The Red Box
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The Red Box – The Red Box 

Intervista di Alfredo De Pietra

“The pure drop”, made in Milan

Ottimo album di esordio per la band meneghina, perfettamente a proprio agio con l’Irish traditional music. Due brani sul nostro sampler mensile.

 “Irish traditional music from Italy”, recita la home page della band milanese The Red Box (http://www.theredbox.it/), e si può dire che mai definizione è stata così calzante. Nati poco più di due anni fa nell’ambiente delle session meneghine, i Red Box suonano infatti musica tradizionale irlandese. E lo fanno con chiarezza di intenti, con convinzione, con perizia e, perché no, con tanto divertimento, sia per essi stessi che per il pubblico che, sempre più numeroso, scopre il gusto di ascoltare i loro set.

Una scelta audace, va detto, la loro, per molti versi controcorrente. In un panorama italiano spesso intriso di un “panceltismo” fine a se stesso, questi musicisti ci mostrano infatti, quasi con orgoglio,  che ottima musica irlandese può essere suonata anche in Italia. Il che non dovrebbe costituire motivo di scandalo, a nostro parere: siamo o no in presenza della tradizione musicale che è riuscita a diventare popolare in terre così lontane dai suoi luoghi di origine, in Sud America come in Corea? O ancora, c’è per caso ancora qualcuno che si scandalizza nel vedere un musicista giapponese eseguire Mozart o Bach in maniera impeccabile?

La scelta dei Red Box di seguire “the pure drop”, ovvero di eseguire jig e reel nella maniera più ortodossa possibile, è una doppia sfida: innanzitutto a un ambiente musicale non molto propenso a incoraggiare scelte di questo tipo; secondariamente è una sfida…con se stessi. Vogliamo dire che questi musicisti mostrano coraggio: pubblicare un album come l’omonimo, autoprodotto The Red Box, pieno di brani tradizionali, significa anche sapere di affrontare inevitabilmente il paragone con le versioni “classiche” di queste tune. E a scanso di equivoci va detto a chiare lettere: in questo senso l’album The Red Box è praticamente perfetto. I brani sono eseguiti con gusto e competenza; reel, jig, hornpipe e air si alternano in vari set sempre all’insegna dell’eleganza, e sinceramente si fatica a credere che si tratti di un disco registrato da musicisti italiani a Milano, e non piuttosto da una solida band irlandese, magari dalle parti di Doolin…

Lorenzo Zampetti, flautista della band, ci ha parlato in dettaglio delle origini e delle intenzioni del gruppo.

Ci racconti la storia dei Red Box:come avete deciso di suonare insieme, a quando risalgono le vostre prime esperienze insieme?

“Siamo nati “ufficialmente” come gruppo nel 2001, dopo esserci conosciuti nell’ambiente musicale milanese delle session: inizialmente abbiamo apprezzato la gioia di suonare assieme, ed essendoci accorti di avere numerose cose musicalmente in comune, oltre ad una gran voglia di comunicare al pubblico un certo modo di approcciare la musica, abbiamo costituito i The Red Box. Inizialmente era più forte l’esigenza di suonare fra di noi, di trovarci più spesso di quell’unica occasione mensile rappresentata dalle session al Racanà pub, piuttosto che il desiderio di fare concerti o esibirci di fronte a un pubblico. Il nucleo iniziale era composto da un mix della vecchia guardia milanese, con oltre 20 anni di militanza, come Luigi Fazzo e Fortunato Promontorio, insieme ad alcuni della nuova leva come Daniele Bicego alle uillean pipes e Lorenzo Zampetti al flauto. Al nucleo originario si sono poi aggiunti alcuni ospiti che oramai fanno parte stabile della formazione: mi riferisco a Martina Kelly, giovanissima violinista, ed unica a vantare origini irlandesi nella band, Stefano Denti, alla chitarra e cittern, una sorta di bouzouki a 5 corde, Ivan Berto, bodhranista che oramai vive ad Ennis, nella Co. Clare, e che riesce ad unirsi a noi solo nei suoi brevi rientri in Italia, e Franco Temporiti, anche lui al bodhrán.” 

Nella copertina del vostro CD si fa riferimento alle vostre session “nell'unico vero pub di Milano”…

“La definizione è di Carlo Galantini che, oltre ad essere per noi una fonte di ispirazione continua, è da sempre la vera anima delle session che si tengono a Milano. Carlo è un violinista eccezionale e si può senza dubbio affermare che sia stato lui, assieme a suo fratello Lorenzo, ad introdurre la musica irlandese a Milano ormai più di venti anni fa, alla fine degli anni Settanta. Grazie a lui Milano è diventata un punto di riferimento della musica tradizionale irlandese in Italia. Le session sono una forma tipica della musica tradizionale irlandese, da non confondersi né con un concerto, o gig come chiamano in Irlanda i concerti che si tengono nei pub, né tantomeno con le prove di una band, cosa che avviene soprattutto in Italia. Durante le session, musicisti di diversa provenienza si ritrovano a suonare, e si uniscono al gruppo solamente quando conoscono i brani che si stanno suonando, altrimenti ascoltano, cogliendo il doppio obiettivo di divertirsi e di allargare il proprio bagaglio musicale. Ci si incontra una volta al mese per la session, dopo una giornata di lavoro, qualcuno dopo aver messo a letto i figli, si stacca la spina dai problemi quotidiani e ci si immerge, per quanto possibile, nell’atmosfera di un pub irlandese. È davvero un momento fondamentale, non solo per noi come gruppo, ma soprattutto per ciascuno di noi come persona.” 

Nel CD sembra che voi privilegiate un approccio molto “ortodosso” alla musica tradizionale irlandese. È d’accordo?

“Io credo che il vero problema sia la decisione di suonare una musica tradizionale in un Paese nel quale questa tradizione non sia nata né tantomeno diffusa. In Irlanda, e in cascata nelle comunità irlandesi sparse per il mondo, specie in Inghilterra e negli Stati Uniti, chi decide di suonare musica tradizionale è letteralmente bombardato da fonti sonore: ogni sera, fin da bambino, la sente suonare alla radio, in feste private, al pub, e ha almeno un vicino di casa che la suona. Così deve soltanto dedicarsi ai problemi tecnici dello strumento, problemi che, fra l’altro, generalmente vengono risolti piuttosto in fretta. La musica è già nelle loro orecchie, nella loro testa, non rimane altro che canalizzarla sullo strumento. In Italia la situazione è molto differente, per noi il problema maggiore è farsi entrare questa musica in testa, essere permeati da essa. E ciò, secondo noi, lo si può ottenere solamente con un atteggiamento rigoroso, ma non per una vena di supponenza, tutt’altro, perché siamo coscienti di partire da un livello di netto svantaggio rispetto agli irlandesi. A questo discorso va poi aggiunta la considerazione che qualsiasi musica popolare merita un enorme rispetto, soprattutto per la quantità di persone che hanno collaborato a renderla tale. Difatti la musica irlandese, come oggi la suoniamo e la intendiamo, non sarebbe stata la stessa se non fossero esistiti personaggi come Michael Coleman o Tommy Peoples, che hanno  elevato a tradizione non solo loro composizioni, ma soprattutto set di brani e stili musicali. Non si può poi concludere il ragionamento senza citare il fatto che più si riesce a suonare in maniera tradizionale, maggiormente ci si diverte.” 

Domanda provocatoria: musica irlandese o musica celtica? Sia per quanto riguarda la vostra band che in generale...

“The Red Box propongono musica irlandese, non per un atteggiamento snob o classista nei confronti degli altri generi di quella che genericamente viene chiamata musica celtica (e ognuno allarghi i confini di questa etichetta a suo piacimento), ma semplicemente perché questa è la musica che ci coinvolge di più, quella che ascoltiamo, e che cerchiamo di proporre al pubblico italiano, con la maggiore fedeltà ai canoni stilistici tradizionali che ci è consentita. A casa ognuno di noi ha pile di CD irlandesi, ma pochissimi di “musica celtica”, molto semplicemente perché suoniamo questo genere di musica. Per quanto riguarda gli altri gruppi in Italia, credo che ognuno sia libero di scegliere il proprio percorso musicale, possibilmente con quel po’ di onestà intellettuale che consenta di non ingannare gli spettatori, ossia evitando di presentare concerti o lavori discografici per quello che non sono, e possibilmente senza ingolfare il mercato discografico con album che non aggiungono nulla di nuovo a ciò che attualmente è già in commercio.”

 Cosa ha portato di nuovo l'innesto di una musicista irlandese, Martina Kelly, nella vostra band?

“Beh, credo che sia la stessa sensazione che abbiano avuto i giocatori del Napoli quando si sono trovati in squadra Maradona: giocare con un campione esalta l’intero gruppo. Martina è un gioiello di musicista, cresciuta nella comunità irlandese di Londra, e trasferitasi a Milano per lavoro: è capitata, quasi per caso, ad una delle session, e ci ha subito folgorato con il suo modo di suonare.

Io credo che questo sia stato il contributo maggiore che abbiamo ricevuto dall’innesto nell’organico di Martina, ossia lo stupore che ci provoca quando la ascoltiamo suonare è lo stesso che stiamo cercando di trasmettere anche al nostro pubblico durante i concerti. Indubbiamente con la sua presenza ha avuto una netta svolta non solo il nostro spettacolo, ma anche il nostro modo di suonare. Speriamo che Martina metta radici in Italia e possa partecipare il più a lungo possibile con i The Red Box.”

Come è stato accolto il vostro album?

“Per quanto riguarda la risposta del pubblico, spero che la vostra redazione sarà tempestata di contatti entusiastici circa le nostre due tracce proposte da “Keltika” (il set di reel “Tom Ward’s Downfall/Martin Wynne’s/Virginia” e la song “Twisting The Hay Rope”, n.d.r.)! L’accoglienza che ci ha fatto maggiormente piacere è stata quella degli altri musicisti del giro della musica irlandese in Italia, non solo quelli che con noi partecipano alle session milanesi, ma anche gli appartenenti alle altre “enclave” che caratterizzano la musica irlandese in Italia. Certo, se le case discografiche che si interessano al settore si guardassero maggiormente in giro piuttosto che coltivare i loro orticelli, per noi le cose sarebbero state un po’ più semplici, ma questo è un altro discorso…”

Progetti futuri?

“Abbiamo concluso l’anno scorso la registrazione del CD, ed è stato un parto piuttosto impegnativo, specie per la difficoltà di riuscire a trasmettere l’energia che si genera durante le session e i nostri concerti, standosene rinchiusi in studio di registrazione, con cuffie in testa, un microfono di fronte, e come unico accompagnamento il ticchettio del metronomo. Abbiamo avuto bisogno di un po’ di tempo per imparare a convivere con l’atmosfera asettica dello studio di registrazione, e per tirar fuori il meglio di noi dalle sedute di registrazione, ma alla fine siamo alquanto soddisfatti del livello raggiunto dal nostro lavoro, grazie anche a Daniele Caldarini, il pazientissimo tecnico del suono che ci ha assistito. È stata un’esperienza molto formativa soprattutto perché ci ha consentito di fissare alcuni punti fermi circa l’identità stessa della nostra band: mi riferisco al tipo di arrangiamenti da utilizzare, al modo di suonare le tune, alla scelta stessa di brani e delle loro versioni, che fino ad allora erano rimasti tali solo a parole. Si può quindi dire, che l’evento incisione è corrisposto per il nostro gruppo con il passaggio dalla fase “band da session” a quella di “band da concerto”.

Dopo l’impegno economico e in termini di tempo, ci troviamo ora a far crescere il concerto che è nato con la pubblicazione del CD: già sono state proposte alcune modifiche alla scaletta del nostro concerto, ma abbiamo bisogno di concerti dal vivo per poter consolidare e pubblicizzare il nostro progetto. Già questa estate, a giudicare dal numero di serate che abbiamo avuto e dalla reazione del pubblico, abbiamo avuto una prima conferma della bontà della nostra scelta di concentrarci sul nuovo spettacolo. Non abbiamo quindi in progetto un nuovo disco, anche perché il mercato musicale italiano non mi sembra che sia attualmente così recettivo nei confronti della musica irlandese. Ci dedichiamo quindi anima e corpo ai numerosi concerti che abbiamo in programma, sperando di incontrare numerosi i lettori di “Keltika”.