LA BIBBIA DI AQUILA

 


 

AQUILA

 

     Aquila è conosciuto per essere stato un grande matematico, un valente architetto ed un profondo conoscitore delle Sacre Scritture. Di origini pagane, studiando le Sacre Scritture, si convertì da giovane al cristianesimo ma, in età matura, abbandonò la fede cristiana per abbracciare l'ebraismo.    

     Secondo Epifanio l'apostasia di Aquila sarebbe conseguente alla forte simpatia verso le arti magiche e l'astrologia (condannate dai cristiani ma segretamente coltivate dalla cabala ebraica), mentre secondo altri la scelta di Aquila sarebbe stata determinata dalla difficoltà di inquadrare la figura di Gesù Cristo nel monoteismo ebraico.

     Originario del Ponto[1], visse tra il I° ed il  II° secolo e si occupò di grandi progetti. L'imperatore romano Adriano gli commissionò un interessante studio per la ricostruzione del tempio di Gerusalemme ma, per quanto è oggi dato di sapere, il lavoro non fu mai tradotto in pratica. Egli portò invece a termine, verso il 130 dopo Cristo, un'autorevole traduzione della Bibbia, di cui abbiamo notizie sia dai padri della chiesa che dalla tradizione ebraica.

     Aquila tradusse il Vecchio Testamento in greco e contrappose alla libertà ed alla creatività della Versione dei Settanta una fedeltà assoluta e talora un po' pedante al testo originale. La traduzione di Aquila, basata sul canone giudaico di Iamnia (90 dopo Cristo), fu comunque accolta positivamente dagli ambienti ebraici e venne spesso menzionata nel Talmud.

     Origene (185-254), Eusebio d'Emesa (295-360) e Gerolamo (347-420), pur criticando la versione di Aquila perché molto letterale e servile, ne apprezzarono l'esattezza scrupolosa. Ireneo (140-200) ed Eusebio di Cesarea (265-340) sottolinearono invece lo spirito critico di tale opera, notando come Aquila avesse sostituito la parola (χριστος) kristos con il sinonimo greco (ήλειμμένος) eleimmenos in vari punti chiave del Vecchio Testamento (Salmo 2,2; Salmo 44,8; Isaia 61,1), spesso citati dai cristiani per dimostrare che Gesù è il Cristo di Dio.       

     L'imperatore Giustiniano I (482-565) proibì la diffusione dei libri del Talmud[2] perché ritenuti irriverenti nei confronti dei cristiani ma autorizzò la lettura della Bibbia di Aquila nelle sinagoghe. Le versioni greche di Aquila, Simmaco[3] e Teodozione[4] diventarono così per vari secoli i testi ufficiali dell'ebraismo, in chiara polemica con la versione dei Settanta, ormai recepita dalla chiesa come il più autorevole testo greco delle Sacre Scritture.

     Oggi della versione di Aquila sono purtroppo rimasti solo pochi frammenti, soprattutto dopo la stabilizzazione del testo ebraico da parte dei masoreti (Codice del Cairo, Codice di Aleppo, Codice di Leningrado), avvenuta verso l'anno mille.

 

AQUILA E IL  TETRAGRAMMA

 

IL TETRAGRAMMA

 

     La versione di Aquila è spesso ricordata perché conserva il tetragramma. Il nome proprio di Dio הךהי è infatti rappresentato in ebraico dalle quattro consonanti iod, he, vau, he e per questo è detto tetragramma. La traslitterazione italiana è YHWH e la pronuncia più probabile Iahvé. Secondo alcuni tale nome sarebbe stato noto agli uomini fin dai tempi antichi di Enos, figlio di Set e nipote di Adamo (Genesi 4,26). Secondo altri il Santo Nome sarebbe stato invece rivelato per la prima volta a Mosé (Esodo 3,14) e avrebbe sostituito il precedente nome di El Shaddaj, manifestato ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe (Genesi 17,1).

     Il tetragramma è presente circa 6800 volte nel testo ebraico dell'Antico Testamento ed esistono testimonianze della presenza del Santo Nome in un limitato numero di copie della versione greca dei Settanta. Manca però in tutte le oltre 5000 copie manoscritte del Nuovo Testamento ed è assente da tutte le copie della versione dei Settanta conservate fino ai nostri giorni.

 

IL TETRAGRAMMA NELLA TRADIZIONE EBRAICA

 

     Nell'ebraismo antico, chiamare qualcuno per nome significava conoscere la realtà più profonda del suo essere, era come tenerlo in pugno, esercitare un potere quasi magico su di lui. Per questa ragione, il Santo Nome di Dio, che indica la sua stessa essenza, era considerato impronunciabile.

     Solo il Sommo sacerdote, nel Tempio di Gerusalemme, poteva pronunciarlo nelle benedizioni solenni (Numeri 6,24-27) e nel giorno del Kippur o dell'espiazione (Levitico 16), quando faceva la triplice confessione dei peccati per sé, per i sacerdoti e per la comunità. A questo riguardo il Talmud dice: «"Quando i sacerdoti e il popolo che stavano nell’atrio udivano il nome glorioso e venerato pronunciato liberamente dalla bocca del Sommo Sacerdote in santità e purezza, piegavano le ginocchia, si prostravano, cadevano sulla loro faccia ed esclamavano: "Benedetto il suo nome glorioso e sovrano per sempre in eterno"»[5]

     Del resto anche Gesù, benché avesse sicuramente fatto conoscere il nome di Dio ai suoi discepoli (Giovanni 17,6 e 17,26) ed insegnato a santificare il nome di Dio (Matteo 6,9), preferiva rivolgersi a Dio chiamandolo Padre. Cristo evitò infatti più volte di pronunziare il nome divino: al sommo sacerdote che gli chiedeva se fosse lui "il Cristo, il Figlio del Benedetto", Gesù rispose: "vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla destra della Potenza" (Matteo 26,63-64; Marco 14,61-62;  Luca 22,69), invece che "alla destra di YHWH" (Salmo 110,1 e Dn 7,14), adeguandosi all’uso ebraico di astenersi dalla pronuncia del nome proprio di Dio, come del resto aveva fatto il sommo sacerdote che lo interrogava. La notte prima della sua morte non troviamo poi un solo caso in cui Cristo faccia uso del Santo Nome. Gesù adoperò costantemente l’appellativo "Padre" nelle sue preghiere, nella preghiera del Padre Nostro e nell'orto dei Getsemani. Anche sulla croce, in punto di morte, non invocò il nome di YHWH ma disse: "Mio Dio, Mio Dio perché mi hai abbandonato?" e "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito".

 

IL TETRAGRAMMA NELLA BIBBIA DEI SETTANTA

 

     La Bibbia dei Settanta è la prima versione in greco dell’Antico Testamento. Fu redatta tra il III sec. a.C. e il II  secolo a.C. per venire incontro alle esigenze di culto e di proselitismo dei giudei residenti in Egitto e, più in generale, fuori della terra d'Israele. Fu fortemente voluta soprattutto dagli ebrei della diaspora che non comprendevano più l’ebraico. Secondo la lettera di Aristeia, è detta "dei Settanta" perché sarebbe stata eseguita da settanta saggi nell’isola di Faro (Alessandria d'Egitto), su richiesta di Tolomeo II Filadelfo.

     La Bibbia dei Settanta tradusse il tetragramma con Kyrios (Signore). Esistono comunque testimonianze di limitati casi di antiche copie della versione dei Settanta che hanno reso il nome di Dio in altro modo (caratteri greci, lettere greche maiuscole IAO, caratteri aramaici, caratteri paleoebraici, due jod ebraiche ed un trattino in mezzo, caratteri ebraici, caratteri ebraici quadrati): al momento non è comunque possibile dire se si tratti di versioni greche parallele o di revisioni della Settanta sul testo ebraico.

     Sulla storia del testo della LXX esistono infatti non poche teorie. Tra esse è forse il caso di ricordare:

·        la teoria della proto-Settanta (P.A. De Lagarde, D. Barthélemy, F.M. Cross);

·       la teoria delle correzioni ebraiche (E. Bickerman);

·        la teoria della pluralità delle traduzioni (P. Kahle). 

     Secondo la teoria della proto-Settanta esisterebbe un'unica versione greca antica dalla quale si sarebbero diversificate le varie recensioni locali (Alessandria d'Egitto, Antiochia, Babilonia). Secondo la teoria delle correzioni ebraiche, oltre ad un testo iniziale intatto, esisterebbero versioni successive in cui gli ebrei avrebbero introdotto correzioni stilistiche e giudaizzanti. Secondo la teoria della pluralità delle traduzioni sarebbero esistite varie traduzioni della Bibbia in lingua greca, che sarebbero state poi armonizzate fino ad ottenere un testo unico.

     La sostituzione del Santo Nome con Kyrios da parte dei traduttori originali ed il mantenimento  di Kyrios da parte dei successivi copisti non sembra rispondere ad un'unica logica. Si potrebbe infatti pensare: 

  • ad una iniziale riservatezza dovuta al fatto che la versione dei Settanta era rivolta agli ebrei residenti fuori della terra di Israele (soprattutto nella colonia di Alessandria d'Egitto) ed essendo scritta in greco poteva essere letta anche dai pagani;
  • al fatto che i copisti dell’Antico Testamento spesso non comprendevano il senso del  tetragramma;
  • al fatto che la pronuncia del tetragramma era spesso ignota e pertanto intraducibile in greco, dato che  i rabbini tendevano a leggere Adonaj tutte le volte che trovavano YHWH;
  • al fatto che il nome di Dio diventava incomprensibile, illeggibile ed oscuro se si manteneva il tetragramma ebraico nelle versioni greche;
  • al fatto che, traslitterando in greco il tetragramma, il nome di Dio perdeva ogni significato logico;
  • ad un atteggiamento reverenziale verso il  Santo Nome;
  • alla non remota possibilità di equivocare la pronuncia del nome di Dio (Yahvé) con quello del padre degli dei pagani (Giove);
  • ad un timore superstizioso, derivante dal divieto di nominare il Nome di Dio invano (Esodo 20,7);
  • all'uso magico (denunciato pure da Origene) del nome di Dio da parte dai maghi ebrei.
  • al sorprendente fatto che alcune scritture del Vecchio Testamento riguardanti YHWH vengono applicate nel Nuovo Testamento a Gesù Cristo (si confronti Salmo 102,25-27 con Ebrei 1,10-12; Isaia 8,12-13 con 1 Pietro 3,14-15; Isaia 40,13 con 1 Corinzi 2,16).

 

LA TRADIZIONE CRISTIANA E IL TETRAGRAMMA

 

     La cristianità fece costante riferimento alla Bibbia dei Settanta fino al IV secolo dopo Cristo, cioè fino a quando San Girolamo, su incarico di papa Damaso, non curò la Volgata, traduzione latina delle Sacre Scritture dal testo originale ebraico. La scomparsa del tetragramma dalla tradizione cristiana è dovuta al fatto che solo uno raro numero di copie della traduzione dei Settanta lo conteneva.

     Per secoli i cristiani credettero pertanto, in perfetta buona fede, che il nome proprio di Dio fosse "Signore" proprio perché quasi tutte le copie della versione greca dei Settanta lo avevano tradotto con Kyrios.

     Del resto, il testo greco della Settanta era facilmente comprensibile in tutto l'impero romano, mentre il Targum[6], che sicuramente riportava il tetragramma, era scritto in aramaico e risultava praticamente inaccessibile a larga parte dei cristiani.

     A ciò va aggiunto il fatto che la Settanta offriva molte più sfumature del testo ebraico e quasi sempre rendeva più chiare ed evidenti le profezie del Vecchio Testamento. Un esempio classico è quello della traduzione di “almah” in Isaia 7,14 “la vergine concepirà e darà al mondo un figlio che si chiamerà Emmanuele”. In ebraico la traduzione corretta di almah è “giovane donna” ma la versione dei Settanta tradusse l'ebraico almah con la parola greca "partenos", cioè con “vergine”, aprendo così  involontariamente le porte alla profezia della nascita verginale di Gesù  (Matteo 1,23).

     Il mondo ebraico reagì duramente alla lettura cristiana delle profezie e sconfessò la traduzione dei Settanta, che solo due secoli prima aveva, peraltro, mostrato di gradire. Nella riunione di Iamnia (90 dopo Cristo) gli ebrei fissarono il canone ufficiale della Bibbia, bocciando come apocrifi alcuni libri scritti in lingua greca[7] e contenuti nella versione dei Settanta. Vennero quindi preparate nuove traduzioni greche ed ebbero così origine le versioni di Aquila, di Simmaco e di Teodozione. Queste versioni, pur molto precise ed accurate, nascevano però con chiari intenti polemici e risultavano spesso realizzate da veri e propri apostati.

     L'Esapla di Origene (240 d.C. circa), costruita anche per favorire il dialogo con i rabbini ebrei, conteneva su sei colonne ben sei versioni del Vecchio Testamento: il testo ebraico, la trascrizione del testo ebraico in caratteri greci, le versioni di Aquila, di Simmaco, dei Settanta e di Teodozione. Le prime 2 colonne riportavano probabilmente il tetragramma in ebraico (הךהי), le due successive in caratteri paleoebraici e nelle restanti due colonne il nome di Dio era traslitterato in caratteri greci (πιπι).

     Nel IV° secolo san Girolamo, pur avendo avuto notizia del tetragramma da antiche copie del Vecchio Testamento[8], non ne approvò la forma greca e, nella Volgata, lo tradusse con "Domine". Di fatto, in ebraico, הךהי vuol probabilmente dire Colui che è [9], mentre nella lingua greca la forma πιπι (PIPI), oltre ad essere ridicola, risulta totalmente priva di senso. La Chiesa Cattolica per lungo tempo riconobbe quindi come versione ufficiale solo la Volgata per il terrore di manipolazioni del testo sacro da parte degli ebrei, degli eretici, degli ortodossi e dei musulmani (ormai padroni incontrastati dei patriarcati di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli).

     Il testo masoretico, infine, fu incomprensibile a larga parte del popolo cristiano e godette di minor prestigio rispetto alla versione dei Settanta anche perché vide la luce solo verso l'inizio del XI° secolo dopo Cristo, quando i rapporti con gli ebrei erano ormai compromessi. I masoreti introdussero le vocali e la punteggiatura nel testo sacro. Del nome di Dio si era però ormai persa la pronuncia. Essi  scrissero le vocali di Adonay sopra il tetragramma perché i rabbini tendevano a sostituire il nome proprio di Dio con Adonay: da questo nacque la diffusa convinzione che la pronuncia corretta del nome di Dio fosse Jehovah. 

 

 

IL TETRAGRAMMA NEL NUOVO TESTAMENTO

 

     Nel XX° secolo i progressi della scienza biblica e la crescente apertura della Chiesa Cattolica alle esigenze della ricerca e dell'esegesi hanno portato ad un fiorire di nuove traduzioni dai testi originali e all'inevitabile riscoperta del nome di Dio.

     Alla riscoperta del nome divino hanno indubbiamente contribuito pure le polemiche portate avanti dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova. Sulla base di alcuni indizi la Torre di Guardia[10] ha anche ipotizzato la presenza del tetragramma nel Nuovo Testamento. Il valore scientifico di tale contributo è stato però ridotto sensibilmente dalle pesanti accuse, rivolte a tutta la cristianità antica, di aver dolosamente eliminato il nome di Dio da tutti i manoscritti, da tutti i papiri e da tutti i codici delle scritture greche e cristiane.

     Invero tale ipotesi non è nuova e pare che risalga ai masoreti della scuola di Ben Asher ed al filosofo ebreo Mosé Maimonide (1135-1204). Le accuse sono basate su alcune ipotesi, deduzioni ed induzioni che hanno permesso di costruire, nell'arco dei secoli, un vero e proprio teorema. I ragionamenti sono avvincenti e ben collegati, tanto che sembra che perfino Isacco Newton[11] abbia prestato fede a tali illazioni.

     La fragilità dei postulati di base è però facilmente riconoscibile, soprattutto se si considera che:

  • il tetragramma  non compare in neppure una delle oltre 5000 copie del Nuovo Testamento;
  • il tetragramma non compare neppure una volta nei codici più antichi (Chester Betty) ed autorevoli (Sinaitico, Alessandrino, Vaticano);
  • in base alle dichiarazioni di Girolamo, di Origene ed altri, si sa solo che fino al IV secolo dopo Cristo il tetragramma era ancora presente in uno sporadico numero di copie della versione greca dei Settanta dell'Antico Testamento;
  • non si dispone di una sola testimonianza di autori, padri della chiesa e scrittori cristiani attestante la presenza del tetragramma in qualche copia del Nuovo Testamento;
  • l’eventualità, peraltro finora non dimostrata, della presenza del tetragramma nella versione aramaica del Vangelo di Matteo, limitatamente alle citazioni tratte dal Vecchio Testamento[12], non prova:
    • né che il nome di Dio fosse presente nelle altre scritture greche e cristiane,
    • né che sia stato volutamente sradicato da tutti i manoscritti, da tutti i papiri e da tutti i codici del Nuovo Testamento,
    • né che siano realmente esistite schiere di scribi cristiani infedeli, diabolicamente decisi a cancellare ogni traccia del nome divino;
  • la pratica di occultare il nome di Dio sembra appartenere più all’ebraismo che alla cultura cristiana. A tal proposito si pensi:
    • alla costante sostituzione del nome proprio di Dio con Adonay;
    • all'annientamento di tutte le copie della scrittura non conformi al testo ufficiale da parte dei masoreti dopo l’anno mille;
    • alla distruzione delle scritture cristiane da parte degli ebrei narrata nel Talmud[13];
    • alla eliminazione dei nomi di Dio dagli scritti cristiani[14];
  • l'eliminazione dei nomi divini dagli scritti cristiani riportata dal Talmud non prova la presenza del Santo Nome nel Nuovo Testamento. Il Talmud parla infatti  di "nomi della divinità"[15] e non di "tetragrammi" come qualcuno ha sostenuto[16]. 

     È pertanto ragionevole pensare che in quasi tutte le versioni greche della Bibbia dei Settanta, da cui gli scrittori del Nuovo Testamento hanno tratto le citazioni della legge e dei profeti, il tetragramma non fosse presente. Del resto, se si ammettesse anche solo per assurdo l'ipotesi di una massiccia falsificazione del testo biblico da parte dei copisti cristiani, tutto il Nuovo Testamento diventerebbe inattendibile e si potrebbe concludere che né la Chiesa né Dio hanno esercitato alcuna forma di protezione per salvaguardare l’integrità delle Sacre Scritture.

 

 

L'APOSTATA AQUILA

 

     A scandalizzare profondamente Aquila del Ponto furono probabilmente le pesanti accuse di politeismo, di apostasia e di idolatria rivolte dagli ebrei ai primi cristiani. Non si trattò probabilmente, come per Ario e Maometto, di un rifiuto della trinità, perché della trinità si cominciò a parlare in modo dogmatico solo due secoli dopo, con i Concili di Nicea e di Costantinopoli[17].

     Nella Sacra Scrittura la parola "dio" (ehlojm in ebraico e theos in greco), oltre che al Padre, è applicata anche:

  • agli angeli (Salmo 8,6 e Salmo 138,1);
  • ai giudici (Salmo 82,6; Giovanni 10,34);
  • ai profeti (Esodo 4,16 e 7,1);
  • ad esseri potenti (1 Samuele 28,13);
  • al Re Messia (Isaia 7,14; Isaia 9,5; Salmo 44,8);
  • a Gesù Cristo (Matteo 1,23; Giovanni 1,1; Giovanni 20,28; Tito 2,13;  Ebrei 1,8; 2 Pietro 1,1; 1 Giovanni 5,20);
  • alla casa di Davide (Zaccaria 12,8);
  • agli idoli (Isaia 41,23);
  • a cosiddetti dei (Galati 4,8);
  • ai falsi dei (1 Corinzi 8,5);
  • ai demoni (2 Corinzi 4,4).

     Di fatto, il monoteismo ebraico faceva largo uso della parola "elohim" soprattutto per  designare alcuni esseri potenti come gli angeli della corte celeste (Salmo 138,1). Secondo alcuni ciò sarebbe dovuto al fatto che la lingua ebraica era meno evoluta di quella greca, che distingue il termine angelo (aggeloς) dal termine dio (θεός) (si confrontino ad esempio Salmo 97,7 ed Ebrei 1,6). Secondo altri il monoteismo ebraico avrebbe accettato l'esistenza di dei minori senza cadere nella monolatria; sarebbero stati i cristiani ad adottare forme di monoteismo molto più strette e radicali.

     Qualunque cosa si possa pensare delle due tesi sopra ricordate occorre sottolineare che gli "elohim" o "dei minori" del Vecchio Testamento non furono mai e poi mai oggetto di adorazione (Apocalisse 22,8-9), furono creati (Ebrei 1,5) e furono considerati figli di Dio (Giobbe 1,6; Salmo 29,1; Salmo 89,7) solo per adozione. Dio comandò a Mosé di rappresentare due cherubini d'oro sopra l'arca dell'alleanza (Esodo 25,18) proprio perché avevano funzioni decorative e non erano oggetto di  culto (Esodo 20,4).

     Le forme di omaggio tributate a Gesù Cristo dagli angeli quando fu introdotto nel mondo (Ebrei 1,6), dai magi quando gli portarono i doni (Matteo 2,11), dal cieco nato quando recuperò la vista (Giovanni 9,38), dai discepoli quando apparve risorto in Galilea (Matteo 28,17), dagli apostoli all'ascensione (Luca 24,52), alla destra di Dio dopo il ritorno in cielo (Apocalisse 5,13 e Filippesi 2,10-11) ed alla fine dei tempi nella Nuova Gerusalemme sul trono di Dio (Apocalisse 22,1 e 22,3), provocavano non pochi problemi ai giudei convertiti al cristianesimo prima della definizione del dogma della trinità. Gesù Cristo risultava infatti essere l'unico vero figlio di Dio, generato e non creato, di natura divina e non angelica (Filippesi 2,6; Colossesi 2,9; Ebrei 1,5-1,6), onorato come il Padre (Giovanni 5,22-23).

     Il monoteismo ebraico pur ammettendo l'esistenza di altri "elohim" di natura umana o angelica negava infatti l'esistenza di un "elohim" di natura divina o jahvista: l'accettazione di Gesù Cristo come figlio naturale di YHWH conduceva inevitabilmente alla monolatria. Poiché Gesù Cristo era  chiamato senza problemi Signore e Dio (Kurios e Theos in greco a cui corrispondono Adonaj oYHWH ed Elohim in ebraico) molti monoteisti come Aquila erano probabilmente scandalizzati [18]. Di fatto nei primi secoli, gli ebrei muovevano ai cristiani :

      ·     accuse di bestemmia, di idolatria e di politeismo (adorazione di due o più dei) se si sosteneva che il Messia Figlio di Dio era Dio come il Padre (Giovanni 10,33);

        ·     accuse di monolatria (adorazione di un Dio maggiore e culto relativo di un dio minore) se si affermava che il Figlio era un dio minore (Deuteronomio 32,39; Isaia 43,10; Isaia 44,24).

     In conclusione il monoteismo ebraico, pur ammettendo l'esistenza di esseri potenti di natura angelica o umana, negava con fermezza che questi "elohim":

  • fossero di natura divina o jahvista;
  • si trovassero con YHWH alla creazione del mondo;
  • potessero ricevere ogni potere ed essere onorati come Dio;
  • finissero per sedere sullo stesso trono del Padre alla fine dei tempi.

 

 

CRISTO ALLA CREAZIONE

 

IL MONOTEISMO EBRAICO

 

     Alla creazione del mondo, per il Vecchio Testamento, la presenza di un elohim (dio) insieme a YHWH è totalmente inaccettabile. Infatti sta scritto:

    ·     "or  vedete che solo io sono Dio e che non c'è altro dio accanto a me" (Deuteronomio 32,39);

   ·      "prima di me non fu formato alcun dio e dopo di me non ne sarà formato alcuno" (Isaia 43,10);

   ·     "sono io YHWH che ho fatto tutto, che da solo ho spiegato i cieli ed ho disteso la terra, senza che ci fosse alcuno con me" (Isaia 44,24).

     Il Nuovo Testamento parla invece della presenza del Verbo come collaboratore (artefice, strumento, mezzo) alla creazione di Dio (Giovanni 1,3; Ebrei 1,2; Colossesi 1,16; Apocalisse 3,14).

 

LA SAPIENZA DI DIO

 

     Alla creazione del mondo solo la Sapienza di Dio e lo Spirito di Dio erano con Dio (vedere Proverbi 8 e Genesi 1) ma la Sapienza e lo Spirito erano una parte di Dio, come la sapienza e lo spirito di un uomo fanno parte dell'uomo stesso (1 Corinzi 2,11).

     Sta infatti scritto che:

  • "dalla Parola di YHWH furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera" (Salmo 33,6);
  • "Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste" (Salmo 33,9);
  • "come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata" (Isaia 55,10-11).

     Prima della creazione del mondo la Sapienza esisteva in Dio (Giovanni 1,1; 1 Giovanni 1,1-2) e fu generata, emanata, manifestata, esternata, espressa, tradotta in Parola di Dio: Gesù Cristo è infatti chiamato Sapienza di Dio in vari punti del Nuovo Testamento (Matteo 11,19, Luca 11,49, 1 Corinzi 1,24-30).

     La Sapienza fu generata (ebraico = quana) e non creata (ebraico = bara), cioè separata dal Padre (Proverbi 8,22). La differenza è semplice e comprensibile: la generazione avviene da un essere precedente, mentre la creazione avviene dal nulla. Se la Sapienza di Dio fosse stata creata dal nulla (come tutte le creature) si arriverebbe all'assurdo di affermare che ci fu un tempo (prima della creazione del mondo e degli angeli) in cui Dio era privo di sapienza e questo, oltre ad essere irriverente, sarebbe contro ogni  logica e ragione.

     Paradossalmente si deve ad Aquila del Ponto, a Teodozione e a Simmaco la traduzione esatta di "quana" (mi possedette, mi ebbe con se, mi generò), mentre le versioni dei Settanta ed il Targum traducono "quana" in modo errato (mi creò). L'errore fu segnalato e corretto da San Gerolamo che nella Volgata rese così Proverbi 8,22: "Dominus possedit me in initio viarum suarum, antequam quidquam faceret a principio".

     Si trattò evidentemente di una generazione asessuata o per scissione, non di una generazione sessuata. La riproduzione asessuata non richiede infatti rapporti sessuali e separa un solo essere in due entità distinte e coetanee, mentre la riproduzione sessuata richiede due genitori ed un rapporto sessuale per generare una nuova creatura cronologicamente più giovane.          

 

LA PAROLA: STRUMENTO DELLA CREAZIONE DI DIO

 

     La Parola fu il mezzo, lo strumento, il principio della creazione di Dio.

     Il vangelo di Giovanni inizia così: "In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio e tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Giovanni 1,1-3).

     L'apostolo Paolo scrive poi agli ebrei che "Dio … in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto il mondo" (Ebrei 1,2).

     Ai colossesi lo stesso Paolo ricorda che Cristo " è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; perché per mezzo di lui sono state create tutte le cose; quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili" (Colossesi 1,15-18).

     Nell'Apocalisse l'apostolo Giovanni descrive infine Gesù all'angelo della chiesa di Laodicea come "l'amen, il testimone fedele e verace, il principio (o il mezzo) della creazione di Dio" (Apocalisse 3,14).

     Apocalisse 3,14 non prova che il Logos sia stato creato. La parola greca arcή "arché" ha infatti molti significati e solo nel Nuovo Testamento può voler dire:

  • primo o principio applicato al Padre (Apocalisse 21,6) e al Figlio (Apocalisse 22,13);
  • capo, re o principe (Colossesi 1,18 e Apocalisse 1,5);
  • mezzo e strumento (Apocalisse 3,14; Atti 3,15);
  • inizio, origine, primo periodo (Giovanni 1,1);
  • primitivo, antico, originario, primiero (Giuda 6);
  • estremità di un lenzuolo (Atti 10,11).

     Il fatto che la parola arché sia spesso usata con il senso di "principio" non prova che in Apocalisse 3,14 non possa essere tradotta  con "mezzo, strumento, origine, causa attiva, sorgente primaria, autore, iniziatore, capo, re o principe" (della creazione di Dio)[19], giacché il concetto di:

  • leader o principe è presente in almeno un punto dell'Apocalisse "il principe dei re della terra" (Apocalisse 1,5);
  • mezzo o strumento è ribadito nel Nuovo Testamento dalla parola greca "dia" (Giovanni 1,3; Colossesi 1,16; Ebrei 1,2) e nel Vecchio Testamento da una rara parola ebraica, che può essere tradotta, in astratto, come artefice, mezzo e strumento e, in concreto, come artigiano o architetto (Proverbi 8,30);
  • autore (della vita) è espresso con una parola greca (arcήgon) derivata da arché (Atti 3,15).

    

LA PAROLA ERA DIO, VERO DIO E SALVATORE

 

     Gesù Cristo, oltre ad essere chiamato Signore cioè κύριός (1 Corinzi 8,6 e Atti 2,36), è detto Dio cioè θεός in vari punti del Nuovo Testamento (Giovanni 1,1; Giovanni 20,28; Romani 9,5; Tito 2,13; 1 Giovanni 5,20) e negli scritti dei padri apostolici del primo secolo.

     I titoli di Dio, di Vero Dio e Salvatore sembrerebbero usabili solo per il  Padre. Infatti sta scritto:

  • "per noi c'è un Dio solo, il Padre…ed un solo Signore, Gesù Cristo" (1 Corinzi 8,6) e "Dio Padre del nostro Signore Gesù Cristo" (Efesini 1,17 e anche  Romani 15,6; 2 Corinzi 1,3; 1 Pietro 1,3)

  • "la vita eterna è questo: che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Giovanni 17,3);

  • "Io sono YHWH e fuori di me non c'è salvatore" (Isaia 43,11);

     A ben guardare però tali titoli sono però applicati anche al Figlio. Sta infatti scritto:

  • "la  Parola era Dio" (Giovanni 1,1); "il nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo" (Tito 2,13); "Signor mio e Dio mio" (Giovanni 20,28); " Dio benedetto in eterno" (Romani 9,5);

  • "sappiamo poi che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere il Vero. E noi siamo nel Vero, nel Figlio suo Gesù Cristo. Questi è il vero Dio e la vita eterna" (1 Giovanni 5,20);

  • "Gesù Cristo, nostro Salvatore" (Tito 3,6) e "il nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo" (Tito 2,13).

 

Giovanni 1,1

 

     In Giovanni 1,1 il titolo di Dio è chiaramente riferito alla Parola. Il fatto che θεος (Theos)  sia privo di articolo non indebolisce minimamente il titolo di Dio né giustifica traduzioni[20] del tipo "la parola era dio", "la parola era un dio" o "la parola era divina", né tanto meno rende indeterminato il complemento (Dio) rispetto al soggetto (la Parola). Vediamo di capire.

  1. Il soggetto (Logos) ha l'articolo. Se avesse l'articolo pure il complemento (Theos)  non si capirebbe più chi è soggetto e chi è complemento: soggetto e complemento sarebbero così intercambiabili. La frase potrebbe allora correttamente tradursi in due modi: "la Parola era Dio" oppure "Dio era la Parola", risultando indeterminata[21]

  2. La struttura della seconda parte di Giovanni 1,1 è: "και θεος ην ο λογος"  (kai theos en ho logos) cioè "e Dio era la Parola". Un noto studioso[22] del greco koiné ha mostrato come, quasi sempre, nel Nuovo Testamento "un predicato nominale determinato non prende l'articolo quando precede il verbo essere, mentre prende l'articolo quando segue il verbo".[23] Si noti che la regola non dice se un predicato nominale è determinato o indeterminato perché qui entra in gioco la teologia; la regola afferma solo che un predicato nominale determinato tende a perdere l'articolo quando precede il verbo e a conservarlo quando lo segue. Evidentemente per il monoteista theos è sempre determinato perché esiste un solo Dio e tutti gli altri "dei" sono o falsi dei o idoli o dei in senso figurato. Per i monolatri invece theos può essere anche indeterminato perché la lingua ebraica usa elohim anche per angeli, giudici e vari esseri potenti,  mentre la lingua greca usa theos anche per i giudici.. Se comunque ammettiamo che theos sia determinato (come pensano i monoteisti-trinitaristi) la perdita dell'articolo in Giovanni 1,1 risulta ragionevole e grammaticalmente corretta;

  3. Esistono casi in cui Theos (Dio) è riferito al Figlio e porta l'articolo (Matteo 1,23; Giovanni 20,28; Ebrei 1,8; 1 Giovanni 5,20) e casi in cui Theos (Dio) è riferito al Padre e non ha l'articolo (Giovanni 1,12; Giovanni 1,18; Romani 8,33 e 2 Corinzi 1,3). Si noti come nel versetto 2 Corinzi 1,3 il Padre è chiamato Dio una volta con l'articolo (o Theos) e una volta senza articolo (Theos).

  4. La traduzione "la parola era divina" è poco convincente perché il greco ha il sostantivo θεος (Theos) per Dio e l' aggettivo θειος (theios) per divino[24]. Per la grammatica greca l'articolo non è necessario per definire l'unico Dio (θεος= ο θεος) come mostrano chiaramente i versetti sopra citati (Giovanni 1,12; Giovanni 1,18; Romani 8,33 e 2 Corinzi 1,3). L'articolo è invece indispensabile  davanti a θειος  per trasformare l'aggettivo "divino" nella forma sostantivata "la divinità". A tal proposito vedasi ad esempio 2 Pietro 1,3 e 1,4 dove θειος corrisponde all'aggettivo "divino" e Atti 17,29 dove το θειον corrisponde alla forma sostantivata "la divinità"[25].  In pratica il fatto che sia possibile sostantivare l'aggettivo θειος (divino) aggiungendo l'articolo non dimostra l'inverso, cioè che sia possibile aggettivare il sostantivo θεος (Dio) togliendo l'articolo.

 

Tito 2,13

 

     La traduzione di Tito 2,13 "…nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" (μεγάλου θεοΰ και σοτήρος) sembra corretta sia dal punto di vista grammaticale che da quello logico per i seguenti motivi[26a]:

 1.      il fatto che nel testo greco l'articolo του (del) non venga ripetuto depone a favore della traduzione tradizionale;

 

 2.      costruzioni simili non sono infrequenti nel Nuovo Testamento; vedasi ad esempio: Romani 15,6; 2 Corinzi 1,3; Efesini 1,3; Ebrei 3,1; Ebrei 12,2; 2 Pietro 2,20; 2 Pietro 3,18;

 

 3.      si confronti la struttura praticamente identica di:

  •   Tito 2,13 "του μεγαλου θεου και σοτηρος ημων Ίησου Χριστου" (del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo);

  •  2 Pietro 2,20 "του κυριου ημων και σοτήρος Ίησου Χριστου" (del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo);

  •  Ebrei 3,1 "αποστολον και άρχιερέα …….Ίησος" (apostolo e sommo sacerdote …. Gesù);

 

 4.      il concetto della gloriosa manifestazione futura (epifaneia) è sempre applicato al Figlio e non al Padre (vedasi  2 Tessalonicesi 2,8; 1 Timoteo 6,14-15; 2 Timoteo 1,10-4,1-4,8);

 

5.      anche se l'enfasi potrebbe andare più sulla gloria (δοξη) che sulla manifestazione (επιφανειαν), occorre notare come il ritorno di Cristo avverrà:

  •  sia nella gloria del Padre (Matteo 16,27)

  • sia nella gloria del Figlio (Matteo 25,31)

  •  sia nella gloria del Padre e del Figlio (Luca 9,26);

 

6.     il titolo "Dio e Salvatore" è usato per Cristo anche dall'apostolo Pietro (2 Pietro 1,1)

 

7.     il titolo di "μεγάλου θεοΰ", cioè "Dio grande" è applicato al Padre nell'Antico Testamento dalla versione dei Settanta (Nehemia 8,6; Salmo 86,10; Daniele 2,45; Daniele 9,4) ma è applicabile senza problemi a Gesù Cristo, considerata la polemica cristiana contro gli imperatori romani che vantavano gli arroganti titoli di dominus et deus (signore e dio);

 

8.     il fatto che solo qui Gesù Cristo sia chiamato "μεγάλου θεοΰ", cioè "Dio grande" non depone contro la traduzione tradizionale: anche il titolo di "αποστολον"  cioè  di apostolo è applicato una sola volta a Cristo (Ebrei 3,1);

 

9.     se perfino un re di Israele (probabilmente Ezechia) è chiamato El Gibbor (Isaia 9,5) non si capisce perché Cristo non possa vantare i titoli di Dio grande e potente[26b].

 

Giovanni 20,28

 

     Il versetto Giovanni 20,28 Rispose Tommaso e gli disse: "Signor mio e Dio mio" si riferisce sicuramente al Figlio perché il termine autώ (gli ) è presente in tutti i manoscritti. Inoltre qui troviamo ho Theos, cioè Dio con l'articolo applicato al Figlio (come pure in Ebrei 1,8, in 1 Giovanni 5,20 e in Matteo 1,23). Si noti poi come in alcune preghiere del Vecchio Testamento proprio YHWH sia pregato, usando il vocativo, con la formula ho Theos e ho Kurios (vedasi ad esempio Salmo 35,23).

 

1 Giovanni 5,20

 

     Il versetto 1 Giovanni 5,20 suona così: "Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intendimento per conoscere il Vero. E noi siamo nel Vero e nel Figlio suo Gesù Cristo. Questi è il Vero Dio e la vita eterna".

     Il pronome "questi" (in greco οΰτός) si riferisce a Cristo per almeno due motivi:

  1. per logica e per correttezza grammaticale un pronome personale si riferisce all'ultima persona nominata e non a quella precedente (nel nostro caso al "Figlio suo Gesù Cristo" e non al "Vero");
  2. se il pronome "questi" si riferisse alla persona precedente si avrebbe una tautologia, cioè una pedante ripetizione dello stesso concetto con parole diverse; la frase suonerebbe allora così: Questi (il Vero) è il Vero Dio e la vita eterna.

 

Romani 9,5

 

     La dossologia "Dio benedetto nei secoli" del versetto Romani 9,5 è stata da molti  applicata al Figlio, tenendo anche presente Ebrei 13,21. Solo alcuni la hanno attribuita  al Padre, in virtù di Romani 1,25 e di 2 Corinzi 11,31[27].

     Coloro che applicano la dossologia al Figlio si appoggiano all'autorità di alcuni padri della chiesa (soprattutto Ireneo, Ippolito e Tertulliano), all'opinione di famosi esegeti (Lagrange, Michel e Lyonnet) ed alla improbabile brusca interruzione, introdotta da una dossologia riferita  al Padre, dopo il lungo discorso sul Figlio.

     Coloro che invece attribuiscono la dossologia al Padre si rifanno ai dubbi avanzati da alcuni autorevoli biblisti (come Metzger), alla presenza di segni di interpunzione o di spazi in alcuni importanti manoscritti ed al fatto che nel Nuovo Testamento il termine benedetto (εύλογητός) è sempre applicato al Padre (Marco 14,61; Luca 1,68; Romani 1,25; 2 Corinzi 1,3; 2 Corinzi 11,3; Efesini 1,3; 1 Pietro 1,3) e mai al Figlio.

 

I Padri apostolici

 

     Il titolo di Dio è applicato a Cristo è testimoniato dai padri apostolici del primo secolo, quando ancora non si parlava di trinità e di dogmi. Facciamo riferimento a Ignazio morto nel 107, a Giustino martire verso il 165 e a Teofilo morto presumibilmente nel 185. Si veda:

  • Ignazio agli Efesini, VII, 2 (Dio nella carne);
  • Ignazio agli Smirnesi , I, 1 (Gesù Cristo Dio);
  • Ignazio ai Romani, III, 3 (Gesù Cristo nostro Signore Dio);
  • Ignazio ai Tralliani, VII, 1 (Gesù Cristo Dio);
  • Ignazio a Policarpo, VIII, 3 (Dio nostro Gesù Cristo);
  • Giustino martire, Prima Apologia, 63, 14 (Il Figlio, Parola e Primogenito di Dio, è anche Dio);
  • Teofilo ad Autolico, Secondo libro, 22 (La Parola generata da Dio è Dio).

 

FIGLIO PRIMOGENITO E UNIGENITO

 

     Gesù Cristo fu generato e non creato dal Padre prima della creazione del mondo e collaborò attivamente all'opera creatrice, tanto che "tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Giovanni 1,3).

     Sebbene la Bibbia chiami figli di Dio anche esseri creati come gli angeli (Giobbe 1,6; Salmo 29,1; Salmo 89,7) e gli uomini (Galati 4,5; Efesini 1,5; Romani 8,14), la loro figliolanza è adottiva.                       Gesù Cristo è l'unico vero figlio di Dio, generato e non creato, della stessa natura del Padre, unigenito e primogenito: la sua figliolanza è pertanto naturale.  

     Sta infatti scritto:

  • "Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato" (Ebrei 1,5);
  • "Egli è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di tutte le creature" (Colossesi 1,15);

·        "Nessuno ha mai visto Dio, l'unigenito Figlio che è nel seno del Padre è colui che lo ha rivelato" (Giovanni 1,18).

 

GENERATO NON CREATO

 

     Tra generazione e creazione la differenza è notevole. Si ha generazione quando uno o più genitori danno vita ad un essere simile, mentre si ha creazione quando un essere vivente o una cosa inanimata vengono all'esistenza dal nulla.

     Dio crea e genera, gli uomini e gli animali possono solo generare. Gesù Cristo è l'unico Figlio di Dio generato da Dio e di natura divina, mentre gli angeli e gli uomini sono di natura inferiore a Dio e, poiché creati, sono figli di Dio solo in senso adottivo.

     La cosa è facilmente comprensibile se si pensa ad un re che abbia un figlio unico, principe ed erede. Se il re decidesse di adottare come figli alcuni giovani guerrieri e ministri questi non potrebbero vantare né il trono né la stessa natura regale del principe. Potrebbero essere messaggeri, rappresentanti, principi e plenipotenziari del regno ma la loro natura reale resterebbe adottiva. La loro dignità non sarebbe pertanto neppure paragonabile a quella del principe unigenito.

     La differenza tra creazione e generazione fu compresa perfino da Ario, che negava la divinità di Cristo e vedeva nella generazione del Figlio la prova tangibile del fatto che la Parola non sarebbe eterna come il Padre. Ciò che Ario non capì è che la generazione può essere tanto sessuata che asessuata, come la natura stessa insegna.

 

LA GENERAZIONE DEL FIGLIO DI DIO

 

     La generazione sessuata o gamica richiede due genitori ed un rapporto sessuale per generare una nuova creatura, cronologicamente più giovane. La generazione sessuata o gamica è comune ai mammiferi, agli uccelli, ai rettili, agli anfibi, ai pesci e agli insetti ma non è l'unica forma riproduttiva inventata da Dio.

     La generazione asessuata o agamica non richiede invece rapporti sessuali e separa un solo essere in due entità distinte e coetanee. La generazione asessuata o agamica è frequente nei vegetali e negli organismi animali più semplici; essa può avvenire per scissione o divisione, per talea, per propagazione, per gemmazione o per divisione multipla. Nel caso in cui l’organismo sia unicellulare, il processo di riproduzione coincide con la moltiplicazione cellulare.

     A favore della generazione asessuata del Logos potremmo portare almeno cinque argomenti:

  •  la generazione della Sapienza o Parola di Dio deve essere stata per forza una generazione  agamica o asessuata poiché il monoteismo ebraico non ha mai ammesso l'esistenza di una dea madre accanto all'unico Dio Padre;

  • la riproduzione sessuata ha la primaria finalità di mescolare il corredo cromosomico di due creature imperfette al fine di rendere recessivi i geni più deboli e meno adatti alla sopravvivenza: tutto questo non può essere applicato a Dio che è un Essere Spirituale e Perfetto;

  •  la Sapienza di Dio esisteva in Dio (Giovanni 1,1; 1 Giovanni 1,1-2) e prima della creazione del mondo fu generata, cioè si separò dal Padre, fu emanata, fu manifestata, fu esternata, fu espressa, fu tradotta in Parola: Gesù Cristo è infatti chiamato Sapienza di Dio in vari punti del Nuovo Testamento (Matteo 11,19, Luca 11,49, 1 Corinzi 1,24-30);

  • la Sapienza esisteva già prima di essere generata ma non era ancora stata separata e distinta da Dio: in caso contrario si arriverebbe all'assurdo di dire che ci fu un tempo, prima della creazione del mondo, in cui Dio era privo di Sapienza;

  •  se Dio fosse stato privo di Sapienza non avrebbe potuto né generare né creare la Sapienza.

 

LA SUBORDINAZIONE DI CRISTO

 

     Gesù Cristo si fece uomo e umiliò se stesso (Giovanni 1,14; 1 Timoteo 2,5; Filippesi 2,7-8). Fu  pertanto limitato da un corpo e quando fu sulla terra fu  sottomesso:

  • al Padre (Giovanni 14,28; Giovanni 20,17; Efesini 1,17);
  • ai genitori (Luca 2,51);
  • alla debolezza umana (Giovanni 14,28; Matteo 26,37; Giovanni 11,33);
  • alla tentazione ma non al peccato (Matteo 4,1; 2 Corinzi 5,21; Ebrei 4,15);
  • all'ignoranza (Marco 13,32);
  • agli angeli (Ebrei 2,7);
  • alla morte (Filippesi 2,8).

     Dopo la resurrezione Cristo:

  • è sottomesso al Padre (1 Corinzi 11,3; Efesini 1,17);
  • farà atto di sottomissione al Padre alla fine dei tempi (1 Corinzi 15,28). 

     Nella Nuova Gerusalemme però la sottomissione finirà:

  • Gesù Cristo non si siederà più alla destra di Dio
  • ma sullo stesso trono di Dio: il trono di Dio e dell'Agnello (Apocalisse 22,1 e 22,3).

 

SOTTOMISSIONE ED INFERIORITÀ

     Tra sottomissione ed inferiorità esiste una notevole differenza: per natura tutti gli uomini sono uguali, mentre gli animali sono inferiori agli uomini. Tra gli uomini poi esistono casi di subordinazione come quella dei figli ai genitori o quella dei cittadini alle autorità preposte. Una cosa, pertanto,  è dire che Cristo è di natura divina, generato dal Padre e a Lui sottomesso, mentre altra cosa è dire che il Figlio è di natura angelica, creato ed inferiore a Dio.

     Quando era sulla terra Cristo proclamò che tutto quello che il Padre possedeva era suo (Giovanni 16,23 e 17,10), che lo Spirito Santo avrebbe preso le cose del Figlio per annunziarle agli uomini (Giovanni 16,22). Inoltre  chiamò Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio (Giovanni 5,18) ed affermò che il Figlio deve essere onorato come il Padre (Giovanni 5,23).

     Dopo la resurrezione ogni potere è stato dato a Cristo in cielo e in terra (Matteo 28,18) e nel nome di Gesù deve piegarsi ogni ginocchio, in cielo e in terra, ed ogni lingua deve proclamare che Cristo è Signore a gloria di Dio Padre (Filippesi 2,11-12).

     Il fatto poi che il potere sia stato dato dal Padre (Matteo 28,18) e che il Figlio abbia detto che  non può far nulla da se stesso se non ciò che vede fare dal Padre (Giovanni 5,19) non è segno di inferiorità ma di sottomissione. Infatti se lo stesso Cristo insegnò che "tutto quello che il Padre possedeva era suo" (Giovanni 16,23 e 17,10), intendeva sicuramente dire che anche il potere era suo. Se poi "le cose che fa il Padre, le fa il Figlio similmente" (Giovanni 5,19), vuol dire che il Figlio è onnipotente come il Padre. Il Figlio non può pertanto far nulla da solo perché "non cerca la sua volontà ma la volontà di colui che lo ha mandato" (Giovanni 5,30). Gesù infatti profetizzò che "quando innalzerete il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono e che non faccio nulla da me stesso ma come mi ha insegnato il Padre, queste cose dico" (Giovanni 8,28). Inoltre sta scritto che "il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che fa" (Giovanni 5,20).

     Il profeta Gioele annunziò che verso la fine dei tempi "chiunque invocherà il nome di YHWH sarà salvato" (Gioele 4,32), mentre Isaia riportò un'affermazione monoteista molto categorica "Io sono YHWH; questo è il mio nome; e non darò la mia gloria ad un altro …" (Isaia 42,8).

     Se Cristo non è Dio, questi versetti contrastano non poco con le affermazioni di Pietro, che parlando del nome di Gesù davanti agli anziani, ai capi, agli scribi e al sommo sacerdote, affermò "non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Atti 4,12) e con le affermazioni che lo stesso Cristo fece dopo la guarigione di un infermo alla piscina di Betsaida "il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre" (Giovanni 5,22-23).

     Alla fine dei tempi Gesù Cristo non si siederà più alla destra di Dio (Salmo110; Daniele 7,13-14; Matteo 26,64; Atti 2,33; Ebrei 1,13; Atti 7,55-56; Apocalisse 5,13) ma sullo stesso trono di Dio (Apocalisse 22,1 e 22,3): il trono di Dio e dell'Agnello.

 

LA SOTTOMISSIONE DI CRISTO ALLA MORTE

     La morte di Gesù Cristo fu reputata stoltezza dai pagani e scandalo dagli ebrei (1 Corinzi 1,23). Per gli ebrei come Aquila fu la prova più evidente che Cristo non era Dio: un Dio che muore era infatti scandaloso ed inaccettabile anche per coloro che non aspettavano un messia glorioso. Del resto il profeta Abacuc definisce Dio come immortale, cioè "YHWH che non muore" (Abacuc 1,12): se Cristo fosse stato Dio non sarebbe morto.

     Gesù invece realmente morì e, pur non subendo la corruzione, venne deposto nel sepolcro (Atti 2,31). La morte non fu però solo conseguenza della debolezza umana ma anche frutto di una libera scelta del Padre (Matteo 26,42) e del Figlio (Giovanni 10,18).[28]

     La resurrezione, come la creazione e la redenzione, furono infatti opera sia del Padre che del Figlio. Se Cristo non fosse stato Dio non avrebbe poi potuto avere alcun potere sulla morte (Apocalisse 1,18) né avrebbe potuto affermare:

  •   a proposito del proprio corpo "distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Giovanni 2,19-21);

  • a proposito della propria vita " io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla ed il potere di riprenderla di nuovo" (Giovanni 10,17-18).

 

 

DALLA DESTRA DI DIO AL TRONO DI DIO

 

IL MONOTEISMO EBRAICO

 

     Secondo una definizione comunemente accettata[29] per monoteismo si intende la fede in un solo Dio, mentre per monolatria si intende la fede in un solo Dio senza però escludere l'esistenza di uno o più dei minori. La fede in un Dio grande (YHWH) degno di adorazione assoluta e allo stesso  tempo in un dio minore (Gesù Cristo) degno di adorazione relativa rientra pertanto nella monolatria. Evidentemente la monolatria non è cosa grave come il politeismo (fede in più dei) ma crea problemi molto gravi per il vero monoteista che crede in un solo Dio e non accetta l'esistenza di altri dei (uguali o minori). 

     Nell'Antico Testamento,alla creazione, esisteva già la Sapienza di Dio (Proverbi 8) e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque (Genesi 1,3): non si trattava di dei minori, di angeli, di arcangeli, di messaggeri o di rappresentanti ma di parti integranti di YHWH (e nessun ebreo ci ha mai trovato niente di strano)[30].
    
L'unità di Dio "Ascolta Israele, YHWH è il nostro Dio, YHWH è uno solo" (Deuteronomio 6,4) è infatti una unità composta che gli ebrei hanno reso con "achad", mentre la parola ebraica per indicare unità assoluta è "yachid".

     La parola "achad" è usata , ad esempio,

  • in Genesi 2,24 (marito e moglie saranno una sola carne);
  • in Genesi 11,2 (essi sono un solo popolo);
  • in Deuteronomio 6,4 (ascolta Israele, YHWH l'Iddio nostro è uno).

La parola "yachid" è invece usata , ad esempio,

  • in Geremia 6,26 (fai lutto come per un figlio unico);
  • in Salmo 25,16 (sono solo ed infelice).

 

I CRISTIANI E LA TRINITÁ

 

     Per un monoteista non è illogico che Dio si sia manifestato come Padre, Figlio e Spirito Santo, come non è illogico che l'acqua si manifesti in cielo sotto forma di nubi ed in alta montagna sotto forma di ghiaccio. Purtroppo per Aquila la dottrina della trinità non era stata ancora elaborata in modo chiaro. Nel Nuovo Testamento erano però già chiari i fondamenti della trinità:

  • "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Matteo 28,19);
  • "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi" (2 Corinzi 13,13);
  • "…uno solo è lo Spirito, …uno solo è il Signore, …uno solo è Dio" (1 Corinzi 12,4).

     Per le  prove della personalità dello Spirito Santo si veda, ad esempio:

  • la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata (Matteo 12,32);
  • il battesimo conferito nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Matteo 28,19);
  • lo Spirito Santo insegnerà e ricorderà ogni cosa agli apostoli (Giovanni 14,26);
  • lo Spirito Santo guiderà in tutta la verità e insegnerà le cose future (Giovanni 16,13);
  • Anania e Saffica mentirono allo Spirito Santo (Atti 5,3);
  • lo Spirito Santo parlò a Pietro per indirizzarlo alla casa di Cornelio (Atti 10,19-20);
  • lo Spirito Santo parlò alla Chiesa di Antiochia affinché consacrasse Barnaba e Saulo per una missione (Atti 13,2);
  • lo Spirito Santo guidò il concilio di Gerusalemme (Atti 15,28);
  • lo Spirito Santo vietò agli apostoli di evangelizzare la provincia di Asia (Atti 16,6);
  • lo Spirito Santo costituì i vescovi di Efeso (Atti 20,28);
  • lo Spirito Santo profetizzò la prigionia di Paolo per bocca del profeta Agabo (Atti 21,11);
  • nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio (Romani 8,11);
  • lo Spirito Santo distribuisce i doni come vuole (1 Corinzi 12,11);
  • il Signore è lo Spirito (2 Corinzi 3,17);
  • non bisogna rattristare lo Spirito (Efesini 4,30).

 

ADORAZIONE E PREGHIERA

 

     La preghiera dei cristiani è rivolta al Padre (Matteo 6,6 e Matteo 6,9). Gesù stesso pregava il Padre, insegnò il Padre Nostro ed assicurò efficacia alle preghiere rivolte:

  •   al Padre nel nome del Figlio (Giovanni 16,23  e Giovanni 15,16);

  •  con fede (Matteo 21,22)

  • dagli umili (Proverbi 3,34; Giacomo 4,6; 1 Pietro 5,5; Siracide 35,17) 

  • dai giusti (Proverbi 15,29; Isaia 1,15; Giovanni 9,31

  •  secondo la volontà di Dio (1 Giov 5,14).

  •  

         Secondo la fede cattolica l'adorazione (latria) va pertanto rivolta solo a Dio: lo stesso Cristo ribadì al diavolo che lo tentava "adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo renderai il culto" (Matteo 4,10). La Madonna e i Santi vengono invece invocati dai cattolici e dagli ortodossi affinché preghino il Padre per i vivi e per i morti e solo forme di venerazione sono possibili nei loro confronti (dulia per i Santi ed iperdulia per la Madonna). Critici nei confronti di queste forme di omaggio sono invece i protestanti, che traggono le proprie argomentazioni dal culto sregolato (e talora un po' pagano), tributato in passato a santi,  madonne, icone e reliquie, complice anche la religione popolare, l'ignoranza e la superstizione.   

     

    GESÙ CRISTO: ADORAZIONE O VENERAZIONE?

     

         Forme di culto o di omaggio (proskuneo) furono sicuramente rese a Gesù:

    ·         dagli angeli quando fu introdotto nel mondo (Ebrei 1,6);

    ·         dai magi quando gli portarono i doni (Matteo 2,11);

    ·         dal cieco nato quando recuperò la vista (Giovanni 9,38);

    ·         dai discepoli quando apparve risorto in Galilea (Matteo 28,17);

    ·         dagli apostoli all'ascensione (Luca 24,52);

    ·         alla destra di Dio dopo il ritorno in cielo (Apocalisse 5,13 e Filippesi 2,10-11).

         Alcune versioni del Nuovo Testamento[31] traducono il verbo greco proskuneo (adorare, supplicare, rendere omaggio, implorare) con "adorare" se tale azione è rivolta a Dio o a falsi dei e con "rendere omaggio" quando il verbo si applica a Gesù Cristo. Qualunque cosa si possa pensare, occorre onestamente riconoscere che, esaminando con attenzione tutto il Nuovo Testamento, le varie forme di omaggio ricevute da Gesù Cristo sulla terra, in cielo e alla fine dei tempi sembrano essere molto più di un culto relativo o di una semplice venerazione.

         Alcune preghiere, rivolta direttamente a Gesù, sono incomprensibili se Cristo non è Dio:

    •  Giovanni 14,14 (Gesù dice: "se mi chiederete qualcosa nel mio nome la farò")[32];

    •  Atti 7,59 (Stefano pregava Gesù di accogliere il suo spirito);

    • Atti 7,60 (Stefano chiede al Signore di perdonare i suoi carnefici);

    • 1 Corinzi 1,2 (parla di quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo);

    •  2 Corinzi 12,8-9 (Paolo prega tre volte Gesù di allontanare da lui la sofferenza);

    • 2 Tim. 2:22 (Paolo invita Timoteo a cercare la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro)

    • Apocalisse 22,20 (Giovanni prega dicendo "Vieni Signore Gesù").

         Sulla terra poi i giudei cercarono di uccidere Gesù perché

    • "si faceva Dio" (Giovanni 10,33);
    • "chiamava Dio suo Padre facendosi uguale a Dio" (Giovanni 5,18);
    • voleva che "tutti onorassero il Figlio come onorano il Padre" (Giovanni 5,22-23).

         Nel cielo Gesù Cristo, alla destra di Dio, riceve poi:

    • da solo “genuflessione e signoria” (Filippesi 2,10-11), “gloria e potenza nei secoli dei secoli” (Apocalisse 1,6), “potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione” (Apocalisse 5,12);
    • insieme al Padre “lode, onore, gloria e potenza” (Apocalisse 5,13) ed “adorazione” (Apocalisse 5,14).

         Al termine della storia, infine, Gesù Cristo si siederà non più alla destra di Dio ma sullo stesso trono del Padre: il trono di Dio e dell'Agnello (Apocalisse 22,1 e Apocalisse 22,3).

     

    IL TRONO DI DIO E DELL'AGNELLO (APOCALISSE 22,1 e 22,3)

     

         Al momento Cristo è seduto alla destra di Dio e sul trono di Dio (Apocalisse 3,21), come profetizzarono Davide (Salmo110) e Daniele (Daniele 7,13-14), come Cristo stesso annunziò (Matteo 26,64), come insegnarono gli apostoli Pietro (Atti 2,33) e Paolo (Ebrei 1,13) e come confermano le visioni di Stefano (Atti 7,55-56) e di Giovanni nell’Apocalisse (Apocalisse 5,13).

         Alla fine dei tempi Gesù Cristo non si siederà più sul "trono di Dio" ma sul "trono di Dio e dell'Agnello" (Apocalisse 22,1 e 22,3): in pratica il Figlio non sarà più ospite ma contitolare dello stesso trono del Padre.

         Se oggi YHWH ha vicino a sé nella gloria un "elohim" (dio minore, angelo o arcangelo) (Apocalisse. 5,13) e se alla fine dei tempi YHWH darà il suo trono ad un "elohim" (il trono di Dio e dell'Agnello di Apocalisse 22,1 e 22,3), la sua potenza sarà sminuita perché condividerà il potere e la gloria con un essere inferiore. Sta infatti scritto: "Io sono YHWH; questo è il mio nome; e non darò la mia gloria ad un altro …" (Isaia.42,8 e Isaia 48,11) e "Nessuno gli è simile, neppure tra gli angeli di Dio" (Salmo 89,6).

     

    Enrico Rivera

    (cristiano cattolico)


     

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    Note:

    [1] Non si tratta evidentemente di Aquila originario del Ponto, marito di Priscilla,  fabbricante di tende di cui si parla nel Nuovo Testamento (Atti 18,2; Atti 18,18; Atti 18,26; Rom 16,3): questi visse almeno una generazione prima. Probabilmente non si tratta neppure di Onkelos, famoso autore ebraico di un Targum sul Pentateuco: a parte la contemporaneità e la somiglianza tra i due nomi,  l'opera di Aquila e quella di Onkelos presentano però caratteri comuni e somiglianze. Su Aquila vedansi, ad esempio, F. FIELD, Origenis Hexaplorum quae supersunt; sive veterum interpretum graecorum in totum vetus testamentum fragmenta, Volume I, capitolo II, pp 16-27, Oxford, 1875 e anche D. Barthélemy, Les Devanciers d'Aquila, VTS 10, Leyde, 1963.

     

    [2] I rabbini sostengono che, oltre alla legge scritta, trasmessa da Dio a Mosè sul Monte Sinai, Mosè abbia ricevuto anche la sua interpretazione, o legge orale. Nei secoli la tradizione orale fu arricchita da rabbini, filosofi e pensatori. Quando fu  impossibile ritenerla oralmente venne trascritta nel Talmud, libro dottrinale che si compone di 6 parti, 63 libri e 524 capitoli e che da solo spiega completamente tutta la conoscenza e l'insegnamento del popolo ebreo.

     

    [3] Secondo Epifanio, Simmaco sarebbe vissuto verso la fine del II° secolo dell'era cristiana. Della sua vita si sa poco: per alcuni sarebbe stato un eretico cristiano, mentre per altri si tratterebbe di un samaritano convertito al giudaismo. La Bibbia di Simmaco è ricordata per la chiarezza, la qualità letteraria e la capacità di rendere intelleggibili le espressioni ebraiche più oscure.

     

    [4] Secondo Ireneo, Teodozione sarebbe vissuto nel I° secolo e, secondo Epifanio, si sarebbe convertito all'ebraismo dopo aver abbandonato la dottrina di Marcione. La Bibbia di Teodozione apporta solo lievi modifiche alla versione dei Settanta. Egli evita di tradurre in greco molti termini ebraici (come ad esempio il tetragramma), che vengono così traslitterati. Dell'opera di Teodozione è tuttora conservato integralmente il libro del profeta Daniele.

     

    [5] Talmud, Moed, Ioma, VI, 2.

     

    [6] Il Targum è la traduzione della Bibbia in lingua aramaica, per l'uso liturgico della sinagoga. Dopo il ritorno da Babilonia, la popolazione non capiva più l'ebraico e ci fu bisogno di tradurre il testo sacro nella lingua parlata, l'aramaico.

     

    [7] Si tratta dei seguenti libri: Tobia, Giuditta, Odi, Salmi di Salomone, Sapienza, Siracide, Baruch, Lettera di Geremia, Esdra I,  Maccabei I, II, III, IV, Supplementi al libro di Daniele, Versione greca del libro di Ester. Tutti questi libri sono stati rigettati come apocrifi anche dai protestanti. I cattolici e gli ortodossi hanno invece considerato apocrifi solo le Odi, i Salmi di Salomone, i libri III e IV Maccabei ed Esdra I: gli altri libri sono considerati ispirati ed inseriti nella Bibbia come deuterocanonici.

     

    [8] S. Girolamo, Le Lettere, Roma, 1961, vol.1, pp.237-238.

     

    [9] Il nome di Dio deriva probabilmente da una forma ebraica arcaica del verbo essere e potrebbe voler dire: "Colui che è", "Colui che esiste", "Colui che fa esistere", "Colui che mostrerà di esistere", "Colui che mostra di essere", "Colui che mostrerà di esistere", "L'Esistente", "L'Essere".

     

    [10] La Torre di Guardia è l'organo informativo del Corpo Direttivo della Congregazione dei Testimoni di Geova.

     

    [11] Vedasi: G. Costa, Keynes, L'uomo Newton, Bologna, 1978, pp. 241-252.

     

    [12] Sulla possibilità della presenza del tetragramma in alcune antiche copie Vangelo di Matteo in aramaico, limitatamente alle citazioni tratte dal Vecchio Testamento, si veda il lavoro scientifico di G. Howard, Biblical Archeology Review, marzo 1978, pag. 14.

     

    [13] Il Talmud chiama i libri dei cristiani Minim, cioè libri eretici. Tutti gli studiosi del Talmud sono d'accordo sul fatto che i libri dei cristiani dovrebbero essere distrutti. Vedasi Talmud, Moed, Schabbath,  cap.116.

     

    [14] Sebbene tutti gli studiosi del Talmud siano d'accordo sul fatto che i libri dei cristiani dovrebbero essere distrutti, essi non sono d'accordo su ciò che si dovrebbe fare del nome di Dio che appare in essi. Sempre nello Schabbath sta infatti scritto: "… i nostri stessi libri ed i libri degli eretici non dovranno essere salvati dalle fiamme se dovessero prendere fuoco in giorno di sabato. Il rabbino Jose, comunque, dice: 'Nei giorni di festa i nomi della divinità dovranno essere strappati dai libri dei cristiani e nascosti; ciò che rimane dovrà essere dato alle fiamme.' Ma il rabbino Tarphon dice: '…se quei libri dovessero mai cadere nelle mie mani, io li brucerei assieme con i nomi della divinità che contengono…'" Vedasi Talmud, Moed, Schabbath,  cap.116.

     

    [15] Dio è infatti conosciuto con moltissimi nomi sia nell'Antico Testamento (YHWH, YHWH Elohim, YH, Elohim, El, El Shaddaj, Elijon, Eloah, Adon, Adonaj, Ab, Mare) che nel Nuovo Testamento (Dio=Theos, Signore=Kurios, Signore=Despotes, Potenza=Dinameos, Benedetto=Eulogetou, Onnipotente=Dunatos, Altissimo= Upsistou, Iah=Yahvé).

     

    [16] Vedasi, ad esempio, Matteo Pierro in  Rivista Biblica”, anno XLV, n. 2, aprile-giugno 1997, p. 183-186. 

     

    [17] Il Concilio di Nicea (325) condannò infatti l'eresia di Ario che esaltava l'umanità di Cristo, affermò la divinità di Gesù e proclamò il Credo, simbolo della fede cristiana. Il Concilio di Costantinopoli (381) riaffermò la divinità del Figlio e sottolineò con vigore la divinità dello Spirito Santo. Il Concilio di Efeso (431) condannò l'eresia di Nestorio e proclamò la reale unione in Cristo della natura umana con quella divina. Il Concilio di Calcedonia (451) condannò l'eresia di Eutiche che, di Cristo, esaltava la divinità ma trascurava la natura umana.

     

     

    [18] Nei confronti di Gesù Cristo e del culto sono state finora possibili tre posizioni:

    ·         il monoteismo ebraico, con fede in un solo Dio padre e rifiuto di Gesù Cristo come figlio di Dio;

    ·         la monolatria (Ario, Socino, Newton, Unitari, Testimoni di Geova) cioè l'adorazione di un Dio grande (il Padre) ed il culto relativo di un dio piccolo (il Figlio); per alcuni Gesù Cristo avrebbe natura divina mentre per altri sarebbe solo una creatura angelica;

    ·         il trinitarismo cioè la fede in un solo Dio che ha cognome YHWH e che si è manifestato nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

     

    [19] La traduzione di archè con mezzo, strumento, origine, causa attiva, sorgente primaria, autore, iniziatore è condivisa da studiosi autorevoli: vedansi a tal proposito la versione di Moffatt, la New English Bible, la Amplified Bible e il lessico del Thayer (che era peraltro un antitrinitario).

     

    [20] Vedansi ad esempio le traduzioni e gli argomenti portati da Becker, Moffatt, Schonfield, Schneider, Schulz, Smith e Goodspeed, Thayer, Watch Tower, Wilson (The Emphatic Diaglott).

     

    [21] In 2 Corinzi 3,17 l'articolo è presente sia per il soggetto che per il complemento con il risultato che non si capisce chi è il soggetto e chi è il complemento. La frase può quindi essere tradotta in due modi: "il Signore è lo Spirito" oppure "lo Spirito è il Signore". Un altro caso indeterminato è 1 Giovanni 3,4 dove l'articolo è presente sia per il soggetto che per il complemento e la frase può essere legittimamente tradotta "il peccato è violazione della legge" oppure "la violazione della legge è peccato".

     

    [22] C. Colwell, A Definite Rule for Use of the Artiche in the New Testament, JBL, LII, pp. 12-21, 1933.

     

    [23] Due casi uguali a Giovanni 1,1 sono Giovanni 1,49 e Giovanni 19,21 con la seguenti strutture: "basileus ei tou Israel"  (Re sei di Israele)  e "basileus eimi toon Ioudaioon" (Re sono dei Giudei): anche qui il complemento predicativo (Re) non ha l'articolo, precede il verbo essere e si riferisce a Gesù.

    [24] Sulla valenza qualitativa di θεος  in Giovanni 1,1 vedasi, ad esempio, P.Harner, Qualitative Anarthrous Predicate Nouns: Mark 15:39 and John 1:1, JBL,  n.92, 1973.

    [25] La traduzione classica "la Parola era Dio" è anche giustificata dalla stessa Bibbia: in Colossesi 2,9 sta infatti scritto che in Cristo "abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità" (greco Theothes) e non della qualità, delle apparenze, degli aggettivi o degli attributi divini (greco theiotes).

     

    [26a] A conferma di ciò vedansi, oltre alle più accreditate versioni del Nuovo Testamento, le opinioni di alcuni autorevoli studiosi di greco antico come J.M. Moulton, A.T. Robertson, G. Sharp, W. Schmiedel e G.B. Winer.

     

    [26b] Nell'Antico Testamento ebraico YHWH è chiamato "El Gibbor" (Isaia 10,21) cioè Dio potente e "El Gibbor Gadool" cioè Dio potente e grande (Deuteronomio 10,17; Nehemia 9,32; Salmo 24,8; Geremia 32,18

    [27]  Per una analisi critica di Romani 9,5 si veda ad esempio S. Lyonnet, Quaestiones in epistulam ad Romanos II, Roma, 1963, pp. 21-25.

     

    [28] Nei giorni del sepolcro Cristo non fu poi annientato ma portò avanti la propria opera redentrice. Secondo la fede cattolica Cristo discese agli inferi. L'apostolo Pietro insegna infatti che andò in spirito a predicare ai morti per cercare di salvare gli spiriti ribelli che nei tempi antichi non avevano ascoltato l'invito alla conversione (Giovanni 5,25; 1 Pietro 3,19-20; 1 Pietro 4,6; Filippesi 2,10). Senza la morte di Gesù larga parte dell'umanità sarebbe stata tagliata fuori dalla salvezza.

     

    [29] Vedere ad esempio: De Mauro, Dizionario della lingua italiana, Paravia.

     

    [30] Qualcuno ha formulato l'ipotesi che Gesù Cristo fosse l'angelo di YHWH (Genesi 16,7; Esodo 23,20; Giudici 13,18-22; Giudici 6,22-23; Zaccaria 1,11; Malachia 3,1; Matteo 1,20; Atti 7,38). Di sicuro sappiamo solo che si trattò di  un messaggero potente che portava il nome di YHWH (Esodo 23,20).

     

    [31] Si veda ad esempio la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture. La traduzione è coerente con la convinzione della congregazione cristiana dei testimoni di Geova. Secondo tale congregazione solo il Padre sarebbe Dio, il Figlio sarebbe un dio minore e lo Spirito Santo una forza divina impersonale. È interessante notare come tra Aquila del Ponto ed i testimoni di Geova esistano non poche analogie: i testimoni di Geova, pur rivalutando sensibilmente il Vecchio Testamento ed applicando il Santo Nome di Dio solo al Padre, non sono però giunti a rigettare il cristianesimo in nome dell'ebraismo.  Per essi la natura del Figlio di Dio è comunque angelica e non divina: Gesù Cristo non sarebbe altro che l'arcangelo Michele.

     

    [32] Il "mi" non si trova nel Codice Alessandrino (V secolo), nel Codice Beza (V secolo) e nella Vetus latina (II secolo) ma è presente nel Codice Sinaitico (IV secolo), nel Codice Vaticano (IV secolo), nella Vulgata latina (IV secolo), nella Versione siriaca filosseniana-harclense (VI secolo), nella Pescitta siriaca (V secolo), nel Codice di Washinghton o di Freer (V secolo) e nel P66 o Papiro II Bodmer (II secolo). Si noti come la Vetus Latina ed il Codice Beza siano scarsamente affidabili. Il papa Damaso commissionò infatti una nuova traduzione della Bibbia a San Gerolamo proprio per la scarsa affidabilità della Vetus Latina. Il Codice Beza (o Cantabrigiensis) è poi ricordato per il gran numero di aggiunte ed omissioni di parole, frasi ed episodi. Vedasi a tal proposito B.M. Metzger, Il testo del Nuovo Testamento, Brescia, 1996, pp. 55-56. Nel Codice Alessandrino il versetto Giovanni 14,14 è stato poi probabilmente eliminato per non entrare in contraddizione con Giovanni 16,23.