nell’agosto del 1985. Sul posto, grazie a Dave Fasold, giunse anche Tom Fenner con un sistema SIR-8 e un cineoperatore, Jim Burroughs. Si presero anche contatti con le reti televisive ABC e CBN per la trasmissione di alcuni documentari sulle scoperte. Tutto questo movimento mise in stato di allerta i briganti della regione. Ci fu anche un conflitto a fuoco con i soldati turchi, e ci furono delle vittime. I risultati delle rilevazioni furono portati al GSSI di Hudson e vennero esaminati da Joe Rosetta. Successivamente, Rosetta, apparso su Hudson Channel 9, dichiarò che la formazione rocciosa “non era assolutamente un oggetto creato dalla natura. I rilevamenti radar, troppo regolari, indicano che l’interfaccia non è di tipo naturale”. Il 3 agosto 1986 sul “Sunday Telegraph”, lo stesso Rosetta ribadì che l’oggetto sepolto in Turchia non ha uguali in geologia che, qualunque cosa sia la struttura, questa non può che essere opera di esseri umani. Ron era entusiasta e decise di specializzarsi in tecniche di rilevamento radar. Ci riuscì dopo due settimane di corso e ricevette anche l’attestato. Nel mese di febbraio del 1987 il Governatore dell’Agri District, Sevket Ekinci, comunicò a Ron che i membri del Ministero degli Affari Esteri Turco, del Ministeri degli Interni e i ricercatori dell’Università di Ataturk avevano ritenuto valide le ipotesi di Ron sull’arca di Noè. Si indisse una riunione ufficiale nel corso della quale venne comunicato a Ron che sarebbe stato ospite d’onore alla cerimonia di inaugurazione del sito. Erano trascorsi 27 anni da quando Ron lesse la notizia del ritrovamento della “barca” su “Life Magazine”, e circa 10 anni dal suo primo viaggio in Turchia. Aveva fatto un viaggio nel 1977, uno nel 1979, due nel 1984, sei nel 1985, tre nel 1986 e cinque nel 1987. Altri rilevamenti Ron doveva sfruttare il momento propizio e tornò più volte sul sito per esplorare ogni metro quadrato. Con l’aiuto di Dilaver e degli accompagnatori turchi registrò i tracciati della lunghezza d’onda inviata a varie profondità, a 1 metro, 3 metri, 4 metri ecc. Da questi ultimi rilevamenti emerse la struttura di una nave poderosa le cui camere erano ancora ben evidenti. Ron rilevò l’ubicazione di uno sportello d’entrata dal quale partiva un sistema di rampe che portavano ai vari livelli. Notò anche un’anomalia. Sembrava che lo scafo avesse un vuoto nella parte centrale. Dopo varie analisi, Ron giunse alla convinzione che lo scafo, originariamente, si trovava ad un’altezza superiore sul fianco del monte. Successivamente, quando il vulcano più in alto ha eruttato, la lava ha investito lo scafo strappandolo letteralmente dal luogo ove si era arenato, trasportandolo a livelli più bassi, dove ha colpito con un fianco la roccia calcarea, fracassandosi. Lo scafo, appoggiandosi alla roccia, è stato subitaneamente coperto dalla lava. Le foto aeree mostrano chiaramente il fiume di lava pietrificata che ha sepolto l’arca, permettendone anche la conservazione nei secoli.
L’inaugurazione L’inaugurazione del sito fu stabilita dalle autorità turche per il 20 giugno 1987. In marzo Ron firmò un contratto con un produttore cinematografico per la realizzazione di un documentario sull’arca. Ron filmò tutto. Compreso il “Villaggio degli otto”, così chiamato in ricordo dei sopravvissuti al diluvio. Gli antichi abitanti del luogo hanno dato ai villaggi nomi che ricordano l’evento della catastrofe. La stessa montagna su cui è incastonata l’arca è chiamata “La montagna del giudizio”. Il giorno dell’inaugurazione erano presenti le massime autorità politiche locali e nazionali, nonché gli alti gradi militari e molti giornalisti. Il Governatore Ekinci tenne un discorso in turco e al termine invitò Ron a fare una esplorazione estemporanea col radar, per mostrare ai giornalisti la struttura sotterrata dello scafo. Giunto ad un punto in cui i tracciati rivelavano strutture, il Governatore chiese ai soldati di scavare. Presto emerse qualcosa che somigliava ad una roccia piatta: era una grossa trave di legno pietrificato in cui erano ben visibili ancora le nervature. Il Governatore restò talmente meravigliato da dover affermare commosso che tutto l’evento sembrava diretto da mani divine. L’intero evento venne trasmesso su TRT, una radiotelevisione turca. Il 16 settembre 1987, Ron consegnò il legno pietrificato al Laboratorio Galbraith di Knoxville. La cosa importante da determinare era se il campione contenesse carbonio organico. Una roccia non lo contiene. I tecnici del laboratorio stabilirono che il reperto conteneva il 71% di carbonio: il carbonio inorganico assommava lo 00,81%, mentre quello organico il 70,19%. Molte rilevazioni sono state fatte nei terreni attorno alla “formazione”, e anche all’interno di formazioni naturali simili, ma in nessun caso i radar hanno restituito tracciati come sul sito dell’arca. Nel giungo del 1988 Ron tornò in Turchia, insieme al dr. Meyer. In quell’occasione pioveva e Ron, dopo aver illustrato al dr. Meyer tutte le iniziative e le scoperte effettuate negli anni, espresse un desiderio. Avrebbe voluto tanto vedere un arcobaleno come quello visto da Noè dopo il diluvio, al nuovo inizio del genere umano. Il dr. Meyer fece una profonda e sentita preghiera a Dio. Cinque minuti dopo nel cielo apparve un doppio arcobaleno che partendo dal luogo della stele giungeva sino al sito dello scafo pietrificato. Ron rimase stupefatto e non volle credere a una coincidenza. Quel meraviglioso arcobaleno è ancora oggi immortalato in una foto. Pietre false? Molti critici hanno tentato di smontare le sicurezze di Ron. E’ stato fatto notare, giustamente, che le pietre di ancoraggio riportavano incisi dei motivi cristiani, probabilmente bizantini. Si è concluso che dovevano essere, non pietre d’ancoraggio, ma pietre tombali armene. Fu in quel periodo (luglio 1988), che alcuni assistenti di Ron ritrovarono, sepolta sotto terra, una pietra di ancoraggio mai venuta alla luce. Su di essa non c’erano incisioni. Ron concluse che tutte le pietre d’ancoraggio risalivano al tempo del diluvio e rimaste in superficie sono state utilizzate dagli abitanti del luogo come pietre tombali. In epoca cristiana vi sono state fatte le incisioni delle croci a testimonianza della fede degli incisori negli eventi della storia biblica. La pietra dimenticata, probabilmente rimasta sepolta sin dal tempo del diluvio, confermava pienamente le certezze di Ron. Nell’ottobre del 1990, Ron ideò un metodo per scavare attorno all’arca. Costruì una specie di rasoio gigante e con questo grattò via, delicatamente, lo strato di terriccio dalle fiancate dell’arca sino a mettere a nudo le nervature delle travi. Il risultato fu eccezionale. Le nervature avevano un colore molto più chiaro rispetto al resto del terreno. Nel giugno del 1991, un’altra scoperta sensazionale: una roccia in cui è rimasta impressa l’orma di un ribattino con relativa rondella. Ron ha subito pensato potesse essere una giuntura per le travi di legno dell’arca. Il reperto venne analizzato da Richard Rives, gestore di un laboratorio specializzato in metallurgia. L’analisi ha rivelato la presenza di una lega sconosciuta fatta di diversi elementi, tra i quali ferro, alluminio, titanio e vanadio. Ron fece analizzare la parte di roccia attorno al ribattino e River emise il seguente verdetto: “E’ interessante notare che nella parte intorno al ribattino (presumibilmente metallo fossilizzato) è stata riscontrata un’elevata percentuale di carbonio; il che fa pensare a legno pietrificato”. Infatti, nella zona del ribattino si è riscontrata una percentuale di carbonio dell’1,88%, mentre in quella adiacente il 14%. Ciò significa una sola cosa: che le molecole dei due diversi componenti (metallo e legno) hanno mantenute intatta la loro caratteristica, non si sono mischiate; sono rimaste lì, intatte, a testimoniare l’evidenza del manufatto, composto da materia non biologica (rondella e ribattino) e materia biologica (legno). Il permesso di scavare Nell’agosto del 1991 Ron parlò con un grande manager, il dr. Roberts. Questi rimase affascinato dalle avventure sull’arca che promise di aiutare Ron. Ron aveva fatto l’abitudine alle promesse mai mantenute e, quindi, anche stavolta non si era illuso. Ma sbagliava. Il dr. Roberts si fece risentire prestissimo, e con la buona notizia: aveva ottenuto il permesso di scavare sul sito. In men che non si dica lo stesso Roberts, accompagnato da Ron, Richard Rives e Marv Wilson, si trovò sul posto degli scavi. Il 29 agosto il gruppo incontrò i funzionari di Ankara e ottenne il permesso. Ma siccome quel giorno era venerdi, giorno sacro per i musulmani, le autorità hanno chiesto al gruppo di Ron di aspettare sino al lunedì per regolarizzare la cosa con gli uffici competenti. Non sapendo cosa fare nel week-end, Ron condusse il gruppo in un altro sito archeologico. Non fu un’idea buona. Sul percorso il loro bus è stato fermato da uomini armati che hanno intimato a tutti di scendere. Cercavano ostaggi stranieri, erano del PKK. Furono momenti terribili che lo stesso dr. Roberts ha poi raccontato in un libro. La notizia si è sparsa rapidamente e la moglie di Ron ha chiamato immediatamente il Dipartimento di Stato per sapere se tra i turisti sequestrati ci fosse anche suo marito. Mary Wyatt diede al funzionario il nome del marito e il funzionario rispose: “In mezzo a Ron Wyatt, vi è per caso una ‘e’? Mary rimase agghiacciata, suo marito si chiamava Ron Eldon. Purtuttavia la moglie di Ron pregò il Signore e in lei scese una grande calma. Era certa che il Signore non avrebbe permesso che a Ron fosse fatto del male. Era così tranquilla che quando apparve in televisione per raccontare la sua esperienza qualcuno dubitava che fosse innamorata del marito, dato che dal suo volto non traspariva alcuna angoscia. La donna poté testimoniare della sua fede in Dio; non solo: per quell’occasione i mezzi di comunicazione diedero molto risalto anche alle scoperte di Ron. Insomma il tutto montò una pubblicità gratuita, che non sarebbe stato possibile ottenere con altri mezzi. Telefonò anche Dave Fasold. Era furioso. Avrebbe voluto fare da intermediario con gli uomini del PKK per salvare Ron. Non gli fu possibile però fare nulla. Comunque tutto si risolse per il meglio e Ron venne liberato, insieme agli altri prigionieri. Era molto dimagrito e aveva una ferita leggera, ma era salvo. Invece il dr. Roberts, in conseguenza del periodo di prigionia ha sofferto di flebite. Ron tornò in Turchia nell’agosto del 1992, ma giunta sul posto la spedizione venne bloccata dai soldati turchi che rimandarono tutti a casa: la regione era ancora infestata dai guerriglieri e non si poteva garantire la sicurezza. Tornato ad Agri, Ron prese accordi con la polizia locale insistendo che fosse loro permesso di andare sul sito. La polizia era dell’avviso che si poteva andare solo se la spedizione avesse rinunciato al bus, vistoso e facile preda dei terroristi, e vi si fossero recati a piccoli gruppi utilizzando dei taxi. Ron, che si riteneva responsabile del gruppo, ritenne che questa non era una soluzione ottimale e dovette rinunciare alla spedizione. Siamo sicuri che sia l’arca di Noè? I critici di Ron affermano che l’arca non avrebbe dovuto avere la forma che lui ha scoperto. Sarebbe dovuta assomigliare ad una specie di chiatta. Ron è convinto del contrario. Ogni marinaio può dirvi che non è la forma della chiatta l’ideale per navigare in mare aperto. Le petroliere moderne hanno una chiglia immersa sott’acqua che non è assolutamente piatta. Le onde degli oceani oggi, non possono essere paragonate a quelle del diluvio; quindi, se una chiatta ha difficoltà oggi a navigare nei mari aperti, figuriamoci nella bolgia del diluvio. Se volete sincerarvi in prima persona del fatto, andate in una libreria e consultate un testo scientifico sulla dinamica dei fluidi e delle costruzioni navali. Mai si fa cenno alla chiatta per la navigazione in alto mare, ma sempre ad uno scafo arrotondato, simile a metà anfora. Così è infatti lo scafo ritrovato in Turchia sotto la colata di lava. Un’altra critica mossa alle convinzioni di Ron riguarda l’impossibilità della conservazione della stessa arca. Se legni più recenti marciscono facilmente, figuriamoci legni di migliaia di anni fa. Una cosa è certa, risponde Ron: l’arca non potrebbe trovarsi sotto i ghiacciai perenni dell’Ararat, perché questi, con i loro movimenti triturerebbero tutto. D’altro canto esiste anche la possibilità che su questo stesso monte, ogni cosa stabile sarebbe stata spazzata via dalle violentissime eruzioni vulcaniche, l’ultima delle quali ha fatto saltare in aria un’intera sezione del monte. L’ultima eruzione dell’Ararat è stata simile a quella del monte S.Elena, dove ha lasciato un buco grande quanto una montagna. Gli stessi militari turchi, che per sconfiggere la resistenza kurda si addestrano continuamente sulle falde dell’Ararat, non hanno mai trovato relitti simili a navi su quelle pendici. E loro conoscono la montagna palmo per palmo. L’unico modo perché l’arca potesse conservarsi era restare coperta dal flusso della lava, la quale ha sigillato lo scafo. Tuttavia la montagna su cui giace l’arca di Ron non è vulcanica. La lava che ha intrappolato lo scafo proviene da un vulcano distante parecchi chilometri, a sud dell’Iran attuale. Oggi questo vulcano è crollato, ed è visibile solo se lo si sorvola. Il peso tremendo della lava ha fatto in modo che le due piattaforme superiori dell’arca sprofondassero. Perché la lava non ha bruciato lo scafo? Ci sono due possibilità: la prima è che non sempre la lava provoca combustione; la seconda è che lo scafo sia stato investito velocemente dal fiume liquido in maniera che questo, togliendo l’ossigeno, abbia scongiurato il pericolo della combustione. Ci sono infatti zone dello scafo che mostrerebbero bruciature. Sappiamo che la lava, col passare degli anni, si deteriora degradandosi, ecco perché non ha sigillato lo scafo sotto un muro impenetrabile, ma ha permesso che le su forme, col passare del tempo potessero tornare visibili. La regione delle ricerche di Ron è per diversi mesi all’anno soggetta a nevicate e abbondanti piogge. La neve sciolta cola giù dal crinale del monte investendo continuamente la struttura dell’arca. Perché l’arca possa aver subito il processo della fossilizzazione sono necessarie due condizioni: che sia stata sepolta velocemente e che possa essere attraversata dall’acqua. Senza queste due condizioni, qualunque cosa si degrada e si decompone. Gli anelli di accrescimento Ron ha ricevuto delle critiche per il fatto che il presunto pezzo di legno pietrificato ritrovato durante lo scavo nel giorno dell’inaugurazione del sito, non presenta i segni degli anelli di accrescimento degli alberi. Ron è convinto che non sia possibile rilevare questi anelli per il semplice fatto che le condizioni climatiche pre-diluviane erano completamente diverse dalle attuali. Aggiornamenti del giugno 2001 Nel 1998, una spedizione è tornata in Turchia, a Tendurek, luogo dell’arca. Vi partecipò anche William Shea, il quale scoprì sul sito un ostracon con un disegno in inchiostro nero rappresentante un uomo che libera in volo due uccelli. Nella parte superiore del reperto una scritta, in proto-sinaitico, diceva “Noè”. Inoltre sono stati ritrovati pezzi di legno pietrificato. Nel maggio del 2001, una nuova spedizione ha potuto ritrovare anche frammenti di catrame nelle intersezioni del legno pietrificato. Alcuni di questi campioni saranno esaminati nei prossimi mesi. L’unico pericolo risulta l’atteggiamento ostile degli abitanti del luogo, i quali, non volendo turisti in giro per i loro villaggi, hanno fatto sparire molti importanti reperti. E’ per questo motivo che la “Anchorstone International” ha chiesto al governo turco di poter indire e gestire una conferenza internazionale per rendere pubbliche le scoperte relative all’arca. Probabilmente ci si potrà arrivare intorno al 2003. Intanto c’è ancora chi lavora per giungere ad altri importanti ritrovamenti, dei quali sarà data notizia al tempo debito. La speranza di Ron e dei suoi collaboratori è stata sempre quella di poter mostrare un giorno al mondo intero tutti i manufatti rinvenuti sul sito di Tendurek.
Si tratta davvero dell'Arca biblica? A quanto pare, secondo quanto si afferma in questa pagina, questa strana struttura conterrebbe i resti di una gigantesca imbarcazione fossilizzata. Di questa scoperta si parla anche in un libro di Charles Berlitz (La nave perduta di Noè, ed. Euroclub, 1987) che si ferma però alle ricerche e agli studi fatti alcuni anni fa. Berlitz riporta nel suo libro questa osservazione: «Anche se si potesse dimostrare che l'oggetto è parte di una nave, si potrebbe ancora dubitare che si tratti dell'Arca di Noè; è interessante notare che gran parte della popolazione locale è a conoscenza dell'oggetto, ma non crede che sia l'Arca di Noè, che si troverebbe più in alto, bensì la nave di Malik Shah, un satrapo dei tempi antichi, che aveva una grossa imbarcazione in un lago che copriva una vasta zona intorno all'Ararat» (p.43). Anche questa potrebbe essere una spiegazione valida. |