Adriano Baston
Via Trucchi, 39/A
Venaria Reale - To - Italia


AL CORPO DIRETTIVO
e p.c. a tutti i testimoni di Geova.

LA TRADUZIONE DEL NUOVO MONDO
 È FEDELE AL TESTO ORIGINALE?


Cari fratelli,

Oggi, che affronto lo studio della Bibbia da uomo libero, sono cosciente più che mai di quanto il vostro pensiero sulle Scritture sia carico di convinzioni personali, di pensieri umani sovrapposti e, cosa ancor più grave, inseriti nella Bibbia e pietrificati in tutta la vostra letteratura, pensieri che purtroppo continuano a danneggiare le capacità di distinguere il vero dal falso, in alcuni anche irrimediabilmente.

Generalmente l’individuo che viene coinvolto dalla dottrina dei Testimoni di Geova (TdG), non si rende conto di essere raggirato con categorie di pensiero che lo isolano dal mondo circostante e, cosa ancor più seria, dagli affetti più cari: dalla famiglia e dalle amicizie che non condividono il suo nuovo punto di vista. Tutto questo, naturalmente, in nome di Dio e della Bibbia, responsabili del suo nuovo corso di vita, perché così gli è stato inculcato.

L’individuo, attraverso terapie di studio ben congegnate viene trapiantato nel terreno della "congregazione" e abilmente coltivato giorno dopo giorno con alimenti che hanno tutta l’aria di essere genuini e veri, perché secondo loro sono fondati sulla Bibbia. La persona coinvolta difficilmente riesce a capire, guardando dall’interno del suo mondo, il mondo esterno che partecipa ad un’altra realtà; e non è certo virtuale come il suo; un mondo che ora giudica e condanna: è un mondo per lui disapprovato da Dio che merita solo la distruzione, un pensiero costante. Non vede più il mondo circostante che, proprio per la sua inaudita sofferenza, ha bisogno di redenzione. Mentre osserva con soddisfazione ciò che avviene, si tratti pure del più orrendo dei delitti, gli procurano gioia, perché crede che si applichino solo a lui e al gruppo al quale appartiene, le parole del Signore: "Alzate la testa perché la vostra liberazione è vicina". Egli vive in un perenne delirio apocalittico. Ma la colpa non è sua, è stato abituato a pensare così, a vedere in questo modo, vittima inconsapevole di un’apologia che lo condiziona e lo soffoca. Poiché si è fatto leva sui suoi bisogni spirituali, morali e materiali, alla fine, trasformato, vive nella certezza che la sua esistenza è breve e che tutto sarà risolto in breve tempo: le malattie, la fame, le ingiustizie, tutto sparirà in breve e si vivranno finalmente le immagini della ..."valle degli orti", per sempre.

Senza strumenti adeguati, storici e scientifici e senza la disposizione a mettere in discussione la propria fede, difficilmente la persona coinvolta sarà in condizioni di rompere i legami con la "congregazione", anche se all’interno di essa dovesse soffrire problemi e ingiustizie con altri membri. Tutto si risolverebbe con l’aforisma coniato da tempo e molto efficace: "Geova metterà le cose a posto". Così tutto viene accantonato nell’attesa illusoria che tutto alla fine si risolva. Tutti i loro discorsi si fondano sulla presunzione che la Bibbia sia stata scritta solo per i TdG ai quali Dio avrebbe donato miracolosamente la corretta comprensione del suo messaggio.

Può la persona così costruita rendersi conto che la Bibbia che il C.D. (Corpo Direttivo) gli ha consegnato nelle mani è in gran parte alterata, specialmente per ciò che concerne la cristologia? Se si è dominati dal pensiero delle categorie mentali costruite dalla Società Torre di Guardia e si giudica con disprezzo il "mondo", le sue bibbie, la sua letteratura, la sua musica, la bellezza dell’arte, come fossero la manifestazione di una forza oscura e demoniaca, ciò avviene perché è stato alterato il senso dell’orientamento e questo impedisce di comprendere il senso della realtà e le pulsioni della vita. I suoi orizzonti sono altri, l’illusione, il vuoto: Gesù Cristo che regna invisibilmente dal 1914, le assemblee, le "trombe" teocratiche dell’Apocalisse, il "paradiso spirituale", ecc., "cose che non sono cose", un "solido nulla" (Leopardi).
Opera per un regno che non esiste, "1914". Non si rende conto, purtroppo, che è un abitante dell’ "Utopia", un essere "utopico" (Tommaso Moro).

Mi sono salvato in tempo. Ho capito che fino al 1992 sono solo esistito, ora vivo. L’essermi sciolto con fatica dalle catene della "caverna" e dalle sue "ombre" (Platone) e tenebre che mi tenevano prigioniero ha significato per me una palingenesi, una libertà interiore mai sperimentata e vissuta prima. Così ho ritrovato me stesso. Sono uscito alla luce del sole dove gli oggetti immediati sono quelli che sono: non più "ombre", ma oggetti reali. Ora sento il bisogno, con questo modesto scritto, di ridiscendere nella "caverna" e di parlare delle verità, progressivamente scoperte, ai miei compagni di prigionia e questo sulla base della mia modesta preparazione. Devo dir loro che quello che vedono e contemplano sono solo "ombre" e non la stessa realtà delle cose. Devo dir loro che questo che vedono è il risultato della manipolazione delle Scritture. Il C.D. ha piegato la Scrittura alla volontà della sua precostituita dottrina, fatto più volte segnalato da persone ben più competenti di me. Per molti aspetti ciò è stato fatto in modo così sottile che non è facile individuare immediatamente la manipolazione, specialmente senza un’adeguata preparazione e libertà di indagine che ci consentano di individuarle. Il vostro Interlineare del 1985, gradualmente, mi ha permesso di notare che molti termini della vostra letteratura prima del 1950, inizio della vostra prima traduzione, sono entrati a far parte in modo integrale della terminologia biblica. Spacciare per Parola di Dio pensieri umani è gravissimo. Notevoli sono le storture scritturali che offendono Dio e il suo messaggio. Vane sono le vostre stesse parole che "ciò che noi studenti biblici dovremmo volere è quello che dice il testo originale. Solo avendo questo basilare significato possiamo determinare se la traduzione del Nuovo Mondo o qualsiasi altra traduzione della Bibbia è giusta o no". (La Torre di Guardia del 01/06/1970, pag. 340). Vi condannate con le vostre stesse parole. Proprio questo testo, che da anni date per "esaurito", vi pesta i piedi, smascherando palesemente le vostre falsificazioni.

Sono da rilevare, in special modo, gli attacchi diretti contro la divinità che Cristo condivide con il Padre, molto chiara nel testo greco. Sistematicamente tutte le scritture cristologiche, sia quelle esplicite sia quelle implicite, sulla divinità del Figlio, sono state spolpate, private dell’inabitazione del Padre nel Figlio e viceversa. Distrutta ogni immanenza del Padre nel Figlio, si apre la strada verso l’arianesimo, al Figlio "creato", a "Michele arcangelo", che sparisce dal cielo e viene ricreato sulla terra come uomo. Eppure, le scritture che citavate prima della vostra traduzione erano chiarissime, anche se spiegate a modo vostro. Nel libro "Sia Dio riconosciuto verace" (1^ ediz., 1949), voi usavate termini come "altre", "un dio", "immeritato favore", "prezzo corrispondente" ecc., ecc.: parole che entrarono poi nel linguaggio della vostra Bibbia. Tanto è vero che nella nuova edizione del suddetto libro del 1952 sono state apportate tutte le correzioni sulla base della vostra traduzione della Bibbia del 1950. I commenti di quel libro diventarono pertanto parola di Dio. Tra l’altro, le note in calce della vostra traduzione, scandalosamente, sono state mescolate alla purezza della Parola di Dio. Devo dire che vi apprestate onestamente nella vostra traduzione ad avvertite il lettore che: "…furono prese molte espressioni delle note in calce pubblicate nella traduzione precedente in sei distinti volumi e riportate nel testo principale dell’edizione in un solo volume". (Vedi ediz. 1967, pag. 5, 6.). Così "le molte note" dell’autore inserite nel testo sono un bel modo per avere un buon "senso di gratitudine per il divino Autore delle Sacre Scritture"! (TNM 1987, pag.5). In seguito, nelle nuove traduzioni, in modo disonesto, il lettore non viene più avvertito sul destino delle note in calce inserite nella Bibbia.

Il testo greco protestante, da voi riedito perché costretti dal grecista Dana Mantey, per aver falsificato le sue parole sulla natura del Verbo di Giov.1:1, vi qualifica quali falsari della Parola di Dio. Non è questo testo "raffinato" e "fidato" la base per stabilire la corretta traduzione? Lo stesso trattamento subirà il testo ebraico di Kittel, testo lodato e poi tradito. Più mi inoltro nello studio della Bibbia e più mi rendo conto e mi domando da quale fonte traete tanta forza e coraggio, non certo da Dio, per opprimere la Scrittura in questo modo, rendendo oscura tanta chiarezza.

Il vero studioso, quello serio, e ce ne sono tanti anche non credenti, non ricerca nelle sue traduzioni di manipolare i testi per conformarli al suo credo. La sua ricerca si fonda sulla preoccupazione e sul desiderio sincero di capire i testi, di spiegarli e svelare il loro autentico contenuto, e lo fa al di là delle proprie convinzioni religiose e filosofiche. L’esperto biblista nel tradurre i passi oscuri, di difficile traduzione nella propria lingua, dà più di una soluzione, al contrario del settario che traduce in modo dogmatico e falsato allo scopo di avvalorare le sue tesi, come fate voi.

Quando ero TdG tormentava me ed alcuni miei amici l’insegnamento (contrario alla Scrittura che dice che vi è 'una sola fede, una sola speranza'. Ef. 4:4,5) circa la salvezza e i destini eterni dell’uomo, che avete diviso in tre categorie: gli "unti" (i "santi di Brooklin" compresi nei 144.000 che riceveranno l’immortalità nei cieli), e le "altre pecore" che vivranno eternamente su una terra paradisiaca, dove mangeranno frutta, cavoli, tuberi di ogni sorta, per tutta l’eternità, una vita eternamente ripetitiva: "Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente…lasciate ogni speranza voi che entrate". (Dante).

Purtroppo il terzo gruppo, serie c, i "malvagi", cioè tutti coloro che non riconoscono il vostro "Geova", compresi gli innocenti bambini che Gesù ha tanto amato, saranno distrutti eternamente e tra "breve" nel sempre imminente  giorno di Armaghedon. Serviranno tutti da stabbio per concimare il terreno coltivato dalle "altre pecore", tra il puzzo dei cadaveri.

Su questo insegnamento parlavo con un amico TdG, mentre osservavamo le persone impegnate nelle loro attività quotidiane, ignare del destino che le attendeva: la distruzione, perché così "vuole Geova". È il brivido che percorre tutta la vostra letteratura. Ad ogni triste evento sociale e politico o catastrofe naturale, una voce ringhiosa all’unisono si alza: "La fine di questo mondo malvagio è vicina!". E i bambini che Gesù ha posto di fronte agli apostoli come paradigma di purezza e innocenza? Prima di rispondere, siete invitati a guardare il volto di un bambino. È un errore filtrare il Nuovo Testamento attraverso il Vecchio Testamento, testamento che Gesù trasfigurò.

È vero che sono peccatore e sono responsabile nella consapevolezza delle mie azioni, buone o cattive, ma fino a che punto lo sono dal momento che il "peccato entrò nel mondo" contro la mia volontà e di conseguenza subisco in modo passivo i suoi effetti? (Rom. 5:12) E che c’entrano gli innocenti? Non dice la scrittura che "il figlio non porterà l’iniquità del padre"? Per fortuna che Gesù, guardando le umane sofferenze, dice: "Io non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvarlo". Giov. 3:17

Un libro che, per mancanza di tempo a causa dei troppi impegni di "congregazione", non riuscivo a leggere e che mi aiutò ad aprire gli occhi, è il Commento alla Lettera ai Romani di un grande biblista, Henrich Schlier, della Paideia, 1982, con il testo greco, la traduzione e il commento. Compresi, studiandolo dopo le mie dimissioni da anziano, l’universalismo di Paolo nel cap.11 della lettera ai Romani. Il "mistero" rivelato dall’apostolo Paolo, per il quale proruppe nell’esclamazione: "O profondità delle ricchezze della sapienza e della conoscenza di Dio! Come (sono) imperscrutabili i suoi giudizi…!" consisteva nel fatto che Dio rinchiude alla fine tutti: ebrei increduli e gentili "insieme nella disubbidienza, per mostrare a tutti loro misericordia". Rom. 11:32 T.N.M.

Lo stesso pensiero ispirato l’apostolo lo formula in 1Tim.2:4: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati", come si legge nel greco, ma oscurato nella vostra traduzione in questo modo: "(Dio) vuole che ogni sorta di persone siano salvate"; avete deciso quindi che Dio non vuole salvare tutti, ma solo i TdG Non sono io arbitro del mio destino, che di fronte all’infinita bontà di Dio decido di "essere o non essere"? Non sono io, sia da credente o no, ad accettare il dono di Dio oggi o nel futuro escatologico? Non sono io, nel mio libero arbitrio, visto che Dio così mi ha formato, ad avere la facoltà di accettare o rifiutare la sua mano tesa? Chi siete voi per fare questa distinzione?

I pensieri dell’apostolo Paolo circa la salvezza non erano il risultato delle sue elucubrazioni mentali, ma erano radicati nelle parole del Signore: "Quando il figlio dell’uomo sarà innalzato attirerò tutti gli uomini a me" (Giov.12:32) che voi avete osato oscurare mettendo nella sua bocca la negazione: io "attirerò a me uomini di ogni sorta", il greco diversamente ha "pantas" cioè "tutti gli uomini", oppure ogni uomo.

Porto altri esempi di gravi manipolazioni, non molti perché altrimenti allungherei questo scritto, già lungo, di centinaia di pagine che, dalle alture della vostra "torre", disprezzate perché di origine "apostata", mentre di loro vi servite quando alcuni loro argomenti sembrano concordare con i vostri, per conferire ad essi un’apparenza di attendibilità. Certo, gli apostati fanno comodo! Vi siete posti talmente in alto, che siete arrivati addirittura a dare dell’ignorante all’apostolo Paolo, quando in Eb.4:4 egli legge nel V.T. che Dio, a differenza di voi che leggete si "riposava", "si riposò il settimo giorno". Evidentemente l’apostolo non aveva in mente ciò che ha in testa il C.D., che Dio è ancora nel settimo giorno creativo e che finirà tra "mille anni" con il regno di Cristo. Che Paolo lo dicesse in greco o in ebraico non sentì nessun bisogno di citare la scrittura all’imperfetto: "e Dio si riposava".

Scandalosa è anche la traduzione di Gen.31:49 dove leggiamo che un cumulo di pietre diventa: "La Torre di Guardia" con le iniziali maiuscole, la celebrazione del giornaletto! Segnalo una grave dimenticanza: l’anonima S.p.A., del bravo commerciante Russell, conosceva i suoi polli e l’insegnamento è stato bene applicato!

Se avete rispetto per la parola di Dio, come sostenete, ebbene allora dovete riflettere seriamente per rimuovere tutte le storture, non solo grammaticali che disonorano Dio e la lingua italiana, ma, in special modo, l’inserimento nelle Scritture della vostra dottrina: proprio perché contro Dio.

Storture grammaticali ce ne sono tante, ne anticipo qualcuna: Gen. 3:15, spiegatemi come fa in pratica il serpente "a schiacciare il calcagno". Quello che è ridicolo poi è l’immagine presentata nel libro "Rivelazione: il suo grande culmine è vicino" a pag. 294, dove si vede un serpente nell’atto di mordere un calcagno, con la dicitura a fianco "…Egli ti schiaccerà la testa e tu gli schiaccerai il calcagno"; quindi il serpente non morde, ma "schiaccia"!

Ancora in Gen.3:1 il serpente non è "astuto", ma "cauto" nel sedurre Eva. Da oggi dobbiamo essere "astuti" nell’attraversare la strada.

In Lev. 11:20 si dà dell’"abominevole" allo "sciamante" Noè ed alla sua famiglia. Cos’era, un nido di api? (Gen. 9:7).

Ci sono nella vostra traduzione molti passi incomprensibili, come ad esempio Sal.17:14: "Dagli uomini (mediante) la tua mano, o Geova, dagli uomini di questo sistema di cose, la cui parte è in (questa) vita, e il cui ventre riempi con il tuo tesoro nascosto, che sono sazi di figli e che in effetti riservano ai loro fanciulli ciò che lasciano", "Italiano moderno" non "arcaico", "risplendente di significativa luce", "facile da leggere", è il "linguaggio di ogni giorno". "La verità che conduce alla vita eterna", l’ultima pagina, "vedere per credere".

Il libro dei Salmi è zeppo di: "i miei medesimi", i "suoi" e i "tuoi medesimi". In tutto il V.T. ricorre spesso "l’uomo robusto" e guai al gracile! Pure l’obbrobrio "proprietario maritale" invece di "marito", i TdG sono autorizzati a battere il pugno sul tavolo! È pure piena di "faccia" invece di volto.

Penso poi al fenomeno di Giobbe, che riusciva a lavarsi non i piedi, ma "i passi nel burro" (Giob. 29:6). Sarebbe stato assurdo, anche, tradurre: "lavavo i miei passi nel latte". Molto poetico! Non si può neppure parlare di metafora, perché la metafora deve avere un senso. In armonia con Giobbe avete trascurato, per descrivere abbondanza, che il popolo d’Israele sarebbe entrato in una terra dove: "scorre burro e miele", "ma l’uomo robusto muore e giace sopraffatto", beato l’uomo gracile! Che assurdità! È questo il modo di tradurre?

Anche molti verbi sono impropriamente usati: Sof. 2:1,2 "o nazione che non impallidisci di vergogna.". Evidentemente a Brooklin si arrossisce dalla paura!

Prov. 16:3: "rotola" invece di "affidare"

Sal. 7:6: "alzati alle esplosioni di furore", si agita nella tomba l’inventore della polvere da sparo!

Prov. 30:28: la lucertola, il "geco" è dotata di "mani", "le sue proprie", naturalmente! Alla Walt Disney!

Salmo 96:11; 98:7: "tuoni il mare" e mugga il cielo!

Atti 27:16: "corremmo" al posto di "navigammo". In quale statale correvano? Attendo una spiegazione del versetto 17! E quando leggete "culici", "frombolò" invece di "lanciò", "ostracismo", "emaciati", "contenzione", "sbevazzamenti", ecc. pensate all’"italiano moderno", pag. 7 T.N.M. 1987! (Es.8:16; 1Sam.17:49; Pv.11:17; Ger.10:18; Sof. 2:11; Gal.5:20; Fil. 1:17; 1Pi. 4:3) traduzione eseguita da persone davvero "competenti"! Pag.6, T.N.M. delle Scritture Greche Cristiane, 1963. Competenti sì, ma di falsi!

In Marco 14:18 il traditore è chiamato "Uno" con la maiuscola, il Figlio di Dio "un dio" con la minuscola. "Satana" il "Diavolo" con le maiuscole, lo "spirito santo" che proviene da Dio il Santo, minuscolo.

La traduzione contiene diversi termini derivati dall’inglese, per esempio: "positivamente", termine detto in tutte le salse, "contenzione", "facce", ecc., Gen.2:17; Giac.3:14.

In Dan.4:28, 29: Nabucodonosor faceva l’acrobata: "camminava sul palazzo reale".

Salmo 90:2: "tu sei Dio a tempo indefinito". Dio non è né definito né indefinito, è "eterno".

Apoc.14:20: "il sangue arrivò sino ai freni dei cavalli", dimenticando di spiegare di quali freni si tratti.

1Sam. 17:34,35: "…e venne un leone, e anche un orso…lo afferrai per la barba ", per la barba di chi, di mio nonno? E questa è la Bibbia dai molti pregi?

E che dire del nome "Geova" che avete aggiunto per ben 237 volte nel N.T., a parte le aggiunte del V.T.? Perché un attaccamento così morboso verso un nome che non ha nessun senso e che, proprio per questo, i biblisti, scoperto il falso, hanno tutti abbandonato? Con ragione, avendo anche l’appoggio dei nomi teofori, hanno compreso che la pronuncia più vicina al vero è "Jahwè", questo per il V.T., ma non per il N.T. dove viene chiamato Padre circa 180 volte e spesso Dio e Signore, mai "Geova". Sono stati i masoreti, i puntatori a sacralizzare il sacro tetragramma con le vocali di Adonai, ottenendo come risultato la pronuncia ibrida di "Geova". E questo tra il IV e il VI secolo dopo Cristo. Perciò che cosa ha a che fare questo nome con il Nuovo Testamento che precede il testo masoretico addirittura di secoli?

Questo lo sapete anche voi, ma fate finta di nulla e, pur ammettendolo in sordina, continuate con ostinazione ad affermare che il nome di Dio è "Geova". Negarlo significherebbe cambiare denominazione e questo per voi non sta bene.

La versione dei LXX in origine non conteneva il nome "Geova", ma il tetragramma che, manco a dirlo, gli apostoli tradussero sempre con Signore, applicando il termine quasi sempre a Gesù Cristo: "l’unigenito Dio". In nessun documento del N.T. gli scrittori sacri riportarono nei loro scritti il tetragramma e tanto meno il vostro "Geova" con il quale avete contaminato tutto il N.T.

Le versioni ebraiche del N.T., da voi riportate per giustificare la presenza dell’ibrido "Geova", non fanno testo e, perciò, siete privi di ogni attenuante. L’uso di questo termine, pescato nelle traduzioni da voi citate, non è affatto in armonia con i documenti del N.T. in nostro possesso, ma trovano spazio solo nella vostra falsificata traduzione, che può benissimo mettersi con il "Geova" accanto ad alcuni cabalisti ed alla massoneria.

È ipocrisia bella e buona dire che tale nome era molto conosciuto e poi nello stesso tempo affermare che la cristianità lo nascose. Correggere i sacri autori è un sacrilegio all’ispirazione della Bibbia, alle parole del Signore che "non passano", ed alle parole apostoliche che: "l’erba si secca e il fiore cade, ma la parola di Dio rimane per sempre." 1Pietro, 1:24,25.

Chi vi ha incaricato di correggere e di rifare ciò che è di Dio? Era Dio latitante rispetto alla sua parola o incapace di sorvegliarla affinché ci provenisse fedele e incorrotta? Avrebbe Dio ingannato per 1900 anni gli esseri umani permettendo a degli uomini "corrotti" di introdurre nella sua parola delle falsità? Doveva Dio aspettare il 1950, anno in cui vide la luce la vostra traduzione? Siete voi gli esperti recensori che hanno potuto produrre testi autentici per il recupero della loro genuina autenticità individuando eventuali errori di copiatura o l’inserimento di qualche parola nel testo della parola di Dio? Siete stati voi a scoprire, per esempio, l’inserimento in qualche manoscritto (tardo) che: "tre sono coloro che rendono testimonianza in cielo" di 1Giov. 5:7? Senza gli studiosi della "diabolica cristianità", come avreste potuto sapere e conoscere gli eventuali errori di copiatura e l’autenticità del testo greco, per rivelazione divina?

Il "ripristino del nome divino", che degli "scribi" anonimi avrebbero eliminato dai manoscritti originali del N.T., è del tutto da dimostrare e non sono le chiacchiere e le congetture le prove per giustificare la presenza del nome "Geova" nella vostra traduzione, correggendo così gli errori presunti della cristianità in merito alla fedeltà dei manoscritti. Questo discorso è in stridente contrasto con quello che voi stessi nel libro "Tutta la scrittura è utile" alla pag.315 dell’ediz. 1971 e pag. 319 dell’ediz. 1990 riportate: le scoperte portano "il testo indietro nel tempo fino al 125 E.V. circa, solo un paio di decenni dopo la morte dell’apostolo Giovanni, avvenuta verso il 100 E.V. La testimonianza di questi manoscritti costituisce una solida garanzia che ora abbiamo un testo greco attendibile e raffinato". Per avvalorare questa tesi fate vostre le parole dello studioso Frederic Kenyon, non TdG, con l’affermazione: "l’intervallo fra le date della stesura originale e quella dei reperti più antichi è talmente piccolo da essere del tutto trascurabile, e l’ultimo fondamento per qualsiasi dubbio che le Scritture ci siano pervenute sostanzialmente come furono scritte è stato ora eliminato. Sia l’autenticità sia l’integrità generale dei libri del Nuovo Testamento si possono considerare definitive. Una cosa, comunque, è l’integrità generale, e un’altra è la certezza in quanto ai particolari".

Per quanto riguarda eventuali errori da correggere nei particolari è evidente che non è compito vostro, ma dei "critici" che a voi mancano perché privi dei requisiti necessari al compito.

È certo che la mancanza del nome "Geova" sin dal "125 E.V." non è cosa di poco conto per voi che a forza, dopo 1900 anni, avete introdotto nella traduzione da voi eseguita. Non c’è nessuna prova, sia che usassero il testo ebraico o quello dei LXX saggi, che gli apostoli riportassero nei loro scritti il tetragramma e tanto meno "Geova", un nome che è saltato fuori nel XVI sec. in Inghilterra da un certo Tindale che non era neppure TdG

Perciò l’affermazione che: "la traduzione del Nuovo Mondo" basata su "l’accurato testo di Westcott e Hort… può quindi offrire ai lettori la fedele 'parola di Geova' come è stata meravigliosamente preservata nei manoscritti greci" è del tutto ipocrita visto che non compare in essi nessun tetragramma. I manoscritti, o sono arrivati a noi fedeli oppure no. Ogni evidenza documentata vi condanna quali falsari della parola. Difatti voi stessi affermate, alle pagg. 23 e 24 dell’opuscolo il "Nome divino che durerà per sempre", che: "… nessun antico manoscritto in nostro possesso dei libri da Matteo a Rivelazione contiene il nome di Dio per esteso". Eccetto "alleluia", un nome composto come tanti altri numerosi sia nel N.T. che nel V.T.. Si tirano poi in ballo i manoscritti che si "logorano", che richiedono nuove copie le quali non risalgono più al 2^ secolo, ma " la maggioranza fu fatta partire dal 4^ secolo dell’era volgare in poi". Che fine hanno fatto i manoscritti che partono dal "125 E.V." fino al 4^ secolo? Ora che ne è stato del "testo raffinato"? Una cosa è certa: la bugia che i manoscritti logorati contenevano il nome "Geova", perché servì a farvi sentire autorizzati ad usare nell’opuscolo il "Nome di Dio che durerà per sempre", la voce "Geova". Su questo vi condannano le vostre stesse parole: "Perciò chiunque dica che oggi la Bibbia non contiene le stesse informazioni che conteneva in origine semplicemente non conosce i fatti. Geova Iddio ha fatto in modo che la sua Parola fosse protetta non solo dagli errori dei copisti, ma anche dai tentativi di altri di farvi delle aggiunte. La Bibbia contiene la promessa di Dio che la sua Parola sarebbe stata mantenuta pura perché potessimo usarla oggi" ( "Potete vivere"…, pag. 53, ediz. 1994). Lo stesso concetto viene espresso nel libro "Ragioniamo", a pag. 59 ,dove si dice:"l’essenziale integrità dei testi esistenti" e le "varianti non influiscono sui fatti e dottrine essenziali". E la libertà presa da alcune bibbie che "che alterano il senso dell’originale" e che "risentono delle convinzioni personali del traduttore", è il caso di dirlo, si riferisce proprio alla vostra traduzione! L’insinuazione maligna che le bibbie della cristianità siano state alterate dalle "convinzioni personali del traduttore" è del tutto da dimostrare. Avete scoperto questo con la vostra traduzione nel 1950? Aspetto un dettagliato elenco di presunte alterazioni confrontato con il testo greco!

A fronte del fatto che la parola di Dio è stata mantenuta pura fino al giorno d’oggi, come vi giustificate dinanzi a Dio per aver manipolato il suo testo? Sarà bene che meditiate seriamente sulle parole di Dio "Che ha a che fare la paglia col frumento? Non sono le mie parole come il fuoco? Dice Jahvè" (Ger. 23:28,30). Sapete benissimo che Dio disapprova chiunque aggiunga o tolga una sola virgola alla sua Parola.

Le scritture alterate che maggiormente hanno attirato la mia attenzione sono le seguenti:

Giovanni 1:1

"In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e Dio era la Parola": così nel testo greco. Per i TdG "in principio", Dio creò come primo essere il suo portavoce, cioè il "Logos", per cui la traduzione: "e la Parola era un dio", un potente, un piccolo dio, un "dio" minuscolo. Un dio strappato dall’Olimpo, demiurgo platonico, utilizzato da Filone d’Alessandria per un verso, e dall’altro, tempo dopo, dal presbitero Ario per spiegare in senso filosofico il rapporto del "Logos", essere intermedio di stampo mitologico, tra Dio e il mondo.

In "principio" il "primogenito creato", non il "Figlio", ma "un figlio" (v.14), chiamato nella sua esistenza pre-umana "arcangelo Michele", che, ad un certo punto della storia, viene fatto sparire dal cielo per opera di Dio per inviare sulla terra, attraverso l’etere, nel seno della vergine giudea, Maria, la sua "energia vitale" per farlo nascere come creatura umana.

Non spiegano di quale energia si trattasse, ma a quanto pare si deve trattare della stessa energia con la quale "Geova" diede vita al corpo inanimato di Adamo, dopo averlo formato dal suolo della terra. Sicché si può parlare di Cristo come del "secondo Adamo", uomo che doveva corrispondere per natura né più né meno al primo Adamo.

Ancora, questo figlio di Dio, alla sua morte sulla croce, sparisce di nuovo, questa volta per tre giorni, per apparire al suo originale stato di Michele arcangelo ricreato. Dico ricreato perché in Italia risurrezione significa riportare in vita ciò che è morto. Come spiega Gesù: "Abbattete questo tempio, e in tre giorni lo rialzerò…" Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando, dunque, fu destato dai morti (il suo corpo) i suoi discepoli si ricordarono di questo" (Giov. 2:19-22). Ecco perché Luca in Atti, 2:24-32 citando i Salmi, ed applicando a Gesù la Scrittura, dice che: "…la mia carne risiederà nella speranza della risurrezione" e che il "Santo" non avrebbe "visto la corruzione" della tomba. Queste parole si basano proprio sulla negazione da parte di Gesù di essere al momento della risurrezione uno spirito. Agli apostoli che credevano di aver visto "uno spirito" Gesù disse: "Vedete le mie mani e i miei piedi, sono proprio io; credetemi e vedete, perché uno spirito non ha carne ed ossa come vedete che io ho". Lc. 24:39.

Far credere agli apostoli ciò che egli non era, come insegnate voi, è dare del bugiardo a Gesù Cristo. È vero che alcuni di loro alla risurrezione non lo riconobbero, ma era per la loro incapacità di vedere. Maddalena, per esempio, piangeva con le lacrime agli occhi al mattino presto e non poteva vedere bene; e gli apostoli sulla barca, lontani dalla spiaggia, neppure potevano vedere con chiarezza. Non dimentichiamo poi che il corpo di Gesù risuscitato è un corpo glorioso: un’anticipazione di questo è la trasfigurazione. Siccome, secondo voi, Dio "disintegrò" il corpo di Gesù mandandolo nel nulla eterno e quello che rimase del suo essere è "l’energia vitale" che non torna, nel vero senso della parola, a Dio: che fine ha fatto l’energia vitale alla morte di Gesù? La vostra dottrina non insegna che ciò che torna a Dio è il diritto di Dio, nelle cui "mani" ripone la speranza della risurrezione? È con il diritto che Dio ricrea il "corpo spirituale" di Michele arcangelo? Sono questi gli insegnamenti della Bibbia?

"La forza attiva di Dio", "l’energia vitale" non sono espressioni bibliche e sono, tra l’altro, forze impersonali. Anche "ruah" qualche volta lo è.

Non si può dunque parlare della loro morte e risurrezione e nemmeno in senso metaforico.

Ecclesiaste 12:7 sostiene che ciò che torna a Dio è lo "spirito" dal quale proviene, come il corpo, alla morte dell’uomo, torna al suolo della terra dal quale proviene. Non c’è proprio nessun bisogno che lo "spirito" attraversi l’ "etere" come presupposto assurdo. È sotto gli occhi di tutti che il corpo torna alla terra, ma non quello dello spirito quando torna a Dio. Si chiama "spirito" perché è invisibile agli occhi umani e, per quanto riguarda la conoscenza della sua natura, nessuno lo sa, penso neanche i TdG Perciò ogni congettura che tenti di spiegare in che modo lo spirito torna a Dio è fuori luogo e neppure ha senso. L’uomo alla sua morte non è più soggetto alle leggi del tempo e dello spazio e ciò che avviene del suo "spirito" non ci è dato di sapere. Nessuno, a eccezione dei risuscitati, può raccontare per esperienza quello che avviene dopo la morte e su questo argomento, come per tanti altri, la Bibbia non è esauriente. Lo stesso Apostolo ci dice: "Non s’è ancora rivelato ciò che saremo…" (1Giov.3:1-3) Sarà reso tutto chiaro durante l’avvento escatologico di Gesù Cristo, quando terra e cielo, tutto sarà trasfigurato: "Ecco io creo nuovi cieli e nuova terra"(II Pt 3 :10,13; Apoc. 21 : 1,5). L’uomo è "spirito" e "corpo" e qui si potrebbe aprire un altro capitolo.

Le scritture confutano anche la dottrina che Gesù Cristo, nella sua esistenza spirituale, sia un angelo; è un’idea che era sostenuta da alcuni gruppi settari del periodo apostolico, come gli Ebioniti, che l’apostolo Paolo confuta : "Infatti, a quale degli angeli diss’Egli mai: "Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato?… Ed a quale degli angeli disse Egli mai:"siedi alla mia destra finché abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi?"" E ancora: "non è agli angeli che Egli ha sottoposto il mondo avvenire del quale parliamo". È evidente che il figlio di Dio appartiene al genere divino dell’essere, da non confondere certo con la natura degli angeli (Eb. 1 : 5,13; 2:5)!

È antiscritturale, quindi, il discorso che Gesù Cristo, Michele arcangelo, sia l’ "unico", il primo, l’ "unigenito". Non è questo il pensiero di Daniele, il quale, senza ombra di dubbio, qualifica Michele come "uno dei primi principi" (Dan.10:13, V.R.). Perciò, secondo le scritture, esiste più di un "primo", sicché i TdG possono puntellare anche qui questo insegnamento solo con gli argomenti tratti dalle dottrine degli Ebioniti e di altri gruppi settari che popolavano i primi secoli.

Per quanto riguarda il termine "primogenito", il C.D. credo sappia benissimo che, nella concezione letteraria semitica, non vuol sempre significare letteralmente il primo nato, anche se non è seguito da un secondo, ma sta a significare il "preminente", l’ "erede della casa", il "signore della casa", il "superiore" ecc.

In Esodo 4: 22 Israele è chiamato "il primogenito", non perché fosse il primo popolo creato da Dio, ma perché Dio lo elesse a popolo prediletto (Deut. 7: 6-8). Analogamente Dio elesse a "primogenito" Davide, il più piccolo dei fratelli, come il preminente dei re della terra. 1Sam.16: 10-13; Sal.89:20, 27-28.

Tra l’altro, per i TdG, "generato" vale per "creato", nonostante lo stesso Giovanni, con intenzione, eviti di dire, all’inizio del suo vangelo, i verbi "fare" o "creare". Ragionano dando al termine "generato" il senso umano (senza la presenza della donna non si può generare). Negano che Dio sia capace di generare alla sua maniera, alla maniera divina, diversa da quella umana. Così si arriva al blasfemo: "Ebbene, c’era dunque qualche persona di sesso femminile in cielo da cui Geova Dio generasse il suo unigenito Figlio? ..Inoltre, perché generò, non dobbiamo immaginare che Dio abbia un seno come una persona di sesso femminile. Dio non è femmina". Se non è femmina allora è maschio. "Cose nelle quali è impossibile che Dio menta", pag.123. Ma è col turpiloquio che si affronta il discorso su Dio? Il termine ‘generare’ non è esclusivamente legato al significato che assume nella sfera sessuale, ma ad altri campi, come: il fuoco genera calore, l’energia elettrica genera luce, la mente genera il pensiero, ecc. Il "logos" quindi è il pensiero, il discorso, la Parola, Parola come progetto realizzato. Come Dio è eterno così è eterno il suo pensiero e il pensiero non è portavoce.

Il Pensiero, la Parola sono inseparabili da Dio Padre. La Parola è uscita da Dio come essere distinto dal Padre. Quando si parla di Dio e del suo operare non tutto è spiegabile razionalmente. Non è facoltà umana capire che Dio esiste dall’eternità: un essere senza tempo. Com’è possibile per noi esseri umani, legati al mondo fisico ed alle leggi del cosmo, capire? Alle nostre deboli menti come possono essere comprensibili i significati di incarnazione, trasfigurazione, resurrezione, paradiso, regno, non avendo esperienza alcuna sulla loro reale natura? Sono termini tecnici per tentare di spiegare il mondo soprannaturale che non sono contro la ragione, ma al di sopra di essa. Non è ancora nemmeno accessibile la comprensione dei molti fenomeni del nostro mondo, delle cose che ci circondano: cosa avviene ad esempio al di là della "maschera" (prosopon) dell’essere umano? Cosa sappiamo degli impenetrabili abissi del cosmo?

Di Dio conosciamo ben poco, solo quel tanto che la nostra mente di credenti ci permette di percepire. Gesù, al di là di quello che ci ha rivelato della natura di Dio, una cosa grande ci ha mostrato: l’amore incommensurabile del Padre, presente nella sua persona. I TdG pretendono di capire tutto, peggio ancora di dare una risposta a tutto e così si coprono solo di ridicolo.

La Bibbia non insegna stupidaggini: ad esempio che Dio sia dotato di corpo spirituale e dei sensi dell’udito e della vista. Gesù dice che: "Dio è spirito" e non corpo spirituale. Non insegna che Dio abita nelle Pleiadi, nella stella Alcione come hanno insegnato T.C. Russell e Rutherford, e come attualmente insegna il C.D., i loro epigoni, che "Dio abita nel circolo della terra" e sfrattato dal "circolo" (Circolo Polare Artico?), inviato con le sue valigie verso un posto sconosciuto del cosmo!

Russell insegnò alla Giulio Verne: "Alcione, la stella centrale della costellazione delle Pleiadi … è il trono di mezzanotte, il punto centrale dell’intero sistema gravitazionale, dal quale l’Onnipotente governa il suo universo" (Studi sulle Scritture, vol. III, pagg, 321, 327; e vol. VI, pag. 618). Sulla stessa tonalità suonò così il suo successore Rutherford nel libro "Riconciliazione" a pag. 14 e nel libro "Liberazione" alle pagg. 116, 117. Leggete, leggete! Materiale da fantascienza!

Non meno fantastico è l’insegnamento che Dio sia corpo, sia pure spirituale, magari alto 1.90, e abiti in qualche luogo dello spazio: "Essendo una persona (come Pietro, Giovanni, ecc.) con un corpo spirituale, Dio deve avere un luogo in cui vivere. La Bibbia dice che i cieli sono lo "stabilito luogo di dimora" di Dio. (I Re 8: 43)" (Potete vivere per sempre in una terra paradisiaca pagg. 36, 37, 1988). Questo si basa sull’idea che sia dotato di corpo spirituale. Ma cosa significa corpo? Secondo la vostra spiegazione, com’è possibile che l’infinito Dio possieda: "i sensi della vista e dell’udito"? Essendo corpo, di conseguenza, Dio non può essere "onnipresente" e se non è onnipresente non è neppure "onnipotente". Vedere "Accertatevi di ogni cosa", 1974, pagg. 202-204.

A chi legge la Bibbia in modo puerile, letterale, senza pensare alla metafora, ai simboli e alle forme letterarie, chiedo: Se Dio è il creatore dei cieli e dello spazio, dove abitava prima di creare l’universo?

Dalle scritture da voi citate, nel suddetto libro, per sostenere le vostre tesi sul corpo di Dio (1 Cor.15: 44) non mi risulta, viste nel discorso che fa l’apostolo Paolo, che egli stia parlando di Dio e del suo corpo. Ancora meno Gesù in Giov. 4: 24. Le Scritture negano questa assurdità. Affermare poi che Dio sia "uno Spirito"che voi traducete rispetto ad altri spiriti, significa degradare la divinità. Si bestemmia nel confondere Dio creatore degli spiriti con "Dio è Spirito" che è di ben altra natura. La Bibbia usa il suo linguaggio e va vista alla luce del contesto storico-critico e non sempre le grammatiche sono decisive per risolvere i problemi di traduzione e di significato; per esempio è detto in Genesi 3:5 "…voi sarete simili a Dio, conoscendo il bene e il male", e in Gen.3:22 viene espresso lo stesso discorso che grammaticalmente è lo stesso concetto, ma in bocca a Dio quelle frasi cosa significano? E in bocca al demonio che significato assumono? In modo analogo si può dire lo stesso di Atti 28:6. Credete che quando i maltesi, parlando di Paolo come di "un dio" (T.N.M.) avessero di Dio lo stesso intendimento che aveva l’apostolo Giovanni che disse: "E Dio era la Parola" o come traducete voi: "E la parola era un dio"? Inoltre, non tenendo conto dei generi letterari, si cade nelle contraddizioni e nel ridicolo, come spesso vi accade.

Con la chiusura del canone ad opera degli "apostoli" con l’Apocalisse, è una menzogna parlare di verità "progressiva". Le vere verità progressive iniziano con la Genesi e terminano con l’Apocalisse. Il salto che fate in modo tedioso dal 'I° secolo ai nostri giorni' disseminato in tutta la vostra letteratura, è l’affermazione che condanna i ricercatori vissuti in tutti i secoli fino a noi nella più fitta ignoranza. Nessuno, ad esclusione di voi, capisce la Bibbia! Allora lasciate stare i suffragi che cercate negli autori "del mondo" solo quando vi fa comodo, tralasciando quelli che sono scomodi alla vostra dottrina.Tra le numerose citazioni falsate voglio portare solo due esempi:

I) Nel libro "Ragioniamo" a pag 415, per dimostrare che le parole di Gesù: "prima che Abramo fosse io sono" abbiano il significato di un’azione storica con l’appoggio del Vangelo di Giovanni di J. Mateos e J. Berreto; la citazione non è esatta : "in una nota a questo versetto, si riconosce che la relazione temporale espressa dal greco "prin…eimì" si può tradurre in italiano "prima…ero"". La citazione è manipolata e, peggio ancora, non tiene conto del contesto dell’intera opera degli autori.

In realtà a pag.387 la nota filologica completa afferma che: « "prima… sono", gr. "prin…eimì". In it. la relazione temporale si esprime in due modi: prima…sono oppure prima …ero. Si è preferito conservare al presente la formula solenne di Gesù». Così significa che la formula egò eimì in bocca a Gesù, espressa in greco, acquista un significato atemporale. Questo è tanto vero che a pag. 86 dell’opera citata non poteva dire altrimenti: «così quelle (frasi) di Gesù che cominciano con io sono" sono esplicitazioni del suo essere e della sua missione messianica». Ancora, tra l’altro, affermano con chiarezza: «Nel prologo, Gv. evita accuratamente l’uso del verbo "fare/creare" (poieo), in quanto un essere divino non può venire creato; la metafora che usa è quella di "nascere/generare" (1.13,18), che indica comunicazione della vita propria di colui che genera, (Dio)», pag. 50.

Se un essere divino non può essere creato, cosa c’entrano le note filologiche "prima…ero" espresse in it. per provare il vostro pensiero? Se vi è una temporalità riguardo a Cristo, ha solo relazione con la sua entrata nella storia quando "divenne carne" (Giov. 1:14); questo evento sovrannaturale, che trascende l’umano, è inesplicabile per la nostra mente.

A pag. 62 della stessa opera viene sottolineata proprio questa verità: "(si noti la traduzione alternativa di 1,1 c Lett.: e un Dio era il progetto). L’Uomo-Dio è presente sulla terra, è lui la presenza del Padre fra gli uomini (12,45; 14,9), il Dio generato (1,18) per la piena comunicazione della vita del Padre" fra gli uomini. Queste verità sono espresse in tutta l’opera da voi citata, ma che la vostra citazione parziale ha svuotato del suo contenuto fondamentale. È chiaro che, al di là delle note filologiche, quello che è importante è il senso espresso (non in it.), lo stesso Gesù con l’assoluto maiestatis "egò eimi"

II) Riguardo a Giustino martire: a pag.7 dell’opuscolo "Dovreste credere nella Trinità?", sotto il titolo: "Cosa insegnano i Padri preniceni": «Giustino martire, morto verso il 165 E.V., definiva Gesù preumano un angelo creato, "diverso dall’Iddio che fece tutte le cose". Diceva che Gesù era inferiore a Dio e che "non faceva mai nulla all’infuori di ciò che il Creatore…voleva che egli facesse e dicesse"». Intanto, che Gesù sia un angelo creato lo dite voi e non è neppure riportato da quale scritto di Giustino siano state tratte queste parole. Non mi risulta, dopo la lettura delle sue opere che Giustino abbia parlato nei termini da voi sottolineati. Ecco in che cosa Giustino credeva: "Il Verbo di Dio è suo Figlio come abbiamo detto. Ed è chiamato "messaggero" ed "apostolo": egli, infatti, annuncia ciò che bisogna conoscere ed è inviato per rivelare quello che è annunciato…Gesù Cristo è figlio di Dio e inviato, e che prima era il Verbo, apparso sotto forma di fuoco, un’altra volta come immagine incorporea. Ora per volontà di Dio fattosi uomo…il Padre di tutte le cose ha un Figlio; questo essendo Verbo primogenito di Dio è anche Dio". 1^ Apologia, pagg. 143-145, Gli apologeti cristiani, Città Nuova editrice, Roma, 1986.

Nella 2^ Apologia, sempre dalla stessa opera, Giustino esprime il pensiero e la dottrina del suo tempo che per nulla contrasta con quella di Giovanni: "Il figlio di lui, colui che solo può essere chiamato propriamente figlio, il Verbo (Logos) che coesiste ed è generato prima delle cose create, quando in principio per mezzo di lui creò ogni cosa". (pag. 157) e Manlio Simonetti, un altro che per voi non ha capito niente, così traduce dal greco a fianco dalla 2^ Apologia: "Il Figlio suo invece, il solo detto propriamente Figlio, il Verbo anteriore alle creature, coesistente con il Padre e generato quando in principio per mezzo di lui creò ed ordinò tutte le cose…". Il Cristo, vol. I, pag.67, Fondazione Lorenzo Lavalla, Arnoldo Mondadori editore,1995.

Specialmente nel dialogo con Giudeo Trifone, Giustino di sicuro non espone ciò che i TdG credono e insegnano. Applicando il salmo 44 a Gesù Cristo, Giustino dice: "Il tuo trono, Dio, nei secoli dei secoli", pag. 169. E, parlando dei "tre" che apparvero ad Abramo spiega: "che uno di quei tre è Dio ed è chiamato angelo per il fatto di portare, come ho già detto, i messaggi del Dio creatore di tutte le cose…questi che vi è detto essere apparso ad Abramo e a Giacobbe e a Mosè, è un altro Dio rispetto a quello che ha fatto tutte le cose, un altro intendo, per numero, non per distinzione di pensiero". E ancora, in modo specifico, afferma: "Dio ha generato da se stesso una potenza razionale che lo Spirito santo chiama ora la gloria del Signore, ora Figlio, ora Sapienza, ora Angelo, ora Dio, ora Signore…", "egli è degno di adorazione che è Dio e Cristo". Perciò per Giustino Cristo era: Dio, coesistente con il Padre, Pensiero, Parola, Sapienza, Signore degno di adorazione, ed anche Angelo, ma nel senso di messaggero, ecc., ecc. (Dialogo con Trifone, pagg. 169, 205, 217, 224. Ed. Paoline, 1988).

Se avete citato il pensiero di Giustino martire come prova per avere un appoggio storico che sostenga la vostra dottrina, siete cascati male. Gli insegnamenti di Giustino chiaramente qui esposti non hanno assolutamente niente in comune con la dottrina dei TdG

Falsificate sono pure le citazioni sul pensiero di Ireneo, Tertulliano, Origene, ecc. A voi il compito di leggere bene le loro opere: Contro le eresie, Contro Prassea, Commento alla lettera ai Romani, e così via. Lo stesso trattamento dell’opera di Giustino l’hanno subito le opere moderne. Non capisco perché non citiate a vostro sostegno il pensiero degli Ebioniti, dei Sabelliani, dei Montanisti, dei Monarchiani, dei Subordinazionisti, dei Valentiniani, ecc. Ora la domanda: da che parte vi trovate dal momento in cui affermate che i TdG sono sempre esistiti? Da quale parte vi collocate nella storia: assieme ai Padri preniceni o agli altri che vissero ai loro margini?

Una persona può anche non credere a quello che i primi Padri hanno detto, potrebbe anche non piacere il loro linguaggio, ma storpiare il loro insegnamento per conformarlo alla propria dottrina, per dare ad essa un supporto storico che non esiste, è disonestà intellettuale e ipocrisia, per non dire di peggio.

Non volete comprendere che ciò che è avvenuto nel primo secolo è un fatto a sé stante. Aggiungo che storicamente non tutto è ben documentato. In tutto ciò che è avvenuto nei primi tre secoli della storia cristiana c’è molta frammentarietà.

Al termine "Parola" si danno più significati visti secondo la preparazione filosofica della persona, uno dei quali, un bellissimo esempio, ce lo fornisce il grande poeta Goethe che, al di là del significato lessicale e dell'analisi storica e scientifica del vangelo di Giovanni, così medita nella sua meravigliosa forma poetica 

"Qualcosa mi spinge ad aprire quel testo e provarmi, con cuore devoto, a tradurre / il racconto originale / nella cara mia lingua tedesca. /…Sta scritto: "In principio era la Parola. / Eccomi già fermo. Chi mi aiuta a procedere? / M’è impossibile dare a "Parola" / tanto valore. Devo tradurre altrimenti, / se mi darà giusto lume lo Spirito. / Sta scritto: " in principio era il Pensiero"./ Medita bene il primo rigo/ che non ti corra troppo la penna. / Quel che tutto crea ed opera, è il Pensiero? / Dovrebbe essere: "in principio era l’Energia" / Pure, mentre scrivo questa parola, qualcosa / già mi dice che non qui potrò fermarmi. / Mi dà aiuto lo Spirito! Ecco vedo chiaro / e, ormai sicuro, scrivo: "In principio era l’Azione!". (Goethe, Faust, pag. 95, Mondadori, 1995). Parole di profonda spiritualità ed umiltà.

È compito dell'esegeta quello di analizzare in modo scientifico ciò che intendeva dire Giovanni con "Parola", analisi che ci aiuterà ad evitare la tentazione di dare a "Parola" un significato contrario al pensiero degli scritti dell'Apostolo.

Uno che per voi non ha capito nulla scrive: "Dietro l’espressione ‘In principio’ non si cela una riflessione sul concetto di tempo e sulla sua problematica; essa è stata scelta in analogia a Gen. 1,1 e a ragion veduta: infatti il Logos, che l’inno presenta, è la ‘Parola’ per mezzo della quale Dio ha creato ogni cosa (v. 3). Ma questa ‘parola’ è più che il ‘parlare’ di Dio all’alba della creazione; è la ‘parola’ personale che in un’ora della storia è diventata carne, Gesù Cristo, la cui esistenza viene ricondotta al ‘tempo’ prima del mondo, all’eternità divina. Per questo motivo, "in principio" qui vuole dire di più che nel racconto della creazione: non intende, cioè, designare l’inizio dell’esistenza del mondo creato ma esprimere l’essere del Logos prima del mondo. Ciò che esisteva "in principio" ha una preminenza su qualsiasi creazione. Anche i rabbini insegnavano che sette cose erano state "create prima del mondo"; ma il Logos non è stato creato, esso ‘era’, vale a dire che già allora esisteva, assoluto, fuori del tempo, in eterno. È una preesistenza reale, personale. (cfr. I Giov. 1,1; 2,13 a)". R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, I° vol., pag. 293, Paideia, Brescia, 1973.

La seconda proposizione : "e la Parola era presso Dio, o si rivolgeva a Dio o era verso Dio" non indica un movimento all’interno della divinità, ma una comunione intima con il Padre, la luce che è venuta nel mondo per dare vita eterna. Che la Parola esistesse prima della creazione del mondo lo rende chiaro Gesù stesso dicendo: "…Padre, glorificami davanti a te, con la gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse". Giov. 17:5

Gesù Cristo è "la vita" "eterna" che era "presso il Padre" come ripeterà lo stesso evangelista nella I Lettera cap. 1:1-3 e che i TdG hanno oscurato e non chiarito con la parentesi ‘circa’ che non si trova nel greco (che cadono nel primo versetto). Quell’inserimento, invece di informarci che è scesa la vita eterna che è Gesù, vita eterna che era "presso il Padre", afferma che è sceso uno che ci ha parlato "circa" la vita, e che prende le mosse dal presupposto dottrinale che Gesù non è divino come il Padre. Manipolazione molto grave. Padre e Figlio costituiscono un’unica realtà divina che nessun sofisma brookliniano può distruggere: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" che voi in malafede traducete spesso "unito".(Giov. 14:8-11). E non si tratta certo di semplice unità morale. L’evangelista, per questo, avrebbe usato per "en" i termini "sin" o "meta". "Pros" significa "associazione intima e personale", appropriato per spiegarci la relazione tra il Padre e il Figlio.

Nei versetti da 1-3 e 2:14 di I Giov. emerge, in armonia con il Vangelo di Giovanni, che la "vita" che si è manifestata in Gesù Cristo e che era "presso" il Padre, costituisce il fatto perché: "fatto e persona sono la stessa realtà in senso particolare: parlare del fatto significa al tempo stesso parlare della persona…che l’eterno è diventato storico nella persona di Gesù Cristo". Naturalmente tutto viene da Dio. R. Bultmann, Commento Teologico del Nuovo Testamento, Le lettere di Giovanni, pagg. 27-37, Paideia, Brescia, 1977.

Arriviamo così alla terza proposizione: "e Dio era la Parola", così nel greco. Il prologo è molto complesso e non è di facile lettura. Esso va visto alla luce di tutto il vangelo di Giovanni per chiarire il complesso significato che va dal 1° al 18° verso, accompagnato da un’analisi storica e scientifica che ci aiuta a comprendere meglio il suo significato che non sempre la grammatica, applicata rigorosamente, consente.

Sulla spiegazione di questa terza proposizione i biblisti si dividono in due correnti per trovarsi poi alla fine tutti concordi, "e la Parola era Dio", meno i TdG e gli unitari, loro predecessori, che negano la divinità di Gesù Cristo.

Un gruppo spiega che la mancanza dell’articolo davanti al secondo "theos" è un predicato nominale che indica non la persona, ma la natura del soggetto il "Logos", la sua qualità, la sua natura, motivo per cui spiegano: "un essere divino", "natura divina" o "divinità", divinità che non è il solo a possedere. Giovanni non poteva dire che la "Parola era il Dio" perché altrimenti Padre e Figlio sarebbero intercambiabili. Dicendo invece "la Parola era Dio", "Dio" con la lettera maiuscola, l’apostolo spiega che il "Logos" è partecipe della divinità. Al limite anche tradotto "un Dio" o "un dio" (si scrive o tutto maiuscolo o tutto minuscolo) è nel senso che essendo "figlio" è partecipe della sostanza e della natura del Padre "'o Theos", proprio quello che i TdG negano con la loro traduzione. Con essa essi commettono due gravi infedeltà: la prima, nel loro interlineare sotto il primo "Dio" nel testo è minuscolo e sotto lo riportano maiuscolo, il secondo "Dio" lo traducono "dio", minuscolo, presentando così il recensore in modo falso supponendo che i suoi "dio" minuscoli, egli abbia pensato che un "Dio" sia maiuscolo e l'altro minuscolo.

La seconda infedeltà è la traduzione ufficiale dove si aggiunge l’indeterminativo "un" al "dio" minuscolo, una regola che dovrebbe, per onestà, seguire dovunque, cosa che invece non si è fatto. Dio è Dio a tutti gli effetti, maiuscolo o minuscolo che sia, non perde il suo significato. In effetti i codici antichi non facevano distinzione tra minuscolo e maiuscolo: o tutto maiuscolo o tutto minuscolo. Le forzate distinzioni compiute dai t. d. G. sono generate dalla dottrina preconcetta che dicendo "un dio" significhi un essere creato, cosa che non intendono i biblisti che traducono: "un essere divino", "divinità", "essenza divina", "ciò che Dio era , la Parola era" o al limite anche "un Dio". La verità è che anche se la grammatica ci induce a pensare a questo, ad eccezione di alcune sette americane, la stragrande maggioranza dei biblisti di tutto il mondo hanno tradotto dal greco senza difficoltà e in modo corretto nella propria lingua: "la Parola era Dio".

Un rappresentante di questo gruppo, uno che per i TdG non capisce niente, così spiega: "Il punto culminante è rappresentato dalla terza frase sul Logos preesistente: "e Dio era il Logos". Riprendendo l’ultima parola del v. 1b e ponendo tutto l’accento su di essa, attribuisce al Logos la stessa natura di Dio. qeÒj al principio della frase è predicato, ma non nel senso che identifichi il Logos con Ð qeÒj (il Dio) nominato prima. Vuol dire piuttosto che il Logos è Dio, nel senso che esso è con Dio in strettissima comunione d’essere e di vita. In tal modo qeÒj non è un concetto che indichi il genere, ma sta ad indicare l’essere comune, che è proprio sia al Logos che a Dio. Soltanto la pienezza dell’essere divino, che il Figlio riceve dall’amore del Padre, costituisce la garanzia della sua piena potenza rivelatrice e salvatrice". Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, vol.1, pagg.295/296. Paideia, 1973. Vedi anche V. Kasper: Il Dio di Gesù Cristo, pagg.241/243, Queriniana, 1994.

Quando La Torre di Guardia, 1/6/1988, alla pag.16, par. 6 e 7 e anche altrove, afferma che la "cristianità" insegna che "Gesù e il Padre fossero la stessa persona", per dimostrare che la Bibbia insegna il contrario, è falso. Proprio perché è biblico gli studiosi di ogni parte hanno sempre sostenuto che il Padre e il Figlio sono persone distinte, ma unite nella divinità, nella natura e nella sostanza. Voi confondete i cristiani con la setta dei Sabelliani dei primi secoli i quali insegnavano che il Padre e il Figlio sono la stessa persona. In verità non è così. La Bibbia insegna che Padre e Figlio sono due persone distinte, ma un’unica realtà divina: il Padre è la luce, dalla quale proviene la luce Gesù Cristo, per cui la formula: 'luce da luce'. Il Cristo è la "luce" che proviene dal Padre e non il contrario, è la luce che è venuta nel mondo e illumina "ogni uomo". E se "Dio è amore", come dice la Bibbia, verso chi nell’eternità ha riversato questo amore?

Il secondo gruppo di biblisti spiega a riguardo della terza proposizione: "...ha come sua prima parola "Dio" (che è predicato) senza articolo (Theos)…La mancanza dell’articolo prima di Theos è più difficile. Alcuni la spiegano con la semplice regola grammaticale per cui i predicati che precedono il verbo generalmente non portano l’articolo. Comunque, il carattere assoluto della regola è discutibile (cfr. Harris. Jesus, 301-313) e non è una soluzione pacifica.

Parte della spiegazione del perché l’autore del prologo abbia scelto di usare "Dio" senza l’articolo riferendosi alla Parola, mentre ha usato "Dio" con l’articolo riferendosi al Padre, è che desiderava mantenere la Parola distinta dal Padre. Anche se la Parola condivide qualcosa con il Padre, tanto da meritare di essere chiamato theos, la Parola (Gesù) non è il Padre, come risulterà chiaro attraverso tutto il Vangelo.

Questa differenza, suggerita dalla presenza del predicato "Dio" senza articolo nella terza riga, e di Dio con l’articolo nella seconda riga può consistere nel fatto che la Parola è qualcosa di meno del Padre (cfr. Gv 14,28)? Alcuni rispondono affermativamente e traducono: "La Parola era divina". Si tratta però di una posizione troppo debole. Dopo tutto, in greco c’è un aggettivo per ‘divino’ (théios) che l’autore ha scelto di non usare. La New English Bible parafrasa "Ciò che Dio era, la Parola era". Questo è certamente meglio di ‘divino’, ma si perde la stringatezza dello stile del prologo. Inoltre diversi fattori suggeriscono che non si dovrebbe collegare alla mancanza dell’articolo l’indicazione di essere qualcosa di meno. Questo primo versetto del prologo costituisce un'inclusione con l’ultima riga del prologo e là (1:18 …) nelle testimonianze testuali meglio attestate, si parla della Parola come del "solo Dio"…", al principio del Vangelo si dice che la "Parola era Dio" e finisce con "… "Tommaso (che) chiama Gesù : mio Signore e mio Dio" (Con tanto di articoli determinativi e di maiuscole). Neppure il passo conclusivo di quest’inclusione (1,18 ; 2°,28) suggerisce che nel pensiero giovanneo la Parola, in 1,1, sia presentata come minore del Padre in senso pieno. Ad un certo livello, chiamare Gesù Dio rappresenta per il quarto vangelo una risposta positiva alle accuse rivolte contro Gesù, in base alle quali egli, con arroganza, si faceva Dio. (Gv. 10,33; 5:18). L’autore romano Plinio il giovane (Epistola 10, 96,7) descrive i cristiani dell’Asia Minore che cantavano inni a Cristo come ad un Dio. Il prologo, un inno della comunità giovannea ad Efeso, corrisponde a questa descrizione".

A proposito dell’espressione di Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!" lo stesso autore spiega: "Egli fa questo applicando a Gesù l’equivalente greco (Settanta) dei due termini riferiti a Dio dell’A.T. (Kyrios, "Signore", per rendere JHWH, e Theos, Dio, per rendere Elohim). Il migliore esempio dell’uso veterotestamentario è in Sal. 35,23 dove il salmista esclama: "Mio Dio e mio Signore"" (Raymond E. Brown, Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento, pag. 183, 184; Queriniana, 1995).

Nessun serio biblista sostiene le vostre tesi anzi, per la vostra traduzione vi siete appoggiati, tra l’altro, allo spiritista e spretato Greber: "era un dio", anche a quella degli unitari, testo tradotto dall’arcivescovo Newcome che gli stessi hanno falsificato otto anni dopo la sua morte. L’originale traduzione così recitava: "e la Parola era Dio".

Avete pure, per molti anni, citato il grecista di fama mondiale, Dana Mentey, falsificando i suoi scritti, per sostenere le vostre tesi, e anche nell’interlineare del 1967. Studioso che vi ha invitati a non citarlo più per quei tre puntini truffaldini che fanno dire al suo testo quello che non dice. Siete stati così costretti ad una nuova edizione dell’interlineare testo protestante di Wescott… nel 1984. Purtroppo esperienze non nuove se pensate al problema che avete suscitato alla casa editrice Le Monnier e del suo dizionario greco sul termine ‘croce’, la quale vi costrinse ad una nuova edizione del libro "Ragioniamo" nel 1990, che dovrebbe indurvi, per onestà, a correggere il libro "Ragioniamo" anche nelle altre lingue.

Ci sarebbe ancora molto da dire su Giov. 1:1, ma a conclusione di questo argomento vi invito a riflettere seriamente sulle parole di Sant'Agostino, dopo aver commentato Giov.1,1: 

"Si faccia pure avanti adesso un qualsiasi infedele ariano, e mi venga a dire che il Verbo di Dio è stato fatto. Com'è possibile che il Verbo sia stato fatto, quando Dio ha fatto ogni cosa per mezzo del Verbo? Se lo stesso Verbo di Dio è stato fatto, per mano di quale altro Verbo è stato fatto? Se tu dici che c'è un Verbo del Verbo, per mezzo del quale quest'ultimo è stato fatto, ebbene allora io lo dico il Figlio unico di Dio. Se invece tu dici che non c'è nessun Verbo del Verbo, devi riconoscere che non può essere stato fatto colui per mezzo del quale tutto è stato fatto. Né può essersi fatto da se stesso colui per mezzo del quale tutto è stato fatto. Credi, dunque, alle parole dell'evangelista. Egli avrebbe potuto esprimersi così: -In principio egli fece il Verbo- alla stessa maniera in cui Mosè poté dire: "In principio Dio fece il cielo e la terra", ed enumerare le opere della creazione così: "Dio disse: sia, e fu fatto" se una parola fu detta, chi fu a dirla? Senza dubbio Dio. E che cosa è stato fatto? Una creatura. Ora, tra Dio che dice questa parola e la creatura che è stata fatta, che cos'è ciò per cui fu fatta la creatura, se non il Verbo? Infatti Dio disse :"Sia, e fu fatto". Questo è il Verbo che non conosce mutamenti. Tutto ciò che per mezzo del Verbo è stato fatto, è soggetto a mutamenti: egli resta immutabile". Commento al Vangelo di San Giovanni, Città Nuova, 1965 1° vol., pagg. 26/27.

Un’altra lampante falsificazione è Giov.1:18. Alla lettera il greco dice: "Dio nessuno (lo) ha visto mai; (l)’unigenito Dio essente in il seno del Padre quello lo ha svelato". Da notare che non esiste la frase "la posizione del" che tentate, con l’uso delle parentesi di inserire nella Bibbia, e ad essa aggiungete anche il blasfemo "un seno presso il padre". Stabilire a tavolino la vostra dottrina del Figlio creato oscurando di conseguenza il senso vero delle parole di Giovanni dove a chiare lettere, senza bisogno di parentesi, dice che "l’unigenito Dio è nel -Kolpon tou patros- ("nel seno del Padre") e che è ‘l’unico Dio generato’ vi qualifica quali impostori della Parola. È una vera impostura che in tutte le Scritture, dove si parla della divinità di Cristo e della sua immanenza con il Padre, siano distorte con le parentesi e poi citate nella vostra letteratura, mentre puntualmente le parentesi cadono per dare modo al vostro discorso l’ovvietà che induce il comune TdG a pensare e a vedere che così, in questo modo, parla la Bibbia.

La falsificazione che apportate alle Scritture è puntuale e minuziosa, nei termini e nelle parentesi, specialmente nel Nuovo Testamento contro la dichiarata divinità del Cristo. Questo era un argomento che, quando ero con voi, bussava spesso alla porta del mio spirito e che, con sforzo, cacciavo nei sotterranei della mia mente, perché come TdG non dovevo avere dubbi sulla "verità" acquisita dal C.D. Chi nutre "dubbi è come l’onda del mare", "Geova" disapprova il dubbioso! Se dei cambiamenti devono aver luogo, devono arrivare non ‘dal basso, ma dall’alto’, dal C.D., cioè "teocraticamente", un termine che non esiste nella Bibbia e che equivale a dittatura, pensiero individuale ‘niet’=espulsione.

Veniamo ora a Giov.8:58. Nel greco così si esprime: "prima (che) Abramo fosse io sono" egò eimì. Voi invece nel 1967: "io sono stato". Nel 1987 si corregge: "io ero". Ambedue le versioni sono false e qui il presente storico c’entra come i cavoli a merenda. Quello che è più grave è che date a Cristo del bugiardo e dell’incosciente come se non sapesse che, se voleva raccontare una storia, non sapesse che in greco esistono i corrispondenti "sono stato" o "io ero"! I giudei avevano capito bene che cosa voleva dire Gesù con la frase "figlio di Dio" e che dava ad essa un significato diverso al senso comune del temine. Altrimenti perché volevano lapidarlo? La pretesa di Gesù di essere "io sono" rientrava nel comportamento della bestemmia (Lev. 24:16). "Io sono" è la frase solenne, assoluta che il V.T. applica a JHWH. I settanta rabbi ebrei, che secondo voi non capirono nulla, hanno tradotto nella LXX: "Io sono" o alla terza persona "Colui che è". Nessuno ha sentito il bisogno di tradurre come avete fatto voi, alla scopo di oscurare questa verità: "Io mostrerò di essere ciò che mostrerò di essere" che non è neppure coerente con il testo ebraico in quanto è una vostra interpretazione per allontanare il lettore TdG a non fare accostamenti alla frase solenne di Gesù "io sono". "Ho on" ed "egò eimi" hanno lo stesso significato perché fanno parte dello stesso verbo essere. Per sostenere la vostra traduzione ricorrete a qualche vecchia traduzione non aggiornata, specialmente a traduzioni del 1800 contro le centinaia di migliaia che traducono "ego eimì" con "io sono".

"L’uso giovanneo assoluto di ‘IO SONO’ ha l’effetto di presentare Gesù come divino, con una (pre)esistenza proporzionata alla sua identità, proprio come l’A.T. greco comprendeva il Dio di Israele" e rispondeva alla domanda: "chi sei tu?" (8:25) "il Dio d’Israele". Raymond E. Brown, Cristologia, pagg. 136-139; Queriniana, 1995.

E ancora e all’infinito, le analisi degli studiosi ci dicono: “prima che Abramo fosse, io sono”. Ciò che qui si deve notare innanzitutto è la contrapposizione tra i due tempi dei verbi: genesqai “venire all’essere” aoristo e e„nai “essere” presente continuo. Con ciò si vuol dire che Gesù non può essere collocato tra la serie dei grandi personaggi storici, che ha avuto inizio con Abramo ed è continuato con i profeti. Egli afferma, non solo di essere il più grande dei profeti, superiore anche ad Abramo, ma di appartenere ad un altro ordine di esistenza. Il verbo genesqai non è applicabile in alcun modo al figlio di Dio. Egli dev’essere collocato al di fuori del contesto temporale. Si tratta, infatti, di uno che è in grado di affermare: egë e„m… (io sono), espressione che corrisponde ad ’ănî hû dell’Antico Testamento con cui veniva qualificata l’aseità unica ed eterna di Dio stesso… Che esiste da tutta l’eternità: è l’unità tra il Padre e il Figlio in ‘mutua conoscenza’ e ‘inabitazione’, la cui nota essenziale è data dalla agape. Ed è proprio questo mistero della divinità rivelata da Gesù al mondo: “…ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere,…” “. Il nome del Padre è legato al nome di Gesù. E’ una figliolanza eterna che non è soggetta al tempo. C.H.Dodd, L’interpretazione del quarto Vangelo, pagg.326,327 e 127,128. Paideia 1974.

L’ "ego eimì" di Gesù non è solo l’allusione ad Esodo 3:14, ancora più forte poggia sui passi di Is. 43:10; 42:8 dove il Dio di Israele si presenta al popolo come farà poi Gesù Cristo con l’ "ego eimì" ebr. "’ănî hû" il nome divino. "Gesù parla al presente, che lo colloca al di sopra del tempo e nella presenza eterna di Dio... Di fronte a questo Eterno Essente, Abramo è un uomo che un giorno entrò nell’esistenza (‘fosse’ = nascere). In tal modo a Gesù è attribuita una superiorità essenziale, un’eccellenza assoluta sul Patriarca…l’ebraico ehjeh è affine a ’ănî hû, quella divina formula di rivelazione che Gesù riprende con l’egë e„m… di 8:24 per riferirla a se stesso…". Poi: "L’indiretto riferimento a Ex 3,14 è la migliore spiegazione della reazione dei Giudei, che interpretarono l’esigenza di Gesù come una bestemmia, e afferrano delle pietre per lapidarlo come bestemmiatore". L’ "io sono" è legato al nome JHWH che Gesù attribuisce a se stesso. Il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio, un’unica realtà divina. Vedere, R.Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, 2° vol., pagg.400-401 Paideia 1977.

Ora sant'Agostino, al commento di Giov. 8:58, ha provveduto con un anticipo di 1.500 anni a smascherare il vostro errore dottrinale confutandolo con le seguenti parole: "Rifletti su queste parole per penetrarne il segreto significato. 'Prima che fosse fatto Abramo': 'fosse fatto' si riferisce alla creatura umana; "sono", alla sostanza divina. "Fosse fatto", purché appunto Abramo è una creatura. Non disse il Signore: Prima che Abramo fosse, io ero; ma disse: "Prima che Abramo fosse fatto", e non poté essere fatto se non per mezzo di me, "Io sono". Neppure disse: Prima che Abramo fosse fatto, io sono stato fatto. "In principio-infatti-Dio fece il cielo e la terra"; e "In principio era il Verbo". Quindi, "Prima che Abramo fosse fatto, Io sono". 
Riconoscete il creatore, non confondetelo con la creatura. Colui che parlava proveniva dal seme di Abramo: ma in quanto aveva creato Abramo, era prima di lui". Commento al Vangelo di San Giovanni, Città Nuova, 1965, II vol.pag.55.

Altri passi sui quali riflettere

Luca 18:14: dice il testo greco: "Dico a voi: "Scese questi giustificato"" che la vera Bibbia così traduce:"Vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, l’altro invece no, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato ".

La T.N.M. invece traduce: "Vi dico: Quest’uomo scese a casa sua più giustificato di quell’altro". Nel testo greco non appare nessun comparativo di maggioranza. Quindi, secondo questo discorso sarebbero giustificati tutti e due, il fariseo meno dell’altro. Visto che i testimoni di Geova giudicano "quelli del mondo" di essere corrotti sia moralmente sia spiritualmente, vogliono con questa traduzione giustificare se stessi che giudicano?

Rom. 9: 1-5 non va tradotto in modo settario, sono passi difficili che vanno visti come possibilità di tradurre la dossologia anche in modo diverso dalla maggioranza dei biblisti. E.Schlier afferma: "Ed ora il termine "dio" coinvolge Paolo nella formula giudaica di benedizione ed egli se ne serve per lodare colui di fronte al quale Israele finì per cadere, colui che è qeÒj, sebbene non sia "qeÒj". Infatti così traduce: "di essi sono i padri e da loro proviene il Cristo secondo la carne, che è Dio sopra tutti, benedetto nei secoli. Amen". Commentario teologico del Nuovo Testamento, Lettera ai Romani, pagg.464-472, Paideia, 1982

Altro passo difficile da tradurre è 2 Tess.1:12; "la frase conclusiva dice letteralmente: "secondo la gloria del nostro Dio e signore Gesù Cristo". Ci sono due possibili interpretazioni dei genitivi greci:

a) "la gloria del nostro Dio - e - Signore Gesù Cristo";

b) "la gloria del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo".

La maggioranza traduce secondo la parte b)". Lo stesso problema viene presentato per 2Pi. 1:2 (R.E.Brown, Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento, pag.176; Queriniana, 1995). Questo dimostra che i veri studiosi non traducono la Bibbia in modo settario.

2Cor. 4:3-6, dal testo greco: "la buona notizia...è velata tra coloro il cui dio del secolo questo ha accecato i pensieri degli increduli così che non risplenda la luce della buona notizia della gloria di Cristo, che è immagine di Dio...luce rifulga...luce della conoscenza della gloria di Dio sul volto di (Gesù) Cristo".

Nella vostra traduzione al posto "della buona notizia della gloria di Cristo", diventa "la gloriosa buona notizia intorno a Cristo", "la luce della conoscenza della gloria di Dio nel volto di Cristo", diventa "la gloriosa conoscenza di Dio mediante la faccia di Cristo"; a parte l'infelice "faccia", Gesù Cristo non deve avere nel suo volto la gloria divina, la gloriosa conoscenza di Dio, dev'essere solo un "mediante", con approvazione del "divino autore"! (vedi prefazione TNM. 1987). In modo demoniaco è stata eliminata dalle Scritture ogni traccia della divinità di Cristo, Cristo anche se figlio di Dio, dev'essere solo uomo e nient'altro, tanto è vero che avete scritto: "Egli fu un puro uomo, la cui energia vitale era stata trasferita dal cielo mediante la miracolosa opera dello spirito (o forza attiva) di Dio Onnipotente. Non fu nessuna incarnazione di una persona celeste, nessuna incarnazione della parola di Dio...". "Vita eterna nella libertà dei figli di Dio" pag. 75, 1967. Il testo greco smentisce questo discorso: "e la Parola carne divenne e pose la tenda fra noi". La carne di Cristo è la tenda della "scechinà", la presenza reale di Dio stesso.

Col.1:15-20. Con l'inserimento per ben cinque volte tra le parentesi quadre della parola "altre" con l'intento di introdurre la vostra dottrina del "primo creato" è stato oscurato l'evidente discorso di Paolo del Primogenito come di colui che ha il primato su tutta la creazione. Mi domando poi, perché in Giov.1:3, che è simile a Col.1:16, non è stato tradotto: "tutte le (altre) cose sono venute all'esistenza per mezzo di lui"? Forse perché la frode sarebbe stata troppo evidente? Quando in Colossesi è detto che egli è "l'immagine del Dio invisibile" immagine significa forse una somiglianza fotografica del Padre? Oppure che "immagine" del Padre sia la stessa immagine di Genesi dove si dice che l'uomo è stato fatto ad "immagine di Dio"? Il dizionario di Paolo e delle sue lettere, ed. San Paolo, 1999 pagg.1220-1223, afferma: "Il termine primogenito, così come suona in italiano o in altre lingue moderne, è fuorviante, in quanto normalmente fa pensare a qualcosa che è nato o è stato creato. Ma qui non può essere questo il significato del termine, dal momento che le parole immediatamente seguenti (Col.1:16, che comincia con hoti (poiché), che costituiscono un commento al titolo, sottolineano il fatto che egli è l'unico per mezzo del quale tutte le cose sono state create. Non ci sono eccezioni: assolutamente ogni cosa del creato è stata fatta per mezzo di lui...Come prototokòs, Cristo è unico, distinto da tutta la creazione (Es.1:6): egli è insieme precedente ad essa ed in posizione suprema rispetto ad essa, essendone il Signore".

La vostra analisi su alcuni versetti che includono il termine "altre" o "altri" e farli accostare a Col.1:15-20, è priva di senso e crolla alla luce letteraria e scientifica della Bibbia. Includere Gesù Cristo tra le cose create assieme agli alberi, agli asini, ai gatti, ecc. è davvero blasfemo e quei versetti non cambiano nulla al fatto che in Colossesi Paolo affermi che il Primogenito sia compreso tra le "altre" cose.

Col. 2:9, nel greco: "poiché in lui abita tutta la pienezza della divinità (Theòtetos) corporalmente". Coloro che pensano di essere furbi hanno tradotto Theòtotos "qualità divina", ma è falso. Per qualità divina va tradotto, caso mai, il termine "theiotes" che si trova in Rom. 1:20. Termine che va piuttosto tradotto con "divinità". "theòtetos" e "theiotes" sono simili, ma non uguali. Il "theòtetos" di Coloss.2:9 può essere solo tradotto "Divinità" o "Deità", "essenza divina" e non qualità divina. È evidente anche in questo l’intenzione di prendere puntualmente di mira la divinità di Cristo che abita in Lui nella "pienezza". E poi, che cosa significa "qualità divina"? Nella TdG del 1964, pag.383 vi sono citati due dizionari che non giustificano per nulla la vostra traduzione, anzi vi date la zappa sui piedi: " Deità, essenza divina, natura divina", per nulla "qualità divina". E. Schlier, grande biblista, dice che Theiòtes "non è lo stesso che qeÒtej (Theòtes) (l’essere di Dio, Col.2,9)". Commentario teologico del Nuovo Testamento, Lettera ai Romani, pag.108, Paideia, 1982.

Ecco perché dalle numerose segnalazioni di falso biblico, siete stati costretti ad ammettere: "Il modo con cui sono state tradotte queste parole nella Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche e Cristiane, ha dato origine all’accusa che il Comitato di traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo si sia lasciato influenzare dalle sue credenze religiose. Tale accusa è fondata, ma questo non è stato fatto erroneamente o indebitamente. Il significato da dare a queste due parole greche dipende da ciò che dice l’intera Bibbia riguardo a Geova e a Gesù Cristo". Sanno i Testimoni di Geova che la Bibbia che hanno nelle mani è stata influenzata "dalle credenze religiose" del C.D.?

Fil.2:5-8 è stato aggiunto, allo scopo di sminuire la divinità di Cristo uguale a quella del Padre, un "cioè che dovesse essere" che, manco a dirlo, non esiste nel greco. Si vogliono inserire a tutti i costi frasi o parole che tendono tutte, invece che a chiarire, ad oscurare ciò che dice la Bibbia sulla natura del figlio di Dio. Cito dal greco letteralmente: "che in forma di Dio esistente, non rapina reputò l’essere uguale a Dio, ma se stesso svuotò forma di schiavo avendo preso in somiglianza degli uomini essendo divenuto". Il termine "forma" nel greco al tempo di Paolo, significava "natura", "sostanza". I Filippesi che sono di lingua e cultura greca, compresero bene ciò che voleva dire l’apostolo Paolo. Quindi forma di Dio = natura di Dio, forma di schiavo-uomo = natura umana. Così la traduzione: "egli essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile l’essere uguale a Dio, ma annientò se stesso prendendo natura di servo, divenendo simile agli uomini". Inserire "cioè che dovesse essere" nelle parole dell’apostolo così chiare, a prescindere dalla poco felice frase, è lo sforzo penoso di voler dimostrare a tutti i costi la propria dottrina a discapito di quella biblica.

1Giov.5:20 R. Bultmann così traduce il testo greco: “E siamo nel Verace in quanto siamo nel figlio suo Gesù Cristo. Costui è Dio vero e vita eterna”. Ma se la frase non è una glossa posteriore, allora il pronome  oátos (questi) intende fornire il motivo dell’affermazione precedente (cioè che noi siamo in Dio, nell’¢lhqinoj (vero), perché o in quanto siamo nel Figlio) chiamando lo stesso figlio ¢lhqinoj qeÒj (vero Dio)”. Commentario teologico del Nuovo Testamento, pag. 139-146 ; Paideia, Brescia, 1977.

Rispetto al cumulo di manipolazioni e inesattezze del vostro testo, per molti versi astruso anche alla lettura, avrei potuto continuare per molto, ma è fin troppo questo piccolo saggio e mi scuso se ho abusato del vostro “prezioso” tempo. Mi rendo conto che mai in nessuna traduzione che io conosca, circa 20, si sia perpetrato tanto danno alla Parola di Dio. Plagiato com’è, il TdG non si rende conto dell’inganno. I responsabili lo sanno e sono colpevoli davanti a Dio.

In conclusione, nella mia solitudine, contemplo e medito la Parola, e questa è la mia invocazione: “O verità, lume del mio cuore, non vorrei che fossero le mie tenebre a parlarmi. Riversatomi tra gli esseri di questo mondo, la mia vista si è oscurata; ma anche di quaggiù, di quaggiù ancora ti ho amato intensamente. Nel mio errore mi sono ricordato di te, ho udito alle mie spalle la tua voce che mi gridava di tornare, con stento l’ho udita per le gazzarre degli uomini insoddisfatti. Ed ora torno riarso e anelante alla tua fonte. Nessuno me ne tenga lontano, che io ne beva e ne viva. Non sia io per me la mia vita: di me vissi male, fui morte per me, e in te rivivo: parlami, ammaestrami. Ho creduto nei tuoi libri, e le loro parole sono arcane assai”. S. Agostino, Le Confessioni, pag 267, ed. Einaudi, 1966. 

                                                                                                             Con affetto fraterno

                                                                                           Adriano Baston
Venaria Reale, agosto 2001

 

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