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Tim O’Brien: Two Journeys Potrebbe sembrare un’ovvia considerazione, ma esiste un forte collegamento, storico ancor prima che artistico, che lega la musica irlandese e il country americano. La maggior parte dei primi coloni dei monti Appalachi provenivano infatti dalle isole britanniche, e portarono con sé in quell’occasione i loro fiddle e la loro musica. Naturalmente nel corso del tempo le forme musicali si sono andate diversificando, soprattutto in termini di accentuazione ritmica, ma negli ultimi anni è cresciuto il numero di musicisti, da entrambe le parti dell’Atlantico, interessati a riscoprire i tratti comuni alle musiche tradizionali americana e irlandese: basti pensare ai Chieftains di Another Country, alle esperienze americane di Maura O’Connell o anche al notissimo documentario televisivo “Bringing It All Back Home”. L’ultimo CD di Tim O’Brien è in questo senso un’opera leggermente differente: con il cognome che si ritrova, è evidente l’origine irlandese di questo musicista americano. La copertina di Two Journeys rappresenta un galeone, e l’intero album può considerarsi un ritorno alle radici, una riscoperta sincera e decisa delle proprie origini familiari, oltre che artistiche. Tim O’Brien è musicista molto noto in America, soprattutto tra i cultori della bluegrass music: è un cantante dalla voce molto incisiva, un polistrumentista di grandi qualità (anche se autodidatta, suona egregiamente chitarra, mandolino, bouzouki e fiddle) ed anche un valente compositore. Le origini di O’Brien, come si diceva, rimandano in modo evidente all’Irlanda: il nonno di sua madre era emigrato in America nel 1851, e lo stesso Tim ricorda con emozione un suo viaggio in Irlanda nel 1999, alla scoperta delle sue “radici”: dalle parti di Bailieborough, nella contea di Cavan, riuscì ad individuare il cottage che una volta fu degli O’Brien, e nel corso dello stesso “pellegrinaggio” si recò alla scoperta di altri filoni della sua famiglia, che lo riportavano fino al Donegal. Sempre sul versante degli interessi personali Tim O’Brien aveva in precedenza studiato al college letteratura e storia irlandese, con grande interesse e profitto. Il nome di Tim O’Brien divenne noto in America già alla fine degli anno ’80, grazie a tre dischi incisi per la Sugar Hill insieme alla sorella Molly, notevoli per creatività degli arrangiamenti e gusto nella rielaborazione dell’antico materiale tradizionale. A partire dai primi anni’90 è iniziata la collaborazione con il compositore Darrell Scott, collaborazione che dura ancora oggi. Ancor prima (siamo verso la metà degli anni ’70) Tim si sposta in Colorado, dove conosce il chitarrista Charles Sawtelle, il suonatore di banjo Pete Wernick ed il cantante-bassista Nick Forester. Con loro O’Brien forma il gruppo Hot Rize, destinato a raggiungere le vette della popolarità nell’ambiente bluegrass: gli Hot Rize, una delle band di bluegrass più innovative d’America dal 1978 al 1990, vincono il premio della International Bluegrass Music Association quale miglior gruppo nel 1990, e sempre la I.B.M.A. nomina Tim O’Brien miglior cantante nel 1993. A seguito del viaggio in Irlanda di cui si è detto, Tim O’Brien pubblica The Crossing, un CD di 16 brani che iniziano ad esplorare i legami tra musica celtica e americana soprattutto dal punto di vista dell’impatto che la musica irlandese può avere avuto nei confronti della cosiddetta Appalachian music. Per sua stessa ammissione, pur considerandosi essenzialmente un musicista bluegrass, O’Brien si sente perfettamente a suo agio a suonare “Irish”: spesso il materiale musicale è lo stesso, come simili sono gli strumenti. Se The Crossing si concentra sul ponte ideale tra Irlanda e America dal punto di vista di un artista sostanzialmente molto “americano”, questo Two Journeys, da cui è tratto la splendida “Mick Ryan’s Lament”, presente sul CD di Keltika di questo mese, si spinge nettamente più avanti verso una prospettiva “irlandese”: questa volta il “comandante di vascello” Tim O’Brien ha scelto per il viaggio verso l’isola di smeraldo una “ciurma” di musicisti veramente eccezionale, quasi tutta composta da artisti irlandesi. E che ciurma! In questo disco sono infatti presenti in varie combinazioni Paul Brady (nel rifacimento “Irish” della beatlesiana “Norwegian Wood”), Kevin Burke, Michael McGoldrick, Karan Casey, John Williams, Triona Ni Dhomhnaill, Maura O’Connell, Paddy Keenan, Steve Cooney e Laoise Kelly: come si vede in questo album abbiamo tra l’altro due ex-membri della Bothy Band e due componenti del gruppo Solas. Gli americani Darrell Scott, Kenny Malone e Dennis Crouch contribuiscono a non rendere eccessivamente “irlandese” il sound del CD, che rimane comunque nettamente spostato verso questa parte dell’Atlantico. La sonorità complessiva di Two Journeys è molto ricca e compatta, e pone sempre al centro della scena sonora la voce, il mandolino, il fiddle, il bouzouki e la chitarra di Tim O’Brien su una base di whistle, uillean pipe e accordion, con un elemento percussivo non eccessivamente presente, ma comunque molto efficace. Trattandosi dell’opera di un cantautore, sono ovviamente presenti diversi brani originali: da segnalare in modo particolare la struggente “For The Fallen”, dedicata alle vittime della recente guerra in Kosovo (ma, come sottolineato dallo stesso Tim, il suo testo potrebbe adattarsi a qualsiasi conflitto con caratteristiche sociali, come ad esempio quello decennale dell’Irlanda del Nord), e “Turning Around” ispirata dalla memoria di John Hartford. I brani strumentali sono quasi tutti tradizionali, e consistono in due set di jig e in un medley di reel. Anche dal punto di vista della composizione strumentale, la fertile fantasia di Tim O’Brien splende nel gustosissimo “The Apple Press/The Apple Cart”, velocissimo, scatenato unisono tra il mandolino di Tim, l’accordion di John Williams e le uilleann pipe di Paddy Keenan. Sempre a proposito di quest’ultimo, la sua cornamusa detta la celeberrima linea melodica della già citata “Norwegian Wood”. Abbiamo chiesto a Tim O’Brien di parlarci di questa scelta del brano dei Beatles, e più in generale della filosofia di questo Two Journeys: “A proposito di “Norwegian Wood”, e della sua presenza in questo mio ultimo album, ci sarebbe molto da dire…Quando buttai giù la lista di quelli che avrei voluto nel mio disco precedente, The Crossing, uno dei primi nomi era quello di Paul McCartney, ma purtroppo non riuscii mai a contattarlo: forse era troppo al di là della mia portata. Questo desiderio nasceva dalla considerazione del ruolo storico di Liverpool nell’emigrazione degli irlandesi in Inghilterra, e in fondo anche i cognomi Lennon e McCartney sono abbastanza “irlandesi”. Ci potrebbe essere, nella scelta di “Norwegian Wood”, anche un’altra chiave di lettura: l’andare avanti e indietro tra l’America e le isole britanniche, tipico dei gruppi degli anni ’60 come i Beatles e i Rolling Stones, in qualche modo si verificò, ma nel senso inverso (ovvero dall’America verso l’Irlanda), negli anni ’20 e ’30. In quell’epoca i grandi musicisti irlandesi immigrati in America, come Michael Coleman e James Morrison, incisero i primi dischi per gli irlandesi d’America, ma in questo modo preservarono indirettamente questa musica anche in Irlanda, dove altrimenti sarebbe andata perduta”. Ci parli del titolo del suo CD: perché Two Journeys? Ci sono differenze con il suo precedente album, The Crossing, anch’esso sul tema dell’emigrazione? “Two Journeys” è il titolo di una canzone scritta da Dirk Powell e Christine Balfa, dedicata ai loro antenati: il primo viaggio è quello dal Galles (di cui è originario Dirk) e dalla Francia (da cui provenivano gli avi di Christine) in America, mentre il secondo viaggio è quello di ritorno degli stessi autori ai loro Paesi di origine: il tema del CD è proprio questo spostamento, verso l’America e di ritorno in Europa, un tema oggi di grande attualità. Two Journeys in realtà può essere considerato la continuazione di The Crossing, anche se la band è più “fissa” rispetto alle precedenti registrazioni: in The Crossing ogni brano aveva musicisti differenti, mentre in Two Journeys suona per lo più la stessa band “celtica” che mi accompagna già da qualche anno: Kevin Burke, John Williams, Karan Casey e Dirk Powell. Il tema contina ad essere quello dell’esperienza degli irlandesi in America”. Cosa l’ha spinta a questa ricerca delle sue origini musicali? “Sono stato interessato alle mie origini irlandesi sin da quando ero piccolo. Mio padre è sempre stato orgoglioso della sua “radice irlandese”, e mia madre mi faceva sempre notare un cognome, quando era di derivazione irlandese. Come saprà, la celebrazione della festa di S. Patrizio, il 17 marzo, è molto sentita dagli irlandesi d’America: ebbene, io sono nato il 16 marzo, e i miei genitori quasi non me lo perdonano: mi hanno sempre detto che avrebbero desiderato che nascessi il giorno dopo. E per finire i miei capelli rossi la dicono lunga, in proposito! Sono diventato molto più attento al mio Irish background nel momento in cui ho iniziato a capire che la musica che suonavo – il country e il bluegrass – ha al suo interno molti elementi della musica tradizionale irlandese. Così al college decisi di frequentare un corso integrato di scienze politiche e letteratura irlandese. Sono tornato la prima volta in Irlanda nel 1976: lì incontrai alcuni musicisti che in seguito sono diventati miei grandi amici. Sono proprio quelli i semi che nel tempo hanno germogliato, fino alla nascita di The Crossing: sì, hanno germogliato per un bel po’ di tempo!” Ascoltando Two Journeys, vi si avverte una grande sincerità, una notevole intensità: si direbbe proprio che sia lei che i musicisti foste realmente “presi” emotivamente da questo progetto… “In tanti anni di attività ho imparato una cosa: sia la composizione musicale che il suonare insieme riescono molto meglio se i musicisti si sentono in qualche modo collegati al materiale che stanno suonando o componendo: è meglio scrivere su qualcosa che si conosce bene! In questo senso il mio amico Darrell Scott è per me motivo di esempio, perché lui scrive sempre canzoni ispirate a fatti realmente accaduti. Anche Bill Monroe diceva sempre che le sue canzoni erano “vere”: sono convinto che siano questi i musicisti che mi hanno fatto comprendere questa verità. In questo modo secondo me è più semplice comporre, e le canzoni arrivano comunque in maniera più diretta. Tornando al mio disco, tutti i musicisti che vi suonano hanno compreso profondamente l’idea alla base del progetto: è bastato guardarci negli occhi per andare tutti nella stessa direzione. Questo è il segreto di Two Journeys!” Parliamo dell’Italia. Nel suo sito parla in modo entusiasta delle sue esperienze qui da noi. “La cosa che mi ha colpito maggiormente è il vostro senso di ospitalità, che al mondo ha solo un concorrente: l’ospitalità degli irlandesi! Secondo alcuni studiosi sono stati proprio gli italiani a “donare”, secoli fa, le jig agli irlandesi. Chissà, potrebbero anche avergli trasmesso un po’ di quel calore umano che contraddistingue alla stessa maniera questi due popoli. E poi, per me è una cosa stupenda andare in uno di quei piccoli ristoranti a gestione familiare, mangiare quel cibo così genuino, magari sorseggiando del buon vino locale…Ho un amico in Italia, si chiama Martino Coppo, che sembra avere un particolare sesto senso nel trovare questi posti deliziosi! La mia sensazione è che in Italia voi sappiate bene quali sono i valori importanti della vita; si ha quasi la sensazione che ogni giorno sia bello e degno di essere festeggiato. Dovrebbe essere questa la vera lezione per noi americani”. Progetti futuri? Visto il suo amore per l’Italia, ha già qualche data italiana? “Naturalmente spero di tornare in Italia al più presto, ma non ho date certe al riguardo. Di certo la prossima volta voglio portare con me i miei figli: hanno ormai l’età giusta (12 e 20 anni) per apprezzare e comprendere la bellezza del vostro Paese…anzi, se posso, vorrei tramite questa intervista lanciare un appello ai promoter italiani: quando volete, chiamatemi! Da voi sono sempre pronto a tornare!” *** Sulla nostra compilation di questo mese è presente la bellissima “Mick Ryan’s Lament”, tratta da Two Journeys di Tim O’Brien: la sua melodia risulterà nota a tutti, trattandosi della celeberrima “Garryowen”, ovvero la famosa marcia del 7° cavalleggeri del Generale George Armstrong Custer, ucciso con tutti i suoi uomini dai pellerossa di Toro Seduto a Little Big Horn: su queste note si dipana la triste storia di uno dei soldati di Custer, l’irlandese Mick Ryan, che si trova a morire in giovane età lontano dalla sua patria e per una causa che non condivide. Un brano struggente e splendido, tratto da uno dei più bei dischi degli ultimi anni. Assolutamente da non perdere.
Intervista di Alfredo De Pietra Copyright © New Sounds 2000 |